Il lettore smemorato

Anna Marongiu, Don Ferrante (1926) tratto da www.marongiu.orgC’era una volta un lettore smemorato che lesse un libro e lo dimenticò. Allora ne lesse subito un altro e dimenticò anche quello. Se un valente professore di letteratura l’avesse interrogato su quei libri, il lettore smemorato avrebbe fatto scena muta e il professore gli avrebbe detto: «Mi spiace, caro discente, la sua preparazione è insufficiente. Ritenti al prossimo appello, se se la sente».

Pensava spesso a una frase di Musil, il lettore smemorato: «è del tempo di Socrate dirsi ignoranti, del nostro tempo essere ignoranti», e gli dispiaceva sapere che Musil aveva detto quella cosa a proposito del non sapere; e ancor di più gli dispiaceva sapere che Musil diceva quella cosa avendo in mente il celebre aforisma di Socrate «so di non sapere». Sapere tutte quelle cose lo gettava nello sconforto. «È segno che non ho dimenticato abbastanza» pensava, e si consolava al pensiero di aver dimenticato almeno il libro in cui aveva letto quella frase di Musil.

Un giorno, mentre leggeva il carteggio fra due ambasciatori del Cinquecento, trovò questi versi citati in una lettera:

Apri la mente a quel ch’io ti paleso
e fermalvi entro; ché non fa scienza,
sanza lo ritenere, avere inteso.

Pur mancando l’indicazione della fonte (il mittente dava per scontato che il destinatario non ne avesse bisogno), il lettore smemorato si rese conto di sapere che erano versi tratti da qualche parte della Divina Commedia di Dante, e perciò fece immediato e irrevocabile proposito di dimenticare al più presto Dante, o almeno la Divina Commedia. Tuttavia quei versi gli ricordavano qualcosa, ma era un ricordo sfocato e confuso. Allora il lettore smemorato decise di inseguirlo, di metterlo a fuoco e di chiarirlo per bene. Si ritirò nella sua cameretta, tolse un quaderno dal cassetto della scrivania e per giorni e giorni ragionò e scrisse, scrisse e ragionò, fino a quando il ricordo prese la sua forma definitiva, ovvero la seguente:

Non basta intendere, orecchiare, aver sentito dire, dice Dante, se l’obbiettivo è il sapere: occorre anche ritenere, ricordare, fermare le cose nella mente. E se Dante ha ragione (e chi sono io per dar torto a Dante?), la via maestra che conduce all’ignoranza è per forza di cose la dimenticanza, l’oblio, la perdita programmata e volontaria della memoria. È proprio del nostro tempo essere ignoranti, diceva Musil. Ne deriva che, per entrare in piena sintonia con lo Zeitgeist corrente, occorre lottare per conquistare l’ignoranza con tenacia e perseveranza. Dimenticare, dimenticare il più possibile, dimenticare tutto.

Ricordo che una volta – ero al liceo – un professore dal cipiglio tutt’altro che rassicurante m’intimò: «metta bene in evidenza, con parole sue, la poetica della Provvidenza nei Promessi Sposi del Manzoni». Risposi che codesta Provvidenza manzoniana io la trovavo un po’ troppo selettiva e partigiana, perché si dava un sacco da fare per salvare i buoni, lasciando crepare fra atroci tormenti i cattivi e gli idioti, ovvero i più bisognosi del suo soccorso. Più che Provvidenza, aggiunsi, a me sembra Vendetta. «Lei non ha studiato!» gridò il professore dal duro cipiglio «Lei non sa niente!», e tosto tramutò la mia insipienza in un quattro sul registro. Quella fu una pietra miliare nella mia battaglia per la conquista del non sapere.

Il personaggio che preferisco nei Promessi Sposi è don Ferrante, emblema di un’ignoranza naturale e così perfetta da essere immune al virus della sapienza. Don Ferrante non sa di non sapere, ignora perfino la sua stessa ignoranza. E per giunta non riesce mai a sapere, a dispetto della sua splendida biblioteca e delle ore e ore dedicate allo studio. E che gran dono è questa sua refrattarietà al sapere! Così grande da vincere l’angoscia della morte. Don Ferrante morì sereno, sicuro in cuor suo di essere vittima di una congiunzione astrale contro cui non poteva far nulla. Altri morirono dopo aver fatto di tutto per evitare il contagio senza riuscirci. Morirono con il dubbio angosciante di essere loro stessi concausa della propria morte, per non aver fatto abbastanza, per aver sbagliato qualcosa.

Occorre studiare molto per diventare davvero ignoranti. Occorre leggere molti libri, e leggerli lentamente, fermando ciò che si legge nella mente, come dice Dante. Bisogna riflettere su quel che si legge, osservare i dettagli, le singole frasi, e ragionarci sopra a lungo, fino capire bene cosa dicono. Bisogna sapere, poi sapere di sapere, e infine sforzarsi di dimenticare tutto quello che si sa. A don Ferrante veniva naturale non sapere, ma noi comuni mortali dobbiamo esercitarci a lungo per raggiungere i suoi livelli.

Quand’ebbe messo il punto dopo livelli, il lettore smemorato rilesse quanto aveva scritto, e vide che era cosa buona, e ne fu molto soddisfatto. «Ora che ho chiarito bene quel mio pensiero confuso e vago» pensò «posso dedicare tutte le mie energie future a dimenticarlo, con impegno rigoroso e indeflettibile forza di volontà». Fece per alzarsi dalla sedia, ma non ci riuscì. Provò ancora, ma si rese conto che il corpo non obbediva più ai comandi della mente. Nei molti giorni dedicati a inseguire il suo pensiero, infatti, il lettore smemorato si era completamente dimenticato di mangiare, ed era morto d’inedia.

«Oh, mi sono dimenticato di morire» disse un attimo prima di dimenticare d’essere mai esistito.

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12 Responses to “Il lettore smemorato”

  1. giogaldina says:

    … quindi non ha dimenticato nulla?

  2. giogaldina says:

    Ritiro il mio commento parziale, dal browser visualizzavo solo i primi 2 paragrafi, sto’ web :-)

  3. letturalenta says:

    giogaldina, volevo dire una cosa, ma l’ho dimenticata!

  4. melpunk says:

    bellissimo!
    come dicevi la dimenticanza è un tema che corre, sul filo, che ho perso… ehehhe
    a parte gli scherzi. in un epoca (mi pare simmel abbia detto cose importanti al riguardo) di crescente e velocissima sovraespisizione il “male” è il dimenticare, lo sfuggire, il frantumarsi. in passato la memoria individuale e collettiva era ben più potente. tornerò presto su questo argomento. credo domani. saluti
    mel

  5. Un altro gioiellino.

    Bart

  6. michele says:

    Dopo il già citato Nicola Cusano (De Docta ignorantia) percorso tutto in salita, (dopo vi è discesa)voglio lasciare ai lettori di memoria labile una letterina tra Gallileo è Keplero: “Ti ringrazio -scrive Gallilei a Keplero- di essere stato il primo, anzi quasi l’unico ad aver prestato fede alle mie affermazioni già dopo un primo sommario esame, n’è v’era da attendersi altro dall’acutezza e dalla schietezza della tua mente. Ma che dirai tu ai primi filosofi della nostra gran scuola di queste parti, i quali, ad onta di mille e mille inviti, nella loro ferrea cocciutaggine si rifiutano di esaminare i pianeti o la luna o il cannochiale stesso, e quindi chiudono a forza i loro occhi alla luce della verità?… Gente di tal risma crede che la filosofia sia un libro come l’Eneide o l’Odissea, e che la verità vada indagata non nel mondo della natura, bensì (sono loro parole testuali) confrontando fra loro i testi. Come rideresti se potessi ascoltare il più stimato dei filosofi della nostra università affaticarsi e discettare per staccar dal cielo i nuovi pianeti con argomenti logici, quasi che questi fossero formule d’incantamento.” ….

  7. CalMa says:

    Ero partito per scrivere qualcosa (che ovviamente ho già dimenticato) ma adesso mi sto chiedendo che ci faccio qui. Ah! Giusto. Mi è capitato ancora, e chissà più quante volte saranno, di comperare per l’ennesima volta lo stesso libro. Bello, mi dicevo ririleggendo, tuttavia non m’è nuovo. Tale e quale a Totò, hai presente? Avrà a che fare l’oblio, con la sapienza? E questa col rincoglionimento? Mah!

  8. kalle b. says:

    Don Ferrante sta simpatico, e molto, pure a me.

    Bella la lettera di Galileo.
    “I discorsi nostri hanno da essere sopra il mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta”, diceva da un’altra parte. Pero’ il mondo di carta ha il suo fascino e la sua necessita’, non neghiamolo.

    Ah, a proposito, mi sono ricordato di aprire il famoso blog. Luca, dagli un due settimane di rodaggio pero’, che per ora e’ ancora un bimbo in fasce. Spero di ricordarmi di aggiornarlo, ogni tanto (come vedi parto con le migliori intenzioni)

  9. gabryella says:

    serve ricordarsi di sapere di non sapere? forse lo so, o forse non lo so – in ogni caso, è già abbastanza seccante doversi ricordare di ricordarsi di sapere di..zzzzzz

  10. letturalenta says:

    Ma tu guarda quanta bella gente salta fuori, quando si parla di oblio…

    gabry, io a malapena mi ricordo di svegliarmi la mattina, per dire.

    kalle, era ora, neh! Benvenuto nel magico mondo dei collezionisti di sabbia.

    CalMa, tengo uno scaffale apposito della libreria, per i doppioni, che poi rifilo allegramente ad amici e parenti. E sì, temo che il rincoglionimento non sia del tutto estraneo alla cosa…

    michele, ti vedo particolarmente attratto da Galileo, una specie di attrazione gravitazionale, direi…

    Bart, grazie.

    mel, credo che ci siano molte cose che devono essere ricordate e stampate nella mente, come diceva Dante, e quasi nessuna di queste cose ha a che fare con l’erudizione o il “sapere” qualcosa. Ma è un discorso potenzialmente infinito, e attendo con curiosità i tuoi prossimi interventi.

  11. melpunk says:

    letturalenta
    per intanto sappi che ora c’è http://mi-ricordo.blogspot.com

  12. […] Lo segnalo perché il tema della memoria e quello parallelo dell’oblio mi sono molto familiari. E familiari mi suonano in particolare il rammarico della memoria (purtroppo ho dei ricordi) e l’oblio inteso come lavoro consapevole di rimozione (ho sempre voluto dimenticare). Il lettore bisognoso di conferme e non privo di tempo da buttare clicchi qui. […]

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