La più famosa lettera di tutta la letteratura italiana

Dato che nei giorni scorsi Splinder ha fatto le bizze ostacolando il lavoro del bravo se pur lento blogger, e dato che il suddetto blogger oltre che lento è pure pigro, oggi ti propino, o fugace lettore, una imprescindibile divagazione di qualche anno fa su una lettera del più grande scrittore italiano di tutti i tempi: Niccolò Machiavelli.

MachiavelliMachiavelli ha scritto «la più famosa lettera di tutta la letteratura italiana» (Ridolfi). Si tratta della lettera a Francesco Vettori del 10 dicembre 1513. Talmente famosa quella lettera, che riesce difficile pensare che ci sia ancora spazio per ricamarci su. Eppure…

Quella lettera è una responsiva a una missiva del Vettori del 23 novembre, in cui l’ambasciatore fiorentino presso la corte papale descrive la sua vita romana a Machiavelli, lasciando trasparire un certo spleen da ricco borghese annoiato dalla routine. Il Vettori, insomma, parla del suo ombelico, vezzo che lo accomuna a certi scrittori italiani contemporanei, secondo voci che circolano in ambienti bene informati. Questo parlare di sé fa parte di quella noia esistenziale di cui dicevo. Son talmente disgustato dalla banalità della vita di corte e dal basso livello delle persone che incontro quotidianamente, sembra dire il Vettori a Machiavelli, che non mi resta che parlarti un po’ di me, argomento non eccitante, forse, ma buono per ammazzare il tempo.

Vettori organizza la sua fatica autobiografica secondo uno schema preciso. Dapprima descrive la casa in cui abita: bella, spaziosa e dotata di tutti i comfort moderni, inclusi nove servitori e sette cavalli. Passa poi a descrivere la sua giornata, che inizia a giorno fatto con una visita ai palazzi vaticani, dove dice «venti parole al Papa, dieci al cardinale de’ Medici, sei al magnifico Juliano», scambia opinioni con altri ambasciatori e raccoglie notizie su fatti che lui giudica di «poco momento». Tornato a casa, pranza con le persone che abitano con lui (un amico, un cappellano e uno scrittore) e con qualche ospite occasionale. Dopo pranzo gli piacerebbe ragionare di politica, ma giudicando i suoi commensali incapaci di farlo, preferisce fare due passi. La sera torna a casa e legge i libri di storia che si è procurato e che non manca di elencare, in un malcelato tentativo di mostrarsi uomo di «buone lettere»: Livio, Lucio Floro, Sallustio, Plutarco, Appiano Alessandrino, Tacito, Svetonio, Lampridio, Spartiano, Erodiano, Ammiano Marcellino e Procopio. «Et con essi mi passo tempo», dice.

La missiva del Vettori trasmette l’immagine di un uomo che vive in una condizione agiata: ricopre una carica pubblica di un certo rilievo, parla col papa e con l’intellighenzia della sua corte, legge i classici. Eppure vive quasi distrattamente, tira a campare, evita di dedicarsi a fondo a un obiettivo preciso. Tutto questo dovette risultare insopportabile a Machiavelli, che all’epoca si trovava in villa, lontano da Firenze e, soprattutto, lontano dagli uffici e dalla vita pubblica, dalla quale era stato scacciato un anno prima. Ma come, Vettori mio – avrà pensato Niccolò – io sto qui a sbattermi tutto il giorno tra villici e osterie, esiliato dalla politica, che è la mia vita; e tu vieni a dirmi che a Roma, oratore di Firenze presso il papa, ti annoi e non sai come ammazzare il tempo? Ma vedi un po’ di andartene a…

La «più famosa lettera della letteratura italiana» non sarebbe mai esistita se il Vettori non avesse maldestramente comunicato la sua noia dorata ad un uomo che in quel momento doveva invidiarlo non poco. Per quanto mi riguarda, non ringrazierò mai abbastanza Francesco Vettori per questa gaffe. Niccolò Machiavelli prese la penna e rispose a quella missiva punto per punto, rovesciando sistematicamente tutte le dichiarazioni del mittente. Leggendo in parallelo le due lettere si percepisce l’effetto comico di questo rovesciamento.

Tu, Vettori, hai nove servitori e sette cavalli? Bene! Io devo arrangiarmi a costruire da solo le panie per uccellare i tordi, e me ne vado in giro a piedi carico di gabbie come un mulo.

Tu ti alzi alle nove del mattino e poi, con tutta calma, vai a palazzo a tirare l’ora di pranzo discorrendo di politica con papa, cardinali e ambasciatori? Benissimo! «Io mi lievo la mattina con el sole et vommene in uno mio boscho che io fo tagliare, dove sto dua hore a rivedere le opere del giorno passato, et a passar tempo con quegli tagliatori, che hanno sempre qualche sciagura alle mane».

Tu ti lamenti di non poter ragionare di politica e di massimi sistemi, dopo pranzo, per non avere con te persone all’altezza di farlo? Sai di che ragiono io, dopo pranzo, e con chi? «Mangiato che ho, ritorno all’hosteria: quivi è l’hoste, per l’ordinario, un beccaio, un mugnaio, dua fornaciai. Con questi io m’ingaglioffo per tutto dì giuocando a cricca, a triche-trach, et poi dove nascono mille contese et infiniti dispetti di parole ingiuriose, et il più delle volte si combatte un quattrino».

Il registro comico sparisce, però, quando Machiavelli arriva a descrivere la serata. Resta il gusto del contrappunto alla missiva dell’amico, ma il tono si fa improvvisamente serio, per salire lentamente fino a raggiungere una vetta di intensa drammaticità. Per la sera Il Vettori gli aveva sciorinato il lungo elenco di letture classiche di argomento storico che gli consentivano di ammazzare il tempo fino all’ora di coricarsi.

Anche Machiavelli alla sera studia la storia, ma in modo completamente diverso:

Venuta la sera, mi ritorno in casa, et entro nel mio scrittoio; et in su l’uscio mi spoglio di quella veste cotidiana, piena di fango et di loto, et mi metto panni reali et curiali; et rivestito condecentemente entro nelle antique corti degli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto morevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio, et che io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro, et domandarli della ragione delle loro actioni; et quelli per loro humanità mi rispondono; et non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimenticho ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottiscie la morte: tucto mi trasferisco in loro.

Diceva il Vettori dei suoi classici: «et con essi mi passo tempo». Machiavelli, invece, riempie il tempo, e non un tempo indeterminato, ma esattamente «quattro hore», segno di un impegno programmato, di un appuntamento fisso e importante, fatto per scelta e non per noia. Quando poi si arriva agli esiti di quegli studi storici già così diversi nelle modalità, c’è da restare a bocca aperta.

Queste sono le conclusioni raggiunte dal Vettori:

et considero che imperatori ha sopportati questa misera Roma che già fece tremare il mondo, et che non è suta maraviglia habbi anchora tollerati dua pontefici della qualità sono suti e’ passati.

E queste sono quelle di Machiavelli:

E perché Dante dice che non fa scienza senza lo ritenere lo havere inteso, io ho notato quello di che per la loro conversazione ho fatto capitale, et composto un opuscolo De principatibus.

Dallo studio della storia il Vettori arriva ad una sorta di lamentazione moraleggiante e, quella sì, di «poco momento». Dalla stessa materia Machiavelli ricava Il Principe!

Dicevo sopra che Vettori nella sua lettera parla del suo ombelico. Anche Machiavelli, ribattendo colpo su colpo, parla del suo. La differenza sta nel risultato. Dalla missiva del Vettori non si ricava altro che un autoritratto dell’autore. Magari tratteggiato con un apprezzabile gusto decadente, ma niente di più del sé stesso di cui parla.

La responsiva di Machiavelli, invece, va ben oltre l’io narrante. Parla del disagio esistenziale che accomuna tutti gli uomini che vivono da «gaglioffi» sognando l’eternità, e della serenità che si può raggiungere, anche solo per quattro ore, dedicandosi a un obiettivo con serietà e passione. Parla di molte altre cose nelle quali un lettore contemporaneo può riconoscere, oggi, elementi di verità che lo accomunano all’autore di cinquecento anni fa.

Questo succede, credo, perché Vettori non parla veramente di sé, ma di come vorrebbe essere, mentre Machiavelli si offre al lettore così com’è, senza fare sconti ai propri limiti, ma anche senza mascherare la propria aspirazione alla grandezza. Vettori parla di sé da fuori, Machiavelli da dentro. L’ombelico di Vettori è particolare, quello di Machiavelli è universale.

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10 Responses to “La più famosa lettera di tutta la letteratura italiana”

  1. asd says:

    è una cagata… sc ritta da un frocio

  2. asd says:

    sono luigi the spiderman

  3. Fabio says:

    non credo che sia una cagata, né vedo il perché luigi spiderman abbia voluto lasciare traccia. questi 2 hanno letto come il vettori, dal di fuori. Mi è piaciuta soprattutto la conclusione. NOn sapevo di questa lettera di Macchiavelli. è una valorizzazione di un’opera “minore”.

  4. ms says:

    nn ci capisco un cavolo e per domani ho da leggerla tutta!! qualcuno c’e l’ha in prosa??

  5. Orco Boia says:

    per ms: nani, è gia in prosa, ma tu non sai più l’italiano e scrivi “non” senza la “o”. Poi aggiungi la perla: “qualcuno c’e l’ha in prosa??”. Se non sei una provocazione, probabilmente per te più che la prosa ci vorrebbe un bigino di ortografia. Ossequi sentiti.

  6. giu says:

    siete ridicoli voi ke insultate qst brano …
    ma andate a farvi i cazzi vostri da altre parti e lasciate qst opere a ki le apprezza … le perle ai porci -.-‘

  7. […] Leggendo questo post di Sergio Garufi su Nazione Indiana – e in particolare un riferimento ai sepolcri degli uomini illustri e ai luoghi che i medesimi frequentarono da vivi – mi è tornato in mente l’inane mio tentativo di scovare tracce del da me amatissimo Niccolò Machiavelli nei luoghi che lo videro corridore di boschi, uccellatore di tordi e gran giocatore di triche-trach. […]

  8. Rita says:

    Orrore per i commenti da gaglioffi che vedo qui, infinito amore e studium per il Segretario fiorentino, che sapeva starci anche a suo agio tra i gaglioffi. Io mi ci provo da sempre, ma non ci riesco e continuo a preferire senza dubbio alle chiacchiere da bar e da blog la compagnia che si frequenta indossando con rispetto e devozione i panni reali e curiali. Questa lettera una volta si imparava a memoria al liceo. Ora che ne è stato? Siete coraggiosi a discuterne su internet (infernet, meglio dire) e forse fate bene anche a buttarla in pasto a chi fa questi commenti offensivi e ciechi. Magari anche a loro arriva un briciolo di tanta meravigliosa altezza di pensiero e umanità. Grazie

  9. Laetitia says:

    Mi sono imbattuta in questo link perché cercavo notizie sulla Lettera a Francesco Vettori, devo dire che è spiegata molto bene e non capisco perché gente ignorante deve criticare l’operato di coloro che si interessano a fornirci continuamente materiale! Forse *Ms e *Asd non apprezzano questa buona volontà che hanno i blogger, nell’aggiornare puntualmente le notizie che ci scrivete! Sono una liceale, e quando vedo le perle di saggezza dei miei coetanei rimasto pietrificata. Come si può essere così superficiali? Qualcuno si è veramente chiesto come studiano i giovani d’oggi? Io sì… Solo per un’interrogazione, solo per la paura che l’insegnante ti metta un brutto voto… Ma per voi stessi, per la vostra Cultura, cosa fate? Scusate se mi sono dilagata troppo, è solo che di fronte all’ignoranza rimango sbalordita!

  10. laura says:

    sei un grande ,magari ci fossero insegnanti così..!!! ho gustato la tua proposta di lettura ridendo da sola al pc, bravo bravo bravo , immagino l’odissea tradotta da te …una vera telenovela , una city-commedy, scommetto che anche i più scarsi a scuola ricorderebbero trama e morale …beh io purtroppo ho la memoria labile e con l’età peggioro ma conto di andare controcorrente da ora in poi migliorandola …yoga, letture ripetute, ferro in pasticche …ah ah …beh ..per cercare di memorizzare spesso ho visualizzato trame e personaggi in modo alternativo ,associando nomi ed eventi …eh eh e cosi’ la mia memoria bislacca riusciva a tenere ” con lo sputo ” un po’ di nozioni e nel frattempo mi divertivo …peccato che le gags non sono previste a scuola….bah a me piace la serietà ma non essere noiosa , forse è per questp che si danno spesso interpretazioni fumettistiche,ironiche , a volte un pochino dissacranti ma mai dico mai senza mancare di rispetto all’uomo e ad ogni storia che rappresenta! dico bene?
    però, un salutone a te e ad ogni lettore che ha avuto la pazienza di leggere tutto:….ho portato qualcuno alla disperazione ?????

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