Perché mai dovrei correre alla fermata dell’autobus?

Boccioni: Elasticità, 1912Domenica scorsa la lentezza ha occupato l’intera prima pagina di Domenica, forse più noto come "il domenicale", supplemento culturale del quotidiano Il Sole 24 Ore. A un articolo di chiara ispirazione lentista a firma Claudio Magris – germanista e scrittore – ha risposto il velocista Roberto Casati – filosofo del linguaggio. Botta e risposta qui (pdf, 116KB).

La botta di Magris è una tranquilla riflessione sulla velocità della vita osservata dal punto di vista di un soggetto vivente, pensante e riflettente, ma immobile. Tipo specchio da parete, per capirsi. La risposta di Casati, con subdolo artifizio retorico, mette in movimento il soggetto, tramutandolo da specchio a telecamera mobile. Magris s’interroga sugli effetti psicologici della velocità sui comuni mortali; Casati risponde con una lezione di relatività generale. Magris parla di una velocità subìta dall’uomo; Casati travisa completamente il tema e parla della velocità dell’uomo. Insomma, per farla breve, Magris invita Casati a pranzo e Casati va a farsi un giro per negozi, quel distratto d’un Casati.

A un certo punto dell’articolo di Magris si legge:

Si hanno sempre più ragioni per desiderare che il tempo passi in fretta, che oggi sia già domani, che il futuro sia già arrivato, recando le risposte e le cose che si attendono ansiosamente e in tal modo si vive non per vivere ma per aver già vissuto, per essere sempre più vicini alla morte. Si viene scagliati come proiettili nel futuro, nella vita che ha sempre ancora da venire e non c’è veramente mai, mentre il presente ci viene strappato sotto i piedi come un tappeto.

Essere scagliati come proiettili nel futuro non significa muoversi velocemente, ma vedersi piombare addosso le cose venture a velocità sostenuta: il proiettile continua a percepire sé medesimo in stato di quiete. Magris parla di un uomo che attende le cose che vengono, non di un uomo che corre incontro alle cose. Risponde Casati:

Prima di preoccuparsi di un’eccessiva velocità o lentezza percepite, bisognerebbe dunque sapere a quale velocità si sta andando.

Ma manco per idea, Casati, manco per idea. La velocità a cui si sta andando è del tutto irrilevante: l’uomo è sempre fermo ai suoi propri occhi, anche quando corre i cento metri piani. Ciò che rileva nel discorso di Magris è proprio la velocità percepita, ovvero la velocità con cui si avvicinano le cose che gli stanno davanti. E nell’articolo di Magris la cosa che sta davanti a noi proiettili lanciati nel futuro non è il traguardo dei cento metri piani, ma noi medesimi all’epoca in cui taglieremo il traguardo. E quel traguardo, o frettoloso Casati, non è un traguardo che si possa oltrepassare. Giunti al traguardo, fine della corsa, stop, finito, arrivederci altrove, se c’è un altrove.

Ed ecco l’esempio che Casati porta a sostegno della sua irrilevante obiezione:

Sto camminando e relativamente al suolo terrestre vado a pochi chilometri all’ora, ma rispetto a una linea immaginaria che collega il centro della terra con il centro del sole sto filando – a certe latitudini – a più di mille chilometri all’ora, trascinato dalla rotazione della terra. Non me ne accorgo, ma appunto questo è il problema. A che velocità sto andando? La domanda non ha senso se posta in assoluto.

Chi ha posto la domanda? Casati. Perché Casati pone domande prive di senso? Lui solo lo sa. A parte questo, l’esempio rivela la natura del fraintendimento: Casati considera soltanto l’aspetto fisico della velocità, ignorando completamente il suo aspetto esistenziale. Per lui la velocità è solo un’unità di misura, spazio fratto tempo e nient’altro. Da qui anche il paradosso finale, corroborato da altro esempio rivelatore:

Rallento il passo mentre cerco di raggiungere la fermata dell’autobus, coprendo cento metri in due minuti laddove normalmente ne impiegavo uno; Gianni che parte con me ci mette un minuto. Se prima Gianni mi sembrava andare alla stessa mia velocità, ora mi sembrerà due volte più veloce. Dunque a chi si muove piano le cose finiscono con l’apparire ancora più rapide

La risposta breve è la seguente: ma chissenefrega di Gianni! La risposta lunga me la risparmio, tanto non aggiungerebbe molto alla breve. Il punto è che a Magris non interessa la velocità di Gianni e nemmeno quella di chi ha deciso di rallentare il passo. A Magris interessa cosa succede a entrambi durante la marcia di avvicinamento alla fermata dell’autobus, indipendentemente dal tempo che ci mettono per raggiungerla. E Magris dice che chi corre verso la fermata concentra tutta la sua attenzione sulla fermata e considera il tragitto come una perdita di tempo, mentre chi ci va a passo d’uomo se lo gode intero, il tragitto, e quando arriva alla fermata un po’ gli dispiace.

E qual è questa fermata ineluttabile? Forse la morte? Ma no, santa pazienza, no: è l’explicit del libro che sto leggendo.

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9 Responses to “Perché mai dovrei correre alla fermata dell’autobus?”

  1. Scrive Magris: “La lentezza va difesa come una strategia flessibile, elastica, senza affrontare di petto la frenesia del mondo, bensì sfuggendo alle sue spire come un lottatore cinese, marcando visita – tutte le volte che si può – quando si viene richiamati dalla sua mobilitazione generale.
    Si dovrebbero praticare ogni giorno degli esercizi di lentezza”

    Mica è facile! Prevale (quasi sempre?) l’ansia di veder correre il futuro verso di noi. Direi che è proprio per questo – per la nostra mente che è sempre aventi a noi di un passo – che forse non è sbagliato dire che il presente non esiste.

    Bart

  2. letturalenta says:

    Pensa, Bart, come cambia velocemente il mondo: Agostino nelle Confessioni sosteneva che il presente è l’unico tempo esistente. Oggi, ad appena un millenio e mezzo di distanza o poco più, il presente è sparito dalle mappe. E i velocisti come Casati ci vengono a dire che tutto è fermo!

  3. gabryella says:

    la lettura del penna-a-penna magris/casati, chissà mai perché, m’ha fatto tornare in mente l’esilarante duello tra il sintetista sintetologo filidor e l’analista cosmico momsen, detto l’anti-filidor (ferdydurke, di gombrowicz): uno scontro senza vinti, perfettamente simmetrico, che si conclude con la regressione finale di entrambi i personaggi all’incompiutezza dell’infanzia, a sgambettare spensierati nei boschi lanciando sassi ai polli “il duello, già..che botti, ragazzi!”

  4. melpunk says:

    pensiero veloce, il resto lentezza
    intanto linko
    saluti
    melpunk

  5. letturalenta says:

    gabryella, lieto d’aver involontariamente evocato Gombrowicz – e per di più in una persona che ha la rara pazienza e cortesia di scriverne correttamente il cognome.

    mel, lieto di registrare il tuo fugace passaggio. Linkiamoci, egregio, linkiamoci: uniti si vince. Non so cosa, ma si vince.

  6. melpunk says:

    letturaLenta:
    fugace perchè stando al lavoro ho poco tempo per essere lento. figurati, sono un sacerdote dell’arte di “intalliarsi”, vocabolo del dialetto napoletano che indica il trascorrere il tempo impegnadosi con serenità a non fare nulla. o anche trascorrere il tempo “perdendolo”. slauti
    mel

  7. Roberto Casati says:

    La velocità fisica era nella mia risposta a Magris una metafora di ogni tipo di velocità, compresa quella percepita. Si puo’ variare l’esempio con lo stesso risultato: accelerate (anche non fisicamente), e avrete l’impressione che gli altri siano più lenti.
    Cio’ detto, la definizione di ‘filosofia’ che preferisco (data da John Campbell di Oxford) è la seguente: ‘philosophy is thinking in slow motion’. Questo per dire che non è necessario immaginare una linea netta tra lentisti e velocisti.
    Molto cordialmente

  8. cristiana says:

    luca piacere, sono nuova di qui.
    cercavo su google l’articolo di casati e mi sono imbattuta nel tuo blog.
    molto bello.
    cristiana

  9. letturalenta says:

    Grazie cristiana. Torna a trovarmi!

    Ringrazio Roberto Casati per la replica e la trascrivo in “prima pagina” per darle visibilità pari a quella del post in cui ho criticato il suo articolo.

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