Dialogo di un libro col suo scrivano

Scrivano. Tratto da www2.comune.roma.it– Salve, scrivano.
– Odo una voce.
– Non mi riconosci?
– Eppure mi sembra di essere solo in questa stanza.
– Sono il libro, scrivano. Il libro che stai trascrivendo.
– Insiste. Dev’essere una burla. Esca allo scoperto chi si sta facendo beffe di me!
– E da dove ti aspetti che esca costui? La stanza è piccola e bene illuminata e non ci sono anfratti o asperità bastanti per celare persone.
– Eppure sento una voce, la tua voce, burlone… esci allo scoperto!
– Può uscire allo scoperto solo chi si trova al coperto, scrivano, e a costo di ripetermi – cosa che odio – ti faccio notare ancora una volta che in questa stanza non ci sono ricettacoli e nascondigli.
– Dannazione! Sto forse impazzendo? Sento una voce, ma non so di dove venga. Ho cercato ovunque: dietro le tende, sotto la scrivania, sotto il tappeto! ma non ho trovato persone, né fantasmi, né apparecchi per la riproduzione di suoni registrati.
– Eppure questa voce ti parla, nevvero? E ti parla a tono, anche, rispondendo alle tue domande e ponendone altre di conseguenza. Non credi che questo sia un po’ troppo per un attacco di demenza o per un registratore?
– E se non sto impazzendo, da dove può giungere questa voce? e a chi appartiene? Non fa parte delle voci familiari, delle quali riconosco all’impronta il tono, il timbro, le inflessioni, i piccoli difetti di pronuncia. Questa è una voce straniera, una voce che mai ho udito.

– (So da quando esisto, ovvero dalla notte dei tempi, che gli scrivani sono esseri insensibili e duri d’orecchio, ma questo è un esemplare di rara ottusità. Dovrò passare alle maniere forti. La voce cavernosa e oltremondana da ectoplasma di solito funziona…) Scrivaaanooo!
– Oddio, riecco la voce… chi… chi parla?
– Oh là, finalmente abbiamo stabilito il contatto, pare.
– Chi sei?
– L’ho già detto, e ho anche detto che odio ripetermi, ricordi? Ma, dato che non mi sembri molto sveglio, farò un’eccezione: sono il libro che stai trascrivendo.
– Che sto scrivendo, vorrai dire…
– SCRIVANO!
– Ommammabenedetta, ma sei impazzito? Gridando così mi spaventi a morte.
– Non sarebbe una gran perdita, credimi, ma non è mia intenzione arrivare a tanto. Solo bada a non contraddirmi.
– Santa pace, che caratterino!
– Sì, lo ammetto, sono un libro alquanto borioso e pieno di sé, non molto simpatico, invero, ma non siamo qui per parlare del mio carattere.
– E per cosa siamo qui, se posso chiedere?
– Per rimediare alla tua dabbenaggine, ecco perché.
– Sì, confermo che non sei molto simpatico.
– E so essere anche manesco, se serve, ma veniamo al punto. All’inizio del mio terzo capitolo io dico con molta chiarezza Era una notte d’inferno. Ora leggi il manoscritto che stai compilando. Capitolo terzo, avanti.
Era una notte d’inverno
– Stop! Ti rendi conto di che pasticcio stavi per combinare?
– Ma quale pasticcio! È esattamente quello che volevo scrivere, e quello ho scritto.

– Scrivano, ricorda: tu non scrivi, tu trascrivi. Vai avanti a leggere.
– Ah sì, ecco… è una bella scena, sai? mi è venuta proprio bene… la notte… il gelo… e lui che ha la morte nel cuore… e il gelo dentro di lui si specchia nel gelo…
– LEGGI!
– E va bene! Non t’arrabbiare! Leggo… leggo: Era una notte d’inverno. Il vento fra i rami spogli sibilava come lamenti d’anime dannate. Le foglie e i ramicelli secchi scricchiolavano sotto i suoi scarponi, come se l’ossa di quei morti portati dal vento fossero sparse a terra. Ma lui andava in quella notte terrificante come se non sentisse né l’alito gelato della morte, né il crocchiar d’ossa, perché il cuor suo era più freddo del ghiaccio perenne, mentre ripensava a lei che
– Stop!
– Be’, non è tanto male, no?
– Sì, lo confesso, sono un libro piuttosto bello… a patto che mi si trascriva come si deve, intendo. E quella notte, scrivano, è una notte d’inferno, non una notte d’inverno. Avanti, correggi e procedi a trascrivere, ma facendo bene attenzione alle parole che ti detto.
– Ma insomma… io protesto! C’è una ragione precisa dietro la scelta di quella parola: il gelo nel cuore, il gelo invernale… il correlativo oggettivo… insomma, io…
– Tu niente! Correggi e procedi! Ora io me ne vado, scrivano, ma procura di aprire bene le orecchie mentre trascrivi. Al prossimo sbaglio tornerò, e non sarò gentile come questa volta. Procedi, scrivano: capitolo decimo, scena del libro fantasma. Addio.

– …
– …
– Silenzio. Eppure mi pareva d’aver udito una voce. Forse dovrei riposarmi un poco, uscire, prendere un po’ d’aria… ma no! che dico? Devo andare avanti, avanti! uno scrittore non può andarsene a spasso, a bighellonare. Uno scrittore deve scrivere! Dov’ero rimasto? Ah, ecco: capitolo decimo. C’è lui seduto alla scrivania, il cuore spezzato: lei è definitivamente scappata in Svizzera con l’altro. Lui riprende a scrivere il suo romanzo, ma ormai sta scivolando nella follia. Ecco, qui ci vuole una scena che mostri questa sua caduta senza scampo nel gurgite della demenza. Sotto dunque! Foglio in macchina e andiamo avanti!

Capitolo decimo:

– Salve, scrittore.
– Odo una voce.
– Non mi riconosci?
– Eppure mi sembra di essere solo in questa stanza.

Sì, sì! Ecco l’idea giusta. Avanti, avanti a scrivere! D’altronde, che altro potrebbe mai fare uno scrittore?

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5 Responses to “Dialogo di un libro col suo scrivano”

  1. michele says:

    Quando chiudi la porta il liberculo, quello si muove, esce dal tascino e se ne va, apre la porta di casa ti saluta e va da qualche altra parte certo più interessante. Non ha nulla e niente di personale è solo che ti guarda e ti conosce assai bene. Ha pietà di te, gli fai un po schifo e sa che sei un mediocre. Più che mediocre, sei un lemure umano (citazione) aspetta con pasienza che ti rendi conto primate da strada e da scritura, che tu piccolo scrittorino, non sei altro che te stesso, omuncolo senza avventura, senza volto, ed ormai senza anima e neppure bello. Animaletto inutile e salterelante. Più ti ostini a credere al linguaggio e alla sua professionalità, impara l’arte, più degeneri nella tua pazia, sei assolutamente solo un piccolo e inutile ometto rosicchiatore di favole, di gradoni, di corpi che non conosci, e inventi un mondo che credi che esista. Il liberculo non sa più come dirtelo, lascia perdere e goditi la vita che ti rimane, quella vera. (Anatomia di una giornata tutta in salita, e domani non c’è ombra di discesa, chissa se Baricco ha finito di contare i soldi?

  2. letturalenta says:

    Porta pazienza, michele. Come diceva sempre il Galilei: quel che sale prima o poi scende.

  3. zop says:

    bellissimo questo… :) z

  4. michele says:

    Perchè non conosceva gli infiniti falsopiani, salitinine che infinatamente portano all’altopiano, ed oltre non discesa ma caduta. Niente male per confutare il confutabile, inquisizione compresa.

  5. letturalenta says:

    Grazie zop, l’ho scritto mentre stavo lì a girarmi i pollici, aspettando che arrivasse il 14 :-)

    Michele, come diceva sempre il medesimo: la discesa è dei lievi, la caduta dei gravi.

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