Le diatribe letterarie (3 – Fine)

War with pen by Robert Neubecker, www.neubecker.comChe stavo dicendo? Ah già, diatribe quantitative versus diatribe qualitative. Ora, è evidente che tutto questo mio sollazzevole girovagare attorno al tema (sollazzevole per me, beninteso) non è del tutto centrato sul problema e trascura molti dettagli, restituendo una visione alquanto parziale della questione. Parziale sia in quanto incompleta sia in quanto faziosa, ovvero soggettiva. Va detto peraltro che non mi preme affatto essere oggettivo e imparziale (ammesso che sia mai possibile esserlo).

Tramontata l’epoca delle diatribe letterarie, dunque, oggi viviamo in quella delle diatribe commerciali. Vendere o non vendere, questo è l’unico dilemma rimasto in circolazione. Chi vende sopravvive e alla lunga prospera. Chi non vende muore. Il numero di copie vendute stabilisce il canone contemporaneo, troncando sul nascere fastidiose dispute sul valore letterario di quel che si pubblica: se vende, vale. Punto. La Rowling è il più grande scrittore vivente, altro che Faletti, che racimola al massimo un paio di milionate di copie. Camilleri, misurato sull’opera completa, è il più grande scrittore italiano di tutti i tempi; seguono distanziati Baricco e De Carlo; la Tamaro è un po’ in ribasso.

Hanno scritto qualcosa di nuovo costoro? hanno innovato il linguaggio o lo stile del racconto? hanno mostrato un frammento di umanità ancora ignoto? hanno gettato nuova luce sugli eterni misteri dell’origine e della fine? hanno riscritto i nomi di Eros e Thanatos? hanno mostrato la banalità del male? hanno disperso i superbi nei pensieri del loro cuore? E chissenefrega! Scrivano un po’ quel che vogliono, purché vendano.

Naturalmente questa non è una novità: non è da oggi che la quantità viene spacciata per qualità, in letteratura come in altri campi. La novità è che il discorso sulla letteratura si occupa quasi a tempo pieno di cifre. Un altro esempio? Ma sì, dài. Recentemente a Bari si è tenuto il forum del libro e della lettura organizzato dai Presìdi del libro e Loredana Lipperini ne ha tracciato un accurato resoconto sul suo blog Lipperatura. Una buona metà del resoconto è occupata da numeri, percentuali, statistiche, perché è di quello che si è parlato. Va notato che i Presìdi del libro si sono dati come fine istituzionale quello di diffondere la lettura. Non diffondere genericamente i libri, ma la lettura. A giudicare dal taglio del forum, però, sembra che anche un’organizzazione come questa, animata da ottimi propositi e organizzatrice di lodevoli iniziative, tenda a identificare la lettura con quanto si legge.

Emblematica, a tal proposito, una frase di Gianarturo Ferrari (direttore generale della divisione libri del gruppo Mondadori), pronunciata a margine del forum e provvidenzialmente registrata dal naturale istinto giornalistico di Loredana Lipperini: non si può essere contro il best-seller e contemporaneamente per la diffusione della lettura. Questa frase implica l’identità fra lettura e fatturato delle case editrici: più si vende più si legge, insomma. Le espressioni comprare un libro e leggere un libro qui tendono a coincidere. Grande assente è il dubbio che la lettura sia qualcosa di diverso dalle classifiche di vendita.

Il concetto di lettura si sta appiattendo su quello di consumo, tanto che, come ebbi modo di dire qualche post fa, la definizione di lettore forte è ormai basata sul numero di libri letti in un certo periodo di tempo, non sulla qualità delle letture. Ai fini statistici, leggere l’opera completa di Shakespeare è del tutto equivalente a leggere un pari numero di romanzetti da spiaggia. Ora, essendo molto più facile scrivere un romanzetto da spiaggia che un nuovo Amleto, ed essendo del pari consapevoli gli editori che un romanzetto da spiaggia ha un pubblico potenziale più vasto di un Amleto – e specialmente di un Amleto non targato Shakespeare – gli scrittori sanno che, in un regime letterario prono alle leggi di mercato, le probabilità di essere pubblicati sono direttamente proporzionali alla spiaggiabilità della loro opera, e inversamente proporzionali al suo amletismo.

Alla fine del giro, insomma, a rimetterci sarà il lettore, il quale in un futuro non molto lontano si ritroverà a investire i suoi quattrini e il suo tempo su libri sempre più scadenti. Che fare? Smettere di leggere? Improponibile: triplicherebbero gli omicidi volontari e le rapine a mano armata. Boicottare le grandi case editrici? Inutile: Melissa P. verrebbe pubblicata ugualmente. Far finta di niente? Moralmente deprecabile. Leggere un libro all’anno, ecco cosa si può fare. Scegliere un libro con criteri a piacere, anche casuali, piazzarlo in un luogo classico, tipo il bordo del caminetto o il comodino da notte, e leggerne due o tre pagine al giorno, non di più. Poi, quando è finito, rileggerlo da capo. Per un anno intero.

Sì, è quella la via, ne sono certo. Se tutti i lettori del mondo la praticheranno coscienziosamente, in capo a un anno le vendite crolleranno, gli editori falliranno a catena, i critici esulteranno al grido di noi ve l’avevamo detto!, Dan Brown si iscriverà all’Opus Dei e si ritirerà in meditazione sul monte Atos, Camilleri scriverà un poema in distici elegiaci, Baricco impazzirà e produrrà un romanzo epocale in diciotto volumi, De Carlo affitterà un monolocale e ne uscirà dopo vent’anni tenendo sotto il braccio il manoscritto di una nuova Eneide. Sulle macerie di cotanta catastrofe si aggirerà un timido lettore periferico, tenendo in mano la copia un po’ sdrucita del suo libro annuale. Un altro lo raggiungerà con passo peritoso e sguardo obliquo. E poi un terzo s’avvicinerà a loro, e un quarto. Nessuno osa prendere la parola. Si siedono per terra, in cerchio, ciascuno leggendo in silenzio il proprio libro, fin quando il più audace chiude la sua copia di Oblomov e dice con voce chiara e forte: io sostengo che gli antichi autori siano superiori ai moderni. Voi che ne dite?

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6 Responses to “Le diatribe letterarie (3 – Fine)”

  1. Non ce la farai mai tu, Luca, a leggere un libro all’anno:-)
    E, in verità, nemmeno io.

    Difficile arrestare il processo “quantitativo”. Toccherebbe ai critici di professione selezionare. Ma son pagati per promuovere… Ancora una volta il denaro… il desiderio del guadagno a tutti i costi, dell’arricchimento anche.

    Bisognerà toccare il fondo prima di risalire.

    Bart

  2. Orso says:

    Analisi corretta, soluzione purtroppo (o per fortuna) utopica. Come Di Monaco ben rileva, il lettore *desidera* libri da leggere. Terminato uno ci mettiamo alla ricerca del successivo. Di qualità, possibilmente, ma pur sempre ad nuova lettura aneliamo. Spesso abbiamo già li, pronta, la pila dei libri in attesa di essere assimilati.

    Non saremo proprio noi lettori a stimolare almeno in parte, magari in buona fede, il processo quantitativo?

  3. letturalenta says:

    Bart, è vero, non ce la farò mai. Ma io mi limito a indicare la via: armiamoci, e partite!

    Orso, la conclusione utopica è l’unica possibile. E, sì, noi lettori siamo colpevoli per definizione.

  4. Uhm, qui c’è un punto debole che mi permetto di segnalare. Noi lettori non siamo un noi così omogeneo. Io non ho mai comprato un libro della Tamaro, né un Codice da Vinci, nemmeno per regalarlo a un nemico. Non compro nemmeno Camilleri, vi confesso, perché a parte la generica simpatia e il colore locale lo trovo sostanzialmente una truffa, per quanto di apprezzabile fattura. E dunque? Il mio continuare a comperare i libri che reputo plausibili – in mezzo alle tonnellate di pubblicato (una volta uno scrittore eccezionale e spagnolo mi disse che si sentiva un naufrago, in una libreria italiana, travolto dai troppi libri…) – è già estremamente selettivo. Il punto – temo – non è nei libri che io acquisto, ma nei libri che non avrò mai la possibilità d’acquistare, perché non saranno mai pubblicati. I blog, per come li vedo io, in una certa misura sono anche un tentativo di autarchia editoriale. Per nulla disprezzabile, per giunta.

  5. letturalenta says:

    Sì, ammetto di avere usato il “noi” con leggerezza, ma qui, almeno da parte mia, si alludeva a una colpa molto più sottile, direi quasi metafisica o meglio ancora ontologica: la colpa dei lettori è quella di esistere. Senza di loro la letteratura sarebbe un atto puro, completamente disinteressato. La presenza del lettore innesca, ahimè, la possibilità di un commercio di lettere e parole, non solo come scambio di parole con denaro, ma anche di parole con parole, di enunciati in cambio di elogi, di scrittura in cambio di prestigio sociale.

    D’altro canto mi pare evidente che la letteratura deve la sua esistenza ai lettori, più che agli scrittori, quindi temo che la colpa del lettore sia irredimibile.

  6. […] Come tutti i fedelissimi adepti di letturalenta ricorderanno (ih ih ih, quanto mi piace sparare ’ste monate), nell’ultima puntata del mio profondissimo e rivoluzionario saggio Le diatribe letterarie, prefiguravo uno scenario apocalittico in cui il lettore, stufo di essere preso per i fondelli dagli editori, adottava una strategia di difesa anticonsumistica. Mi autocito: […]

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