Camilla Baresani, renditi conto che gli ebrei italiani sono italiani come te e che hanno tutto il diritto di mangiare un po’ come cozza gli pare

Si è appena conclusa la giornata della memoria, dedicata, come dice la parola stessa, a fare memoria per un giorno della più sciagurata tragedia di tutti i tempi: il massacro di sei milioni di ebrei per mano dei nazisti e di chi con i nazisti collaborò con parole, opere e omissioni. Quei sei milioni di ebrei furono sterminati per il solo fatto di essere ebrei, e questo costituisce ancora oggi l’aspetto unico e finora non replicato della Shoah.

Per rendere possibile un abominio come quello della Shoah è necessaria una preparazione scrupolosa e lunga, e quando dico lunga intendo svariate centinaia di anni impiegate a negare al soggetto sterminando qualunque barlume di dignità umana: lo si dipingerà come essere asociale, amorale, nemico della buona creanza e dei sani costumi, amante della crapula e dei vizi più esecrandi, dedito alla magia nera, al cannibalismo e a oscuri complotti per la conquista del potere, nonché seguace stolido e insano di miserande pratiche igieniche e alimentari.

Si dice che la giornata della memoria serva non solo a ricordare ciò che irreparabilmente è accaduto, ma anche a impedire che accada di nuovo. Mai più è lo slogan che più di frequente risuona in questa giornata di apotropaica autoassoluzione. Ebbene io credo, dal basso della mia non ebraicità, che per impedire l’ennesimo massacro di ebrei della storia dell’umanità sia utile interrompere con sana decisione il discorso millenario che dipinge gli ebrei come stranieri, nemici, esseri umani di seconda scelta.

Nell’ambito di questa missione che pongo volontariamente sulle mie spalle – senza alcun desiderio o pretesa di porla su spalle altrui – dichiaro senza mezzi termini che l’articolo di Camilla Baresani, pubblicato sul Magazine del Corriere della Sera di giovedì 26 gennaio 2006, è un surrogato allucinante di ignoranza, arroganza e pregiudizi sugli ebrei. Ignoranza, arroganza e pregiudizi che mi piacerebbe veder debellati entro il corrente anno solare, pur riconoscendo fin d’ora l’ineluttabile impronta utopistica di questo mio desiderio.

A mo’ di documentazione e argomentazione di questo mio tranciante giudizio, riporto di seguito l’articolo di Camilla Baresani e l’argomentata risposta al medesimo di Marina Morpurgo, caporedattore del settimanale Diario. Entrambi i documenti sono reperibili sul newsgroup it.cultura.ebraica.

 

L’articolo di Camilla Baresani su Magazine del Corriere
Non tollero più i fanatici dell’intolleranza gastronomica

Tra cozze non kosher e amanti del “terroir” mettersi a tavola può diventare sempre più spesso qualcosa di  indigesto. Per colpa degli scontri di civiltà. Ma anche di chi straparla di “tipico”, “goloso” e “sentori da degustare”.

Il cibo può risultare indigesto non solo in sé e per sé, ma anche per motivi “esterni”. Ecco un esempio. Tempo fa vengo invitata a cena da una giovane amica italianissima e d’origine ebraica: un’altra ospite, la scrittrice Serena Vitale, si era offerta di portare qualcosa di cucinato che servisse di rinforzo: ma a causa di un fraintendimento, anziché una focaccia con la scarola aveva preparato una teglia di riso di riso patate e cozze, tipico piatto della tradizione pugliese.

Bene: nello sgomento degli invitati (nessuno dei quali d’origine ebrea), la teglia è rimasta chiusa nel sacchetto ed è tornata a casa con chi l’aveva cucinata. Abbiamo così appreso che fra i cibi religiosamente scorretti per gli ebrei non c’è solo il maiale (come per i musulmani), ma anche i ruminanti con unghie non biforcute (per esempio cavalli e conigli), i volatili non rapaci (poco male: mai sentito parlare di civetta arrosto), tutti i pesci privi di squame e lische (e qui la lista è impressionante: si va dalla pescatrice allo storione con relativo caviale, dall’anguilla alle sogliole e ai calamari, fino ad arrivare alle famigerate cozze).

Verrebbe da dire: se la padrona di casa non voleva mangiarle, libera di farlo, ma gli ospiti. C’era però un ulteriore ostacolo, quello cioè delle stoviglie: perché – per mantenersi kosher – piatti, posate e pentole non devono venire contaminati da vivande “anomale”. Se non si dispone di un servizio di piatti in vetro (che resiste alla sterilizzazione senza rompersi), per purificare le stoviglie bisogna portarle alla sinagoga per un bagno rituale.

Dunque il riso patate e cozze non poteva essere consumato se non a manate direttamente dalla teglia, anche se comunque la sua stessa permanenza nella casa risultava sconveniente e fonte di turbamento. Fossimo stati ospiti di un italo-musulmano osservante ci sarebbero state meno regole, ma altrettanto inflessibili: oltre alla carne di maiale nessun ospite avrebbe potuto bere bevande alcoliche, nemmeno portandosele da casa.

Va detto che, nel clima di generale incarognimento port-11 settembre, ormai anche persone dall’apparenza laica si arroccano nella difesa di tradizioni che a noi allibiti spettatori sembrano tuffi nel medioevo, mentre a loro paiono doverose difese difese della propria identità. Ci si aspetta dunque che da un momento all’altro papa Ratzinger dica anche a noi cattolici cosa è lecito mangiare.

In attesa di istruzioni, tuttavia, anch’io comincio ad avere una serie di intolleranze alimentari, sia pure di genere solo lessicale.

 

La risposta di Marina Morpurgo
Camilla e le cozze mancate

Carissimi,
premesso che mi piacciono le cozze, e la tiella in particolare, e che non disdegno neanche una fettina di salame (la mia identità ebraica si fonda su altri, e meno terreni e appetitosi elementi), ma come si fa a pubblicare un articolo così pieno di dabbenaggine a ignoranza come quello di Camilla Baresani, comparso a pagina 56 dell’ultimo numero?

Intanto, quella deliziosa noticina sul fatto che l’amica ebrea, anzi di «origine ebraica» perché dir ebrea par brutto ­ quella che ha rifiutato di servire in tavola le cozze ­ è «italianissima». Come dire: è italiana, come fa essere così ebrea, e a non mangiare il salame e la cassouela, il lardo e gli scampi alla bùsara? Datele, perfavore, la ferale notizia che ci sono ebrei osservanti che non sono nati in uno sthetl, che hanno «un’apparenza laica» (non portano il cappello con il bordo di pelliccia o la parrucca) e che un passaporto italiano non comporta un adeguamento automatico alle abitudini alimentari della maggioranza.

Seconda notizia fornita dalla Baresani: se vai a casa di un musulmano osservante non ti lasciano mangiare maiale e nessuno può bere bevande alcoliche. Ammazza, che scoperta sensazionale, e che fonte di irritazione! A questo punto le manca di scoprire che se vai a casa di un vegetariano con un sanguinaccio sanguinante non te lo lasciano portare a tavola, e ti guardano male.

Sul generale «incarognimento post-11 settembre» posso concordare, ma legare ­ come fa l’autrice ­ l’osservanza della kasherut al crollo delle Torri gemelle fa ridere i polli: la cozza e bin Laden mi sembrano due problemi molto ma molto distinti.

Detto questo, io la vedo così. Serena Vitale che ha portato a casa dell’amica ebrea le cozze invece della pizza di scarola ha fatto una blanda e innocua gaffe. L’amica ebrea che non ha voluto mettere le cozze a tavola ha ritenuto più importanti le leggi religiose di quelle del bon ton.

Camilla Baresani ci è rimasta male (anzi «sgomenta») perché le cozze le ha mangiate il giorno dopo, e fredde non son più buone. Ma non poteva infilarle nel microonde, e risparmiarci l’editoriale in stile «Signora mia, vengono qui da noi e pretendono di comandare?».

Un saluto un po’ perplesso

Tags: , , ,

10 Responses to “Camilla Baresani, renditi conto che gli ebrei italiani sono italiani come te e che hanno tutto il diritto di mangiare un po’ come cozza gli pare”

  1. tassina’, mi sa che l’hai fatta un po’ fòri da vaso – per eccesso di zelo, si capisce.

  2. OT: chiedo scusa se non c’entra nulla ma ti passo un’informazione che ti interesserà. dice Basilicanova 3 volte, tutte en passant, e una volta dice Basilicata (ma non so se conta). Comunque, è veramente bello. Non è, come temuto, un passo indietro. Anzi, un bel passo avanti.

    Stammi bene

    alessandro

  3. letturalenta says:

    benefo’, dimmi che hai capito, che ne pensi, di che m’accusi. Magari se ne può discutere. Se ne hai voglia, beninteso.

    Eio / Alessandro, guarda che io mi fido, neh, e mi fiondo a leggerlo, il Nori ultimo. E ti riterrò direttamente responsabile del risultato, buono o cattivo che sia.

  4. sopporteremo eroicamente tale onere. salutiamo.

  5. ne penso che gridi allo scandalo per una sciocchezza. un minimo di misura, ecché! è evidente che l’articoletto della Baresani è una stupidaggine, ma al più la stupidaggine di una borghese snob che arriccia il naso quando le regole religiose sopravvengono all’etichetta.
    dire che l’autrice pensa che gli ebrei non sono italiani (?) e bollare l’articoletto come “surrogato allucinante di ignoranza, arroganza e pregiudizi sugli ebrei” esprime un fanatismo assai più acceso di quello della Baresani. non è da te.

  6. letturalenta says:

    Grazie della spiegazione, Paolo. Puntualizzo solo un paio di cose:

    1. Non ‘accuso’ la signora in questione di pensare quella cosa lì, ma leggo nel suo articolo un’espressione infelice – ‘giovane amica italianissima e d’origine ebraica’. Che bisogno c’è di specificare l’origine? Se uno è italiano è italiano, no? È nato e vissuto in Italia, suppongo; parla italiano; ha studiato su un sussidiario scritto in italiano; s’è rotto i coglioni a digerire quantità industriali di Dante e Manzoni alla superiori; guarda Sanremo; conosce Orietta Berti e Mike Bongiorno. Che significa ‘origine ebraica’? A me ‘sta cosa suona come indizio di un pregiudizio piuttosto noto: un ebreo, anche se nato in Italia, è un po’ meno italiano degli altri. Nulla vieta che sia solo una mia impressione, naturalmente.

    2. In realtà, al di là del titolo ‘ad personam’ (e un po’ a effetto), non mi interessa giudicare la signora Baresani, non ce l’ho con lei. Ce l’ho con le cose che ha scritto. E quel che ha scritto, secondo me, è un surrogato allucinante, eccetera. Non si può paragonare la kasherut a un ‘tuffo nel medioevo’ senza ignorare completamente cosa significhi per un ebreo rispettarla. A me sembra che questo discorso – kasherut = fondamentalismo religioso – si possa fare solo se non ci si è mai presi la briga di capire qualcosa di ebraismo (non dico di capirci qualcosa, neh, ma provare a).

    Ciò detto, concordo con te sul fatto che questa uscita un po’ sgangherata della Baresani, se inquadrata nel maremagnum dei pregiudizi e delle discriminazioni, sia davvero una sciocchezza.

  7. daldivano says:

    posso dire che qui, a parer mio, c’è in ballo un altro tipo di conflitto molto femminile e che l’oggetto dell’articolo è solo una scusa per puntare il dito contro la padrona di casa? mi chiedo: per quale motivo una signora punta il dito pubblicamente contro un’altra signora? mi sarebbe piaciuto essere il quadro, sicuramente affisso alla parete, per vedere con i miei occhietti pigmentati lo svolgersi della serata (scusate se sposto il tiro nel tentativo bislacco di alleggerire il discorso) :-)

    daldivano

  8. letturalenta says:

    uhm… non male come interpretazione, daldivano. Non ci avevo pensato.

  9. Calma says:

    Io non ho ben capito se la padrona di casa ha cassato di sua iniziativa la teglia incriminata (qualora l’avesse fatto, forse due paroline ai commensali avrebbe pure potuto dirle) o se piuttosto qualcuno non ha avvertito preventivamente la Vitale del rischio in cui sarebbe incappata portando a tavola questo rinforzo non kosher (in ogni caso appoggio la tesi di Beneforti)

  10. Edoardo Acotto says:

    per me la Morpurgo ha pienamente ragione e risponde con garbo e acume (evidenetmente urtata dalla grossolanità della Baresani).
    Condivido lo scandalo di Letturalenta.
    Io non apprezzo i fanatismi, ma non fumo e a casa mia non si fuma, semplice. Oppure il tabagista incallito va sul balcone.
    La Baresani poteva andare sul balcone a sconfanarsi le sue cozze e poteva evitare di scrivere un simile articolo, da cui si evince una semplice buona dose di maleducazione intellettuale (dote diffusissima tra certi scrittori).

    Saluti a tutti

Leave a Reply