Chiamalo sonno

René Magritte, Le Dormeur téméraire, 1928, Tate Gallery, tratto da www.tate.org.ukNei commenti al post precedente si chiacchierava di origini, di scrittura come riscrittura, di silenzio; e queste deliziose chiacchiere mi han fatto pensare a un libro che ho letto tempo fa e che parla di tutte queste cose, fra l’altro. E dato che scrivere significa riscrivere, non vedo perché dovrei riscrivere quello che ho scritto allora su quel libro: tanto vale copiarlo tale e quale.

Chiamalo sonno è indubbiamente un capolavoro, uno di quei libri che, come diceva Manganelli, contengono tutti i libri. Per evidenziare tutti gli elementi “capolavoristici” di un libro che li contiene tutti occorrerebbe scrivere un ponderoso trattato di critica letteraria, cosa che in questo momento non ho il tempo di fare, per la gioia mia e dell’incauto lettore.

Pubblicato nel 1934, questo romanzo è stato dimenticato per trent’anni, prima di entrare nel novero dei grandi capolavori della narrativa novecentesca. Henry Roth, dopo averlo pubblicato, ha scritto poco o niente per sessant’anni, per poi ripartire dal punto in cui si era fermato. La chiusa del libro contiene la profezia di questi lunghi silenzi coronati da spettacolari epifanie:

«Poteva anche chiamarlo sonno. Era soltanto in prossimità del sonno e ogni battito delle ciglia poteva provocare una scintilla contro l’esca confusa del buio, accendere negli angoli oscuri della camera una tale miriade di vividi zampilli di immagini – un luccichio su barbe inclinate, l’ineguagliabile scintillio su dei pattini, la secca luce sugli scalini di pietra grigia di un ingresso, lo splendore a diminuire delle rotaie, la lucentezza oleosa dei fiumi lisci nella notte, il brillio di sottili capelli biondi, di facce rosse, il brillio delle palme aperte e tese di legioni e legioni di mani che si precipitavano verso di lui».

Una scintilla contro l’esca confusa del buio: luce contro tenebre, amore contro divisione, appartenenza contro esilio, scrittura contro silenzio: una catena di contrasti che descrive altrettanto bene la vicenda editoriale del libro, la vena creativa dell’autore, la storia narrata.

David Schearl è un bambino ebreo di neanche due anni quando arriva a New York dalla Galizia nel 1907. La madre Genya lo porta con sé quando raggiunge il marito Albert nella “terra dorata”. Il padre è un uomo duro e violento, in preda ad assurde manie di persecuzione e incapace di mantenere un lavoro a lungo. La madre è una donna affettuosa che ricopre il figlio di attenzioni dolcissime. Diviso fra amore e terrore, David affronta il mondo, trovandovi altre paure e altra violenza, ma anche scoperte fantastiche e repentine illuminazioni.

Chiamalo sonno non è un romanzo di formazione, un Bildungsroman, ma semmai un Einweihungsroman, un romanzo di iniziazione. La Bildung è la conquista di un’intelligenza chiara e consapevole del senso della vita, una crescita governata dall’intelletto. L’Einweihung è invece il rito di iniziazione a verità misteriose, inaccessibili alla ragione e ineffabili. Il romanzo di formazione rivela la parte adulta dell’uomo, quello di iniziazione rivela la parte infantile. Il mistero per eccellenza, anche etimologicamente, è l’origine, l’inizio della vita: mistico e iniziato designano entrambi “colui che conosce l’inizio”. E il mistero che David Schearl andrà confusamente a svelare è proprio quello delle sue origini.

Spesso, in letteratura, l’iniziazione ha un rapporto molto stretto con la morte: Gordon Pym arriva sulla soglia del mistero dopo aver perduto quasi tutti i compagni di viaggio, Ivan Il’ič ci arriva un attimo prima di morire, e il Peqod deve affondare perché si riveli Moby Dick. David Schearl, al termine del suo cammino iniziatico, resta in bilico tra la vita e la morte in seguito a una forte scossa elettrica, e durante questo periodo di sospensione della vita cosciente intuisce il mistero che lo riguarda.

Dopo la rivelazione verrà il silenzio, quello stato particolare che si può anche chiamare sonno, ma che è soprattutto l’unica condizione in cui è possibile accedere nuovamente al mistero, provocare quella scintilla contro l’esca confusa del buio. Le ultime parole del libro sono letteralmente ultime: chiudendo gli occhi David Schearl rinuncia definitivamente a parlare, sceglie di restare bambino, infante, capace per sempre di rivivere con un battito di ciglia quei pochi istanti illuminati della sua vita, incapace per sempre di descriverli.

Chiamalo sonno è anche – e forse involontariamente – un grande romanzo storico, un affresco memorabile dell’America di inizio Novecento, quella delle ondate migratorie, della mescolanza imponente di lingue e culture diverse nei grandi centri urbani dell’Est. David è anche l’incarnazione di questa Babele, dato che in lui convivono la lingua famigliare, lo yiddish, l’inglese studiato a scuola e indispensabile per parlare con i “goyim”, l’ebraico studiato allo heder (che impara a leggere senza comprendere il senso delle parole) e perfino una lingua misteriosa e per lui del tutto incomprensibile, il polacco, usata dalla madre e dalla zia per parlare di segreti proibiti. Il modo magistrale con cui Henry Roth rende (e Materassi traduce) questo multilinguismo è un altro di quegli elementi capolavoristici di cui sopra.

È anche un pilastro della letteratura ebraica americana; un libro estremamente doloroso; una lettura spesso lenta e faticosa, da conquistare parola per parola; una miscela magistrale non solo di lingue, ma anche di registri narrativi. Uno di quei libri che contengono tutti i libri, insomma.

[Henry Roth, Chiamalo sonno, Garzanti 1986, euro 9,50. Traduzione di Mario Materassi]

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19 Responses to “Chiamalo sonno”

  1. Effe says:

    (scusi, tormerò, volevo solo segnalarle questo articolo di Benigni su Repubblica, che par scritto da lei. Ha fatto scuola, si vede

  2. letturalenta says:

    Grazie della visita (checché deprecabilmente frettolosa) e dell’arguta segnalazione, Effe. Le assonanze fra questo parto benignano e le mie divagazoni digestive gettano ombre inquietanti sul metabolismo del guitto toscano.

  3. Effe says:

    segnalazione importante, e cio che segue e precede la parole è il silenzio.
    Tutti questi Roth, poi: sono una lobby?
    Io ho affetto per il Joseph autore di Giobbe

  4. letturalenta says:

    Sostengo fieramente, e non da oggi, che il prossimo Roth che opterà per la carriera di romanziere dovrà avere la decenza di trovarsi uno pseudonimo. Di Joseph apprezzai anni e anni fa La leggenda del santo bevitore, e credo di non aver letto altro di suo (cosa di cui non meno alcun vanto, beninteso).

  5. Effe says:

    ebbene, se si deve cianciare, io agradesco Giobbe assai più del celebrato Bevitore (tanto che pensai fossero diversi gli autori, e invece no, credo, o forse, chissà)

    Resta da domandarsi se Piperno entra di diritto nella lobby dei Roth de noantri, come dissero i più, o ne sia un ranmo cadetto e oscuro.

  6. letturalenta says:

    Con tutti ‘sti Roth in circolazione, in effetti, potrebbe ben essercene più d’uno, di Joseph.

    Piperno non pervenuto. Stando all’approfondita lettura che ne fece Luigi Weber in Sguardomobile, si direbbe che il pensoso esordiente laziale abbia preso alla lettera il motto che scrivere è sempre un po’ riscrivere…

  7. michele says:

    Veramente bello questo pos, ora mi aspetto da lei, letturalenta un incrocio tra cabala e induismo. So che così su due piedi la cosa le sembrerà bizzarra, senza alcun nesso, ma a guardar bene a saper ascoltare. Questa (mia) naturalmente è divagazione, e altra cosa.

  8. letturalenta says:

    Temo che l’attesa sarà lunga, Michele, molto lunga. Diciamo quei venti-venticinque anni che mi serviranno per apprendere i rudimenti di entrambe le discipline.

  9. michele says:

    Venticinque anni servono solo per l’inizio dei primi rudimenti. Covengo, ma non ha importanza. Passeranno in un lampo, sarà un battino di palpebre.

  10. Effe says:

    (battito di)
    palpebra e palabras, han forse lo stesso etimo

  11. letturalenta says:

    Chi può dirlo? Mai che si trovi un esperto di lingue indoeuropee, quando serve.

    Noto a margine che Henry Roth è apparso oggi anche sul blog di un noto scultore pistoiese, che segnala un breve racconto di Roth pubblicato sul New Yorker.

  12. michele says:

    Palpebra viene da palpare. (così ad occhio) Conoscere meglio ecc, ecc.
    Proprio oggi un mio collaboratore (indiano, colto) mi spiegava alcuni fondamenti per “esorcizzare” (non è parola sua, non può esserci nel suo vocabolario, semplicemente perchè non esiste è cosa senza importanza) alcune inquietudini. Si contempla l’oggetto(che inquieta?non so) poi si chiudono le palpebre e si cerca di continuare a vedere il medesimo oggetto. Secondo l’induista, maestro di meditazione, questo porterebbe ad un giovamento. Chissà?

  13. CalMa says:

    Il cappello (cava quel Borsalino! intendevo una kippah o piuttosto una coppola siciliana) con cui in corsivo introduci alla rece m’aggrada di molto assai.
    (P.S. Se il Joseph era quello della “Marcia di Radetzsky (si scriverà così?)” a ‘sto giro sto in vantaggio su entrambi (te e herzog))

  14. Sì, anch’io ho letto Joseph Roth. Invece non ho mai letto gli altri Roth. E’ grave? (Come disse Marcello Mastroianni in “Stanno tutti bene” a uno che gli aveva chiesto: “ma lei, è siciliano?”).

  15. letturalenta says:

    Michele, una volta contemplai a lungo le inquietanti spoglie mortali di una graziosa giovinetta e ne memorizzai le molte curve e i rari rettifili, esercizio meditativo che mi procurò lì per lì molto giovamento e, in seguito, una moglie e due eredi.

    Sì, Calma, Joseph Roth scrisse anche la marcia di coso, lì, come si chiama, oltre a una valanga di altri libri. Il cappello corsivo ringrazia per il gentile apprezzamento.

    Credo che ci siano cose ben più gravi della mancata lettura di un paio di Roth, Nicolò, anche perché non ci vuol niente a rimediare, se proprio.

  16. michele says:

    Intuitivamente intuisco quanto tu hai intuito.

  17. danaus says:

    Ho letto Call it Sleep tanto tempo fa e l’ho considerato sempre uno dei libri più coinvolgenti, più belli, banalmente parlando, che io abbia mai incontrato nella mia carriera di lettrice. Chissà perchè ho lasciato che quel grosso tomo, mi guardasse sempre e mi invitasse più volte, senza che io rispondessi prontamente. Fose sono stata presa da un senso di torpore, come per Roth. Henry, che si potrebbe accostare a Philip, più che a Joseph, anche se, per stili e semantica, rimangono sempre molto lontani. Grazie per averne parlato. Ora non potrò più declinare quell’invito.

  18. giovanna garzia says:

    Inizierò stasera a leggere Chiamalo Sonno. Da anni e anni lo tengo in libreria senza aprirlo. Grazie al fatto di avere letto di questo romanzo e del suo autore sul vostro sito, non rimanderò la lettura

  19. Giovanna says:

    Chiamalo sonno è fra i libri che mi sono piaciuti di più e di cui, dopo tanti anni, ancora ho ricordo. Adesso mi accingo alla Pastorale americana di Phil.
    Mi era abbastanza piaciuto la cripta dei cappuccini (di Joseph?)

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