Fútbol bailado

Alberto Garlini, Fútbol bailado, Sironi 2004Come dicevo, l’anno prossimo sarà l’anno di Antonio Pizzuto e in questo mio stambugio di ghiribizzi libreschi l’ho ricordato con qualche mese d’anticipo. Anche l’anno scorso ci fu un tale che decise di anticipare di un anno il ricordo di Pasolini, sebbene non nel segreto del blog, ma sulla pubblica piazza editoriale. Il risultato fu un bel libro che, come tutti i libri che vale la pena leggere, è stato rapidamente dimenticato, travolto dalla pressione esercitata sugli editori dagli orrendi lettori veloci, insaziabilmente affamati di nuove uscite. Nell’àmbito dei ludi pasoliniani, dunque, mi sembra doveroso dedicare un giorno-blog a un libro che da solo vale l’opera completa di mille denbraun. Segue lettura (lenta, va senza dire).

Ho chiuso il romanzo di Garlini un paio di settimane fa, e ho dovuto aspettare che le impressioni in parte alate e in parte abissali che mi ha lasciato si depositassero da qualche parte, prima di riuscire a decifrarle. Una difficoltà simile a proferir parola su una mia lettura me l’hanno lasciata solo due libri prima d’ora: Memorie del sottosuolo di Dostoevskij e Il maestro e Margherita di Bulgakov, e si tratta di due libri non privi di punti in comune con questo.

In Fútbol bailado c’è un "enne più unesimo" personaggio che racconta al modo dell’uomo del sottosuolo, pur senza comparire mai: al di sopra del protagonista (omonimo dell’autore) e delle narrazioni autonome degli altri personaggi (fra i quali Pasolini, un calciatore mistico, un’artista innamorata della luce, un cupo terrorista nero idealista, San Francesco, una pletora di figuranti) c’è questo "autore implicito", un’entità estranea alla storia narrata ma in possesso di tutte le sue chiavi interpretative. Con Il maestro e Margherita Fútbol bailado condivide la rappresentazione allegorica di una realtà caotica e irriducibile a discorsi ragionevoli e sintatticamente bene ordinati.

La trama è complessa e aggrovigliata. Mi limito ad alcune indicazioni generiche: l’infanzia di Pasolini e la partecipazione di suo fratello alla Resistenza; una partita di calcio fra la troupe pasoliniana di Salò e quella bertolucciana di Novecento; la morte di Pasolini; lo scandalo del calcio scommesse del 1980; il Mundiàl del 1982. Attorno a queste date e a questi eventi si sviluppano le storie dei personaggi principali, di cui Garlini ricostruisce biografie più o meno sviluppate ei particolari, ma che passano sempre per i punti critici della vita umana: l’infanzia, l’adolescenza, la maturità e, per alcuni, la morte. Tutte queste vite si intrecciano l’una con l’altra fino a formare una sorta di saga famigliare, se pure di una famiglia formata da vincoli più spirituali che di sangue.  

Nonostante l’abbondanza di dati reali, Fútbol bailado è un racconto più mitologico che realistico, dove gli eventi storici e le vicende dei personaggi sono caricati di significati paradigmatici: Pasolini rappresenta un ideale di santità laica capace di spingersi fino al sacrificio di sé. Francesco Ferrari – il calciatore-mistico che restituisce tutto il ricavato della sua attività professionistica per dedicarsi a coltivare un calcio ideale nelle piazze e nelle squadre dilettanti di periferia – non è un personaggio realistico, ma il simbolo di un desiderio di pulizia morale. Gli anni Settanta non sono solo gli storici "anni di piombo", ma anche il sogno (infranto) di un’Italia sprovincializzata e ricca di fermenti vitali, artistici,
morali.

La materia narrata a volte assume un valore simbolico che definirei senz’altro religioso, trasformandosi in una vera e propria agiografia di un’umanità santa e perfetta che vive più nei sogni e nelle speranze dell’autore (implicito o meno) che nella realtà: il fútbol bailado eponimo, una sorta di calcio comunitario giocato con francescana gioia e purezza di spirito nelle piazze dei paesi; un’installazione perfettamente riuscita che suscita nei visitatori di una mostra sentimenti di pace universale e appartenenza spirituale a un’ipotetica comunità umana; la nascita di un figlio dall’unione "in camera caritatis" fra l’artista e il calciatore-mistico morente.

D’altra parte, però, non manca una rappresentazione molto cruda e diretta della negatività da cui nascono gli slanci idealizzanti di cui sopra: la vita misera e violenta delle periferie di trent’anni fa; la cattiveria atroce dei poveri e quella travestita da trasgressione dei ricchi; la sanguinarietà del potere e del terrorismo; lo sgomento e il senso di colpa di fronte all’insensatezza della vita e della morte. Il romanzo di Garlini ondeggia costantemente fra un realismo cupo e disperato e un simbolismo luminoso e ricco di speranza, fra un’attrazione quasi nichilista verso l’abisso dell’insignificanza e il desiderio di trovare nelle vicende umane un elevato senso morale. Anche questa tensione ricorda l’uomo del sottosuolo che urla e strepita contro i vizi e le ipocrisie individuali e collettive della sua epoca, ma poi dichiara di non voler credere che gli uomini siano destinati a compiere soltanto il male. Bulgakov estende questo desiderio di bene perfino al diavolo.

Nella resa narrativa di questa oscillazione tra male naturale e bene ideale, la prosa di Garlini è nettamente più efficace e credibile quando lavora sul lato dell’abisso, mentre si riveste di una patina didascalica e melodrammatica quando si sposta dall’altro lato. Le miserie umane, il dolore e il senso di colpa, la violenza e la morte sorgono spontaneamente dalla storia narrata, come in un racconto naturalistico, mentre le aperture ai significati elevati e idealizzati oscillano fra un sentimentalismo un po’ laccato e tirate al sublime un po’ forzate e romanticheggianti. I personaggi sono molto umani quando si muovono nelle bolge infernali della miseria e della violenza, mentre assumono posture un po’ ieratiche e imbalsamate quando si incamminano verso il paradiso. D’altronde si sa che rendere narrativamente il lato buono della vita umana schivando la melensaggine è un’impresa estremamente difficile, e forse l’unica strada per arrivarci è davvero quella di affidare le buone azioni e gli ideali positivi ai diavoli e alle streghe.

A me sembra che questa differenza di resa stilistica indichi anche una differenza di rapporto fra l’autore e la materia narrata. Mi pare che i temi della santità e della tensione umana verso l’eterno, il vero, il giusto siano per Garlini un mito, forse un mito generazionale, e comunque più la rappresentazione di un desiderio che non di un’esperienza. Per contro, mi pare che la materia "truce" e in modo particolare la violenza naturale della vita e il senso di colpa di fronte alla morte siano temi che scaturiscono direttamente da frammenti di vita vissuta. Il fatto che l’autore tratti la santità con un registro narrativo alquanto sovraccarico e leggermente in falsetto, poi, mi fa pensare che questo desiderio di bontà e di pulizia non abbia una presa sicura sulla coscienza, ma sia inserito a forza nella narrazione con un intento giustificatorio, quasi a dire "ehi, considerate che io, il narratore, non sono privo di pensieri elevati, e se questa materia che vado raccontando è orrenda e ricolma di miserie non è colpa mia".

Per concludere, dato che io sono quasi sicuro che Garlini non abbia detto in questo libro tutto quello che aveva da dire, scommetto che ne scriverà altri, e mi permetto di esprimere la speranza che nei prossimi arrivi a separare completamente la sua naturale inclinazione all’abisso dall’artificiosa rincorsa al sublime. Che decida una volta per tutte, insomma, se vuol essere un uomo del sottosuolo o un buon diavolo.

Tags: , , ,

11 Responses to “Fútbol bailado”

  1. uno che si chiama letturalenta non dovrebbe recensire un libro ogni 2 giorni.

  2. letturalenta says:

    Quale altro libro avrei recensito nei passati 2 giorni? Beneforti! non sarai anche tu uno di quei deplorevoli blog-zapper che dei blog altrui guardano solo i titoli e le figure!

  3. gabryella says:

    la tensione morale è uno sport terreno – ha regole dure (pertanto, è praticato pochissimo) e si gioca in campo orizzontale – ogni tanto n’emerge un fuoriclasse che ammiriamo e invidiamo – pure, caso curioso, non vince mai – forse è per questo che lo nomiamo “santo” (viceversa, sembra che in paradiso lo chiamino “quel povero diavolo che le prende sempre di santa ragione” ((ma su questa credenza, non ho conferme di prima mano))

    buona giornata

  4. ma in questa recensione c’è pensiero e sedimento, Mister Beneforti, e anche una voce personale, che è così rara quando si scrive d’altri. M’ha fatto insorgere una sana curiosità di questa scrittura – e questo è il mestiere delle recensioni, io credo. Condivido, poi, l’assunto della santità difficile da trattare senza stilizzarla o presepizzarla, ma in fondo apprezzo anche lo scrivere oltre, e contro, le proprie corde. Da leggere, insomma.

  5. letturalenta says:

    Il suo commento, molto qualitativa gabryella, sarebbe una perfetta quarta di copertina per il libro di Garlini.

    Lieto che lei intenda leggere Fútbol bailado, manginobrioches. E sì, è vero: lo scrivere contro le proprie corde è cosa assai aprezzabile. Indica che lo scrittore non pretende che la materia del suo narrare si adatti millimetricamente alle sue inclinazioni sentimentali.

  6. hyp1: “il mestiere delle recensioni” deve far “insorgere una sana curiosità” del recensito;
    hyp2: mr.lett.lent posta una recensione ogni 2 giorni
    tesi: mr.lett.lent incoraggia una lettura super rapida

    dim: a richiesta

  7. monsieur beneforti, diciamo che incoraggia un acquisto super rapido. per la lettura… c’è tempo.

  8. letturalenta says:

    Io però non ho ancora capito quali altri libri avrei recensito nei passati due giorni. O adesso sono tre? Mah, tempus fugit, panta rei, e intanto le domande s’accumulano, s’accumulano in attesa di risposte, un po’ come i libri in attesa di letture.

  9. la verità infine si scopre: qua si istiga all’insano vizio di accumulare libri da leggere. è un tunnel dal quale si esce solo con la rovina economica e caratteriale, sappiatelo.

  10. beh il diritto a scegliere la propria forma di rovina è inalienabile, direi. (quanto alla rovina caratteriale non capisco bene: gli scaffali pieni fanno diventare antipatici? e come si spiega che alcuni dei più voraci bibliofili e accumulatori di libri e letture che conosco siano simpaticissimi?)

Leave a Reply