Vanità

George BrummellHanno un loro destino i sentimenti. Ce n’è uno contro il quale tutti sono spietati: la vanità. I moralisti l’hanno screditata nei loro libri, anche coloro che hanno meglio dimostrato quale larga parte essa abbia nelle nostre anime. Gli uomini di mondo, i quali a modo loro son pure moralisti, giacché venti volte al giorno devono giudicare la vita, han ripetuto la sentenza scritta nei libri contro quel sentimento, l’ultimo di tutti, a sentir loro.

Le cose possono essere oppresse come gli uomini. È vero che la vanità sia l’ultimo sentimento nella gerarchia della nostra anima? E seppure è vero, giacché è al suo posto, perché disprezzarla?…

Ma è l’ultimo, poi? L’importanza sociale conferisce valore ai sentimenti: che cosa dunque, nell’ordine dei sentimenti, può essere più utile alla società di codesta inquieta ricerca dell’approvazione altrui, di codesta inestinguibile sete di applausi della galleria, che, nelle grandi cose si chiama amor della gloria, e nelle piccole vanità? Forse l’amore, l’amicizia, l’orgoglio?

L’amore nelle sue mille sfumature e nei suoi innumeri derivati, l’amicizia e l’orgoglio stesso, partono dalla predilezione di un altro, o di parecchi altri, o di sé medesimo, e codesta predilezione è esclusiva. La vanità, invece, tien conto di tutto. Se talvolta preferisce alcune approvazioni, è suo carattere ed è suo vanto soffrire quando una sola le vien negata; essa non può più dormire su quelle rose a cui non fu tolta l’ultima spina.

L’amore dice all’essere amato: tu sei tutto il mio universo; l’amicizia: tu mi basti, e ben spesso: tu mi consoli. Quanto all’orgoglio, è silenzioso. Un uomo di spirito vivido diceva: «È un re solitario, ozioso e cieco che ha il diadema sugli occhi». La vanità ha un universo men stretto di quello dell’amore; ciò che appaga l’amicizia non è abbastanza per lei. È la regina come l’orgoglio è re; ma è attorniata, operosa, chiaroveggente, e il suo diadema è situato là dove la rende più bella.

[Jules-Amédée Barbey d’Aurevilly, Del dandysmo e di George Brummell, Passigli 1993, traduzione di Mario Ubaldini]

La vanità di cui si parla qui non è quella dell’Ecclesiaste (vanità delle vanità, tutto è vanità, eccetera), ma quella del dandysmo, di cui Brummell fu simbolo vivente all’inizio dell’Ottocento. Questa vanità è una filosofia di vita che Barbey d’Aurevilly riassume efficacemente come inquieta ricerca dell’approvazione altrui.

Questo tipo di vanità non è certo scomparso con Brummell. In fondo, pensavo, anche tenere un blog su cui esternare pensieri, divagazioni e fatti propri può essere un’inquieta ricerca dell’approvazione altrui, un’inestinguibile sete di applausi.

Va detto che, a differenza dei moralisti suoi (e anche nostri) contemporanei, Barbey d’Aurevilly non liquida la vanità come cosa fatua e frivola. Anzi, dedicandole addirittura un libro, la eleva a questione della massima serietà e importanza: cosa dunque, nell’ordine dei sentimenti, può essere più utile alla società? si chiede retoricamente. Avevi mai pensato – o mio fuggevole lettore – che un blog potesse essere cosa utile alla società?

Meglio la vanità dell’orgoglio, dice d’Aurevilly, e fin qui è facile essere d’accordo. Si resta invece un poco spiazzati quando la dichiara superiore all’amicizia e all’amore, ma a ben pensare ha ragione anche in questo. Amicizia e amore hanno davvero un oggetto stretto: l’amato, l’amico, l’altro inteso come vicino e prossimo. La vanità invece si rivolge a tutti i non-io che popolano la vasta terra (o la vasta rete, che è lo stesso). Non si pone limiti, la vanità, e chiama a raccolta tutti gli altri, vicini e lontani, prossimi e distanti, e a tutti indistintamente chiede approvazione e applauso.

Se George Brummell tornasse al mondo aprirebbe sicuramente un blog, e Jules-Amédée Barbey d’Aurevilly lo leggerebbe avidamente tutti i giorni.

Tags: , , ,

6 Responses to “Vanità”

  1. gabryella says:

    a voler estremizzare, la vanità non sarebbe che volontà di guadagnarsi frattagliucole di potenza – di quest’ultima, tratta diffusamente un pensatore tedesco che, sebbene lungimirante e straordinariamente geniale (mi si perdoni l’iperbole), finì alquanto pazzo..

  2. letturalenta says:

    Anche Brummell finì pazzo, porello, e anche lui era straordinariamente geniale nel suo campo, ma forse non molto lungimirante. Lascio a te l’arduo compito di sviluppare adeguatamente il parallelo Nietzsche-Brummell :-)

  3. letturalenta says:

    apposta l’ho lasciato a te, l’arduo compito.

  4. Miku says:

    Boia deh, N. pazzo certamente. Ma molto in ultimo.

  5. alessandro says:

    in questo distinguersi per non uniformarsi, essere disposti a lasciarsi sedurre dal nulla

Leave a Reply