Chiosa alle letture di Rousseau

Jean-Jacques Rousseau ritratto da Quentin Latour, tratto da www2.ac-lyon.frLo confesso, sto leggendo Le Confessioni di Rousseau. Mi capita spesso di dedicare alla lettura di qualche classico le pause vacanziere che il vivere concitato e velocista dei nostri tempi così di rado concede. È questo un modo per mettere in pratica quella mia onesta e proba tendenza alla lentezza, alla pigrizia, all’ozio e alla perdita di tempo che troppo spesso rimane allo stadio di mera intenzione. Sì, perché i classici differiscono dall’orrenda letteratura cosiddetta di consumo soprattutto dal punto di vista tachigrafico: prova un po’, o fugace lettore, a leggere Moby Dick a sessanta pagine all’ora: ti ritroverai in testa una tal melma di scene di caccia al capodoglio, brani di cetologia, sermoni e dialoghi marinareschi da uscirne completamente rintronato.

Ebbene, avevo appena intrapreso la placida lettura delle Confessioni roussoviane, quand’ecco che tra i margini della pagina prese forma un pensiero che pareva scritto apposta per me, il lettore:

Mia madre aveva lasciato dei romanzi. Ci mettemmo a leggerli dopo cena, mio padre ed io. All’inizio, si trattava solo di esercitarmi alla lettura con qualche libro divertente; ma l’interesse divenne ben presto così vivo che leggevamo alternandoci senza sosta, e in questa occupazione trascorrevamo le notti. Non potevamo staccarcene che a libro finito. Qualche volta mio padre, sentendo le rondini del mattino, diceva tutto vergognoso: «Andiamo a letto, sono più bambino di te». Acquistai in breve tempo, con questo pericoloso metodo, non soltanto una facilità estrema di lettura e a capire me stesso, ma un’intelligenza delle passioni unica per la mia età. Ancora non avevo idea alcuna delle cose, e già conoscevo tutti i sentimenti. Non avevo concepito nulla, avevo sentito tutto. I turbamenti confusi che provavo uno dopo l’altro non influivano affatto sulla ragione, che ancora non avevo; ma me ne foggiarono una di tempra diversa, e mi dettero della vita umana nozioni bizzarre e romanzesche, dalle quali esperienza e riflessione non hanno mai potuto del tutto guarirmi. [J.J.Rousseau, Le confessioni, Garzanti 1976, trad. di Giorgio Cesarano, pag.8]

Fantastico. Il piccolo Rousseau (all’epoca di questo episodio aveva cinque o sei anni) andava formando i propri sentimenti, e le prime intuizioni sulla natura dell’umano genere, sulle trame e gli intrecci di rapinosi romanzetti, dei quali peraltro non ricorda o non ritiene opportuno ricordare nemmeno i titoli. Tuttavia non mi sembra azzardato, considerando gli effetti, supporre che si trattasse di romantiche (ante-litteram, s’intende) storie d’amore e di passione, quel genere intramontabile che oggi chiameremmo romanzo rosa. Il fine pensatore, politologo e pedagogo Rousseau, insomma, l’autore dell’Emile e del Contratto sociale, il padre putativo del pensiero libertario e democratico era latore di una visione del mondo e degli uomini saldamente fondata su «nozioni bizzarre e romanzesche». Cosa questa che me lo rende particolarmente simpatico, beninteso, e mi fa vagheggiare intellettuali contemporanei solidamente formati sui libri di Liala.

C’è poi una forte componente materna in quelle prime letture di Rousseau, annunciata da quella frase dal suono leggermente doloroso, «Mia madre aveva lasciato dei romanzi». Romanzi al posto di ricordi. Essendo morta sua madre nel darlo alla luce, non è improbabile che leggere i libri che le erano appartenuti fosse per lui anche un modo per renderla presente, per trovare in quello che lei leggeva una traccia del suo carattere e dei suoi sentimenti. Un tentativo inconscio di stabilire almeno un immaginario contatto spirituale. Il romanzo rosa come surrogato della madre: su questo tema sarebbe opportuno scrivere un trattatello particolareggiato e riccamente documentato, ma adesso non ho tempo.

Più avanti, nel 1719, a soli sette anni, Rousseau avrebbe abbandonato i romanzi per passare a nuove letture provenienti dalla biblioteca del padre di sua madre:

La Storia della Chiesa e dell’Impero di Le Seur; il Discorso sulla Storia universale di Bousset; gli Uomini illustri di Plutarco; la Storia di Venezia di Nani; le Metamorfosi di Ovidio; la Bruyére; i Mondi di Fontenelle, i suoi Dialoghi dei Morti e alcuni tomi di Molière. (…) Da queste letture appassionanti, dalle conversazioni che esse occasionavano fra mio padre e me, si formò quello spirito libero e repubblicano, quel carattere indomito e fiero, intollerante d’ogni giogo e d’ogni schiavitù, che mi ha tormentato per tutta la vita nelle situazioni meno proprie a dargli slancio. [Ibidem, pag. 9]

Ahimè, che scambio svantaggioso fu mai quello! Se i romanzi amorosi portavano al piccolo Rousseau barlumi di madre e intelligenza precoce delle passioni umane, le letture erudite e la letteratura più culta furono causa del suo cattivo carattere. Non che le istanze repubblicane e l’amore per la libertà siano in alcun modo deplorevoli in sé, sia chiaro, ma è l’autore stesso a confessare che il carattere uscito da quei libri sarebbe stato per lui un tormento per il resto dei suoi giorni.

Rousseau negli ultimi anni di vita soffrì di gravi disturbi psichici conditi da manie di persecuzione: vedeva nemici dappertutto, sempre intenti a ordire intrighi e complotti ai suoi danni. Mi sembra improbabile che la causa di questo disordine mentale sia da ricercare nella vita e nell’esperienza di Rousseau. È assai più ragionevole spiegarlo come effetto tardivo di quelle letture infantili: in età avanzata, gli intrecci romanzeschi si sono probabilmente confusi nella sua mente con le vite degli uomini illustri, le istorie, le commedie di Molière, e soprattutto con quei Dialoghi dei Morti che fin dal titolo si presentano come candidati ottimali per suscitare nella mente debole di un orfano oscure ossessioni e terrori inguaribili.

E qui concludo, o lettore, notando appena di striscio quanto la vicenda umana di quest’uomo sembri confermare l’esistenza di quel legame profondo e indissolubile fra lettura e demenza su cui da tempo vado meditando.

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6 Responses to “Chiosa alle letture di Rousseau”

  1. L’ultima frase è interrotta? o si deve leggere “andava formandosi”?

    Bart

  2. letturalenta says:

    No, è che ho postato dalla connessione GPRS balzana, che evidentemente ha deciso di piantarsi a metà pubblicazione, troncando il post. Adesso dovrebbe esserci tutto. Grazie per la segnalazione, Bart.

  3. CalMa says:

    ma allora le generazioni venute su a botta di telenovelas (non mi si dica la lettura, lettura, che altri so’ i tempi mo’), allora, dicevo, qualche speranza che lì in mezzo s’annidi un mezzo ma anche un quarto novello giangiac ci pòle esse’

  4. letturalenta says:

    Può darsi, sì che può darsi, ma a patto che le telenovelas in questione siano un lascito della madre, tipo antichi vhs da lei registrati. Altrimenti mi sa che non funziona.

  5. Molto belle le cose che hai scritto…è vero che i classici sono un modo per tornare alla lentezza ormai abbandonata, ma secondo me esistono ancora degli autori contemporanei in grado di farci provare molto.Certo, se prendiamo in considerazione cose della stessa levatura di Lyala…beh,possiamo che la letteratura attuale fa schifo, ma autori del ‘900 come Joanthan Coe o Jack Kerouac…non sono da denigrare.

  6. letturalenta says:

    eh, Martina, ma il punto qui è che i romanzi che leggeva Rousseau erano con ottime probabilità insigni antenati di quelli di Liala. E se da quei romanzi è sorto un Jean-Jacques…

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