Critici simoniaci falsari

Salvador Dalì, I simoniaci, tratto da www.italica.rai.itL’altro giorno questo signore qui spiegava cosa chiede lui alla critica. Tempo fa ebbi l’ardire di porre una domanda simile a un racconto (sì, capisco che può sembrare inverosimile, eppure io parlo ai racconti e loro mi rispondono. Generalmente ci diamo del tu). Cos’è per te la critica? chiesi a quel racconto. Quel che segue è la sua risposta.

Il commento, ah!, il commento! Parole su parole; frasi talentuose e dotte che si sovrappongono alle nostre per disvelarne i significati più reconditi. Quale racconto potrebbe resistere al secolare lavoro di sempre nuove schiere di alacri interpreti? Esiste davvero Pinocchio? esiste Don Chisciotte? No, no, non loro! non il racconto, ahimè, arriva a conquistare le vostre coscienze, ma il commento.

Il commento! Voi recensori e interpreti, insensati ospiti di parole di seconda mano, di quello vi gloriate; quello citate nei vostri afasici salotti letterari; quello mandate a memoria per figurare fra i cultori delle belle lettere. Vili birbanti! Mercanti di falsa moneta! Simoniaci! Voi fate commercio di ciò che fu dato gratuitamente all’umanità; voi esigete dalle intelligenze un tributo iniquo, perché non all’intelligenza sono destinati i racconti, ma alle profondità irragionevoli degli esseri umani. Non a ciò che riflette come levigato e gelido specchio noi ci rivolgiamo, ma a ciò che vibra e risuona come la ruvida segreta cavità di un istrumento a corde.

E voi che fate? Cosa fate voi critici, come vi piace chiamarvi a vicenda, quando sovrapponete le vostre parole abusive alle nostre? Voi tappate proditoriamente la corda impedendole di vibrare! Voi uccidete le sublimi armonie del testo affogandole nelle sabbie mobili dei vostri limacciosi ragionamenti! Assassini! Ti sembra forse che io esageri? Allora ti faccio un esempio. Ecco un racconto:

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura

Ed ecco il commento:

Nel mezzo … vita: a trentacinque anni circa.
Selva oscura: è il simbolo dello stato di ignoranza e di corruzione dell’umanità.

Delitto! Infamia! Racconticidio! Tu, tu sai che quel commento è moneta falsa. E se non sai spiegare le cause di questa tua consapevolezza con parole chiare e magistrali, non ti crucciare: va tutto a tua gloria e merito, quale indizio certo del tuo non essere interprete o recensore. Vil razza dannata! Come osano costoro imbavagliare l’armonia delle primigenie parole in un discorso predefinito, preordinato, prescritto?

A trentacinque anni circa. E perché non nell’istante della nascita, o a diciassette anni e mezzo, o a settanta? Credono forse gli interpreti che un racconto non sappia indicare un’età esatta laddove la narrazione lo richieda? Il simbolo dello stato di ignoranza e di corruzione dell’umanità. Ma quando mai? Hai tu forse intravisto il simbolo dello stato di ignoranza e di corruzione dell’umanità in quell’innocentissima e altrimenti risonante selva oscura? E per qual specie di divieto esegetico non potresti vederci una banalissima ombrosa foresta, o uno stato di incerta agitazione emotiva, o una tenebrosa partoriente vagina?

Il commento sta a noi racconti come il canto delle sirene ai marinai. Sappiamo bene che le parole profuse su di noi sono letali, eppure suonano così dolci da vincere ogni volontà di resistenza e timore di annientamento. Ho conosciuto racconti talmente desiderosi di commento da macchiarsi di peccati orrendi, come piegare la loro trama alle scarne capacità intellettuali degli esegeti, o infarcire il loro lessico di parole abusate.

Ho visto racconti felicemente lanciati verso sublimi vette gnoseologiche decadere improvvisamente a favolette moralistiche, e di una morale d’angiporto. Il commento inquina il mare magnum letterario col liquame dell’interpretazione e del disvelamento. Ogni volta che le pieghe di un eccelso discorso narrativo sono spiegate, arrivano schiere di raccontini da due soldi che tentano di riprodurlo meccanicamente, sperando di raccogliere le briciole della fama altrui, e di essere a loro volta commentati. Se il nostro mare pullula di relitti epigoni, lo dobbiamo in gran parte alla peste dell’esegesi e dell’interpretazione.

Tutto nasce da quel pregiudizio durissimo a morire secondo il quale sono i racconti a dover essere letti e interpretati, credendo che nascondano chissà quali occulte significazioni e improbabili allegorie. Orrenda menzogna! Non gli uomini interpretano i racconti, ma i racconti gli uomini, e l’unica umanità che è dato conoscere è quella che si lascia leggere dai racconti.

Non c’è scienza al mondo capace di leggere un uomo tutto intero, non c’è umanità al di fuori della letteratura. Non crederai davvero che l’uomo sia quel groviglio di ossa muscoli vasi e liquami elencati dagli anatomisti; e non vorrai illuderti di scovare umanità nelle correnti elettriche che attraversano le cellule cerebrali; non dirmi che presti fede a chi riduce l’essere umano a vaghe tassonomie psicologiche, né che l’analisi delle relazioni sociali ti basta a rendere conto di ciò che sei.

Diffida, diffida sempre di chi vorrebbe ridurti a una sola parte di te. «L’uomo è razionale», dice uno, ma tu sai bene quanta irragionevolezza abiti in te; «L’uomo è socievole», aggiunge un altro, perdendo di vista la tua solitudine; «L’uomo comunica», sentenzia un terzo, ignorando l’importanza dell’ineffabile e del fraintendimento. Poi arriva quello a cui piace spararle grosse: «L’uomo è mortale», grida costui dall’alto della sua stoltezza, e non è il caso di perdere tempo a confutarlo.

Analogamente il commento agisce su di noi: evidenziando un aspetto del nostro impianto narrativo, perde di vista l’insieme: l’analisi linguistica non tiene conto delle complessità diegetiche; l’indagine formale perde di vista la trama; l’interpretazione dei significati banalizza lo stile. L’unico commento onesto sarebbe la copia integrale, perché solo copiando un racconto è possibile raccontarlo nella sua pienezza. Purtroppo la copia non dà lustro né fama, e non produce titoli accademici, essendo considerata attività pedestre, improduttiva e in certo qual modo demente.

S’io avessi uno spirito rivoluzionario, e mi fosse dato mandato di ridare speranza a questi tempi infelici metterei al primo punto del mio programma l’abolizione dei commenti letterari, delle sedute psicanalitiche e dei programmi politici, primo fra tutti il mio.

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7 Responses to “Critici simoniaci falsari”

  1. mauro says:

    devo dirle… non mi sento niente bene.
    non mi chieda perché glielo racconto, badi soltanto a non azzardare nemmeno uno straccio di commento…

  2. una volta un racconto mi disse, confidenzialmente (eravamo dal parrucchiere, sotto il casco e gonfi di bigodini), che a lui piacevano i commenti. solo che dovevano essere commenti divergenti, estremi, eccentrici. dovevano raccontare qualcosa d’altro, partendo o arrivando da qualche punto, meglio non centrale, meglio periferico e in ombra (mentre parlava, mi mostrava qualche piega nascosta, si toccava i nei sulla faccia, l’orlo sdrucito e le unghie mangiucchiate). in effetti, non erano commenti, ma altri racconti. forse non esiste altro, fuori dal raccontare. o meglio, il resto è letteratura. (quel giorno facemmo la manicure assieme, e lo smalto era rosa corallo, me lo ricordo bene).

  3. gabryella says:

    in generale, tutta la critica d’arte è un colossale inganno (credo qui non necessiti dare ragione di quest’affermazione)

    – questo post m’appare salutare – inoltre (prima che t’ingegni d’abolirlo) gradirei sapere qualche coserella in più su quel tuo evanescente ancorché auto-pre-censurato programma politico
    ..hai visto mai?!

  4. mi fai un riassunto?

  5. letturalenta says:

    mauro, no comment! Al limite una sincera chiosa.

    manginobrioches, in primo luogo son ben lieto d’apprendere di non essere il solo a ricevere le confidenze dei racconti (sai, a volte, quando m’azzardo a dirlo in giro, mi danno del pazzo). In secondo luogo, il tipo di commento a cui alludeva il tuo racconto potrebbe essere una chiosa, o glossa? In un altro punto del lungo discorso che quel racconto mi fece – e che ho fedelmente trascritto – leggo:
    «Se mai verrò trascritto su un supporto libresco, vorrei che la metà destra delle pagine fosse lasciata a disposizione della glossa. Qui tu potresti tracciare i segni che ti vengono in mente man mano che ti leggo: parole staccate; piccole esclamazioni di stupore o di disappunto; grafismi indecifrabili; disegni infantili o ritratti artistici; sonetti estemporanei o un intero poema in distici elegiaci. Vorrei che dopo il mio explicit restassero almeno sedici fogli completamente bianchi, qualora la tua risposta mi superasse alquanto in lunghezza. La tua glossa, ne sono certo, non sarebbe un’arida interpretazione della mia opera, ma una chiosa appassionata a te medesimo.»

    gabryella, non solo l’interpretazione è inganno, ma essendo la letteratura menzogna – secondo l’irrevocabile sentenza del manganellus – essa interpretazione è inganno al quadrato. Il programma politico non è il mio, ma del racconto. Credo che esso si limiti, per l’appunto, all’abolizione dell’interpretazione letteraria, della psicanalisi e dei programmi politici.

    Beneforts, il riassunto sta nell’immagine scelta a illustrazione del post, nonché nei commen… ehm, nelle chiose che precedono la tua.

  6. glossa, ecco. che è un po’ come una glassa sui petrali. sì, ci sono papille per tutto questo…

  7. gabryella says:

    scusami luca ma, in effetti, interloquivo col racconto (sarà mica un tipo così pavido e asociale da sottrarsi al confronto?!)

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