Il lettore è de coccio

Il Prater di Vienna, tratto da www.andreas-praefcke.de

Ho molte cose da raccontare che non si possono scrivere bene. (…) Nelle tue lettere c’è spesso qualcosa che io avevo già pensato esattamente allo stesso modo e che tuttavia fino a quel momento non ero ancora riuscito a definire con precisione. [H.Hofmannsthal, Le parole non sono di questo mondo, Quodlibet 2004, pag. 22]

Così scriveva il guardiamarina Edgar Karg von Bebenburg a Hugo von Hofmannsthal il 13 marzo 1893, ventenne il mittente, diciannovenne il destinatario. Per tutta la durata della corrispondenza, Edgar Karg mostra una grande fiducia nelle parole e nei libri: convinto che la cultura e l’erudizione potessero rivelare il senso profondo della vita – quel senso che a lui sfuggiva – chiedeva soccorso all’amico, pregandolo di inviargli libri, di spiegargli i motivi del senso di infelicità e di incompiutezza che provava, di dargli le parole giuste per capire meglio la propria vita e il mondo.

Non che von Hofmannsthal gli desse molta corda, a dire il vero. Anzi, per tre anni filati cercò di distoglierlo dall’insana idea che i libri possano spiegare la vita, snocciolandogli sotto il naso fior di riflessioni filosofiche sulla distanza fra le parole e le cose, sull’importanza di vivere al meglio la propria vita piuttosto che cercare di capire come è fatta, sull’incapacità della letteratura di dar conto dell’infelicità e del disagio.

Niente da fare: molto probabilmente Edgar Karg era un po’ de coccio.

Cosa che non stupisce più di tanto se si osserva che il carteggio, oltre a un rapporto da amico ad amico, svela anche un rapporto da scrittore a lettore, con Edgar Karg nel ruolo prevalente di lettore. E il lettore, si sa, è de coccio proprio, convinto che là – in quell’interminabile sequenza di sostantivi, aggettivi, verbi, pronomi, articoli e particelle varie – si celi il senso ultimo delle cose, la fonte eterna d’ogni conoscenza, il nocciolo duro di tutto ciò che occorre sapere. Hai voglia a spiegargli che ci sono mille motivi validi per credere esattamente il contrario: egli, il lettore, non cesserà per questo di percorrere caparbiamente la via della perdizione.

Eppure dovrebbero bastare poche semplici considerazioni per fargli capire che la letteratura si occupa solo di questioni risibili e che non può dire niente di sensato. La mole, per esempio, la quantità di parole incise su supporti più o meno durevoli dall’invenzione della scrittura ai giorni nostri. Quando mai servono tante parole per dire qualcosa di serio? Le cose importanti della vita si dicono in poche parole: ho fame; ho sete; sono stanco; sposami!; vaffanculo! Le molte parole servono per incantare, raggirare, irretire, sviare, confondere, depistare. Non a caso se ne usano a palate nei contratti e nei trattati internazionali.

E se non bastasse la mole, si considerino gli argomenti: rapine, stupri, omicidi, inganni, rancori, guerre, catastrofi, burle, stragi, terrore, infamie, scostumatezze e delitti d’ogni specie. Può forse essere onesto e veritiero ciò che fa commercio di simili oggetti? Solo un pazzo cercherebbe la verità in qualcosa di così smaccatamente disonesto. Un pazzo o uno particolarmente ottuso, incapace di vedere l’evidente. A un certo punto Hugo von Hofmannsthal glielo dice così chiaro che più chiaro non si può:

Le parole non sono di questo mondo, sono un mondo a sé stante, un mondo del tutto indipendente, come il mondo dei suoni. Si può dire tutto quello che c’è, così come si può musicare tutto quello che c’è. Ma non si potrà mai dire qualcosa proprio così com’è. (…) Perciò vedi, io penso questo: non vi è nulla di scritto a cui si possa credere. [18 giugno 1895. Ibidem, pag. 66-67]

Ecco la verità pura, semplice, cristallina, ineluttabile, limpida, Eccola lì che risplende nell’animo di chiunque sia disposto ad accoglierla senza infingimenti, distinguo, sofismi: non vi è nulla di scritto a cui si possa credere. E cosa risponde Edgar Karg? Ecco cosa risponde, questo emblema d’ogni lettore passato, presente e futuro: Un giorno vorrei leggere insieme a te un libro. Si può essere più de coccio di così?

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4 Responses to “Il lettore è de coccio”

  1. gabryella says:

    von Hofmannsthal (un “uomo difficile”, sembra) affermerà più tardi che le parole sono indecenti – e, per pudore, celerà la sua eloquentissima afasia nella più bazzicata e impervia delle profondità: la superficie (è lì che mi sono fatta “de coccio” anch’io!)

  2. Miku says:

    Be’, in effetti, terebrare i timpani a Lord Chandos non è idea saggia…

  3. Sai che un po’ di ragione la do anche ad Ergar?

    Bart

  4. letturalenta says:

    Più che indecenti le parole mi sembrano pudibonde, oserei dire bigotte e beghine: si danno un gran da fare per nascondere, velare, celare l’evidenza sensibile delle cose, un po’ come i controriformisti che mettevano le mutande ai putti michelangioleschi.

    Bart, secondo me ha ragione Hofmannsthal, ma Edgar è più simpatico.

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