Ci vorrebbe come il pane

di Maria Pizzuto

Eccellentissimo filologo, quale egli, il nostro Gualberto Alvino ha scandito le dissonanze presenti nelle centinaia di pagine dell’opera di Mauro Canali Le spie del regime, il libro dominato dall’arbitrio di voler mettere in luce propri impulsi elevati a “coscienza della storia”. Scoli di commissariati periferici e di tenenze dell’Arma gestite alla buona, da lui gabellate come documenti dissecretati, da assodare studiosamente, resi come palese specchio di un cinquantennio.

Quel libro è stato un pantano di dolore per me. Ha sconquassato i tre sistemi difensivi dell’organismo: la linfa è stagnata nei miei arti inferiori in una sorta di elefantiasi da impedirmi di indossare le scarpe se non maggiorate di tre numeri; il sistema immunitario, collassatosi, mi ha esposto a ogni sorta di danni cutanei, di esasperati stati infiammatori; quello circolatorio ha esaltato pressioni arteriose massime e minime con sbalzi da ictus: perdite improvvise di equilibrio quando in piedi, vertigini, stati di panico e insonnia, fino alla depressione. Mi trascinavo notte e giorno su una poltrona con comandi elettronici da farne un letto, e ciò per quattro mesi circa.

In questo stato di vacilla coscienza ho pregato l’Alvino, prezioso collaboratore della Fondazione ed elemento di spicco del nostro Comitato Scientifico, di opporre lui, filologo d’eccezionale competenza, un argine a tanto orrore seminato dal quotidiano «La Repubblica», dall’intervistatrice Simonetta Fiori e dall’intervistato Mauro Canali.

Unico mio conforto in quei giorni il pizzutino d’emergenza (Gualberto Alvino, Di chi ha paura Pizzuto?, Roma, Fondazione Antonio Pizzuto, 2005) nel suo prendere vita.

Erano già quasi scaduti i 90 giorni utili per l’inoltro della querela. Ma ci sono riuscita. Prossima la battaglia di una causa penale che voglio vittoriosa per la Fondazione Antonio Pizzuto.

Desidero giustizia e l’otterrò con la mitezza d’una richiesta di scuse da parte di uno dei maggiori quotidiani dell’Italia europea.

Quanto colpevole «La Repubblica»? Tanto, nella persona del direttore al quale feci pervenire una mia lettera aperta con richiesta di scuse ufficiali sul quotidiano, o prendendo atto di una querela. Querela gestita dall’avvocato Filippo di Iorio e in discussione il prossimo settembre.

Il processo civile ha accertato la colpevolezza e sancito l’entità del danno civile e morale e fisico in un rimborso di cinquecentomila euro da versarsi alla parte lesa. Ora io volgo l’attenzione a «Repubblica» e dico che a riscatto delle proprie colpe non potrebbe avere a disposizione occasione migliore di pagare l’intera somma senza mercanteggiamenti, ma anzi con parole magnanime di scusa a me per l’offesa e all’istituto della Fondazione che sta in questo 2006 celebrando il trentennale della morte di Pizzuto, in ogni dove cultura stia di casa commemorato con eclatanti consensi europei in Internet.

La certezza di questa vittoria, come vado esponendola, è fondata nell’intento di offrire, senza infierire, possibilità a «Repubblica» di riscattarsi contribuendo a celebrare la ricorrenza del trentesimo anno della morte di un grande scrittore quale fu Antonio Pizzuto: insultato invece con falsa memoria di inesistenti infondate accuse; laddove nelle pagine in cui il Canali pubblica i testi autentici dei documenti, Pizzuto compare come un campione di rettitudine civile nei confronti di uno stato cobelligerante, come la Germania dell’epoca nazifascista.

Si evince da quei documenti che egli operò sempre avvedutamente e correttamente in un periodo cruciale della storia del pianeta terra quale la seconda guerra mondiale, e che fu un prezioso agente segreto che da solo aveva tessuto e alimentato la più complessa rete d’informatori dell’Occidente. Tanto bene organizzata da suscitare le cupidigie dei tedeschi con richiesta di esserne compartecipi quanto a informazioni utili per gli scambi di personaggi in vista. Non sa di certo l’esperto Canali che il Pizzuto salvò dalle Fosse Ardeatine (riuscì a strappare si potrebbe anzi dire con misurata efficacia) l’allora direttore del «Tempo» di Roma, Renato Angiolillo, il quale transitava in via Rasella, dove fu fermato dai tedeschi il mattino in cui avvenne il famoso attentato. Sicuramente mio padre gestì uno scambio di persone e si servì della sua lista per l’attuazione di questo suo impegno attraverso informatori a lui ben noti.

Ai miei occhi, un’unica possibilità di riscatto si configura: ascoltare e assecondare l’uso che intendo fare dell’ingente somma che il processo civile mi attribuisce come diritto di parte lesa.

Benché lo scopo e lo statuto della mia Fondazione Antonio Pizzuto, titolare d’impresa editoriale non a scopo di lucro, si sono adempiuti bene grazie a un savoir faire di cui vado fiera, il programma tuttavia ancora non ha potuto esprimere la sua vera dimensione, ed è a ciò che vado pensando in questo momento. Eticamente parlando, la Fondazione molto di sé concede alla retta azione auspicata nei confronti degli umiliati e offesi. I miei umiliati e offesi sono l’aspetto più toccante, più intimo e mio di percepire l’umanità sofferente intorno a me, sballottata in un mondo impietoso. Per gli umiliati e offesi che si sono esaltati e sentiti partecipi dell’arte ― quale che essa sia ― io voglio istituire un cospicuo fondo affinché a ogni derelitto che invano cercò d’identificarsi nella scrittura, nella musica e in ogni forma d’arte sia assicurato a un dato momento un vitalizio decoroso. Desidero, auspico, mi struggo di dare agli umiliati e offesi la speranza di un vitalizio di cui valga la pena d’essere fiduciosamente in attesa. Un vitalizio dal profondo del cuore umano per i meno fortunati.

Sarà una sorta di Bacchelli-bis, un fondo Antonio Pizzuto per i diseredati. Quale più degna, più esaltante commemorazione (insieme alla tomba che il Comune di Roma per certo gli dedicherà) per questo trentennale, fra quattro mesi alla sua conclusione? Ci sarà un grande lavoro da fare per questo fondo Pizzuto-Repubblica, dedicato agli umiliati e offesi d’Europa: regole da stabilire, conteggi e investimenti da fare per rendere la somma fruttuosa, in moltiplicarsi, per un avvenire di vita soddisfacente e gioiosa a buon pro di creature diseredate e bisognose.

Grazie a Dio, l’idea la trovo sublime. Grazie.

Allora faremo pace tutti. Ci sarà una pace grande per tutti. E magari una stretta di mano con Simonetta Fiori e con Mauro Canali, liberatisi dalle loro ubbie.

 

Maria Pizzuto

2 Responses to “Ci vorrebbe come il pane”

  1. zop says:

    hey un saluto! che ultimamente son molto lento a leggere… ma so che tu mi capirai! ;) z

  2. da evitare come la peste…. ciao

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