Meglio quando il caso, e se duole, togliersi il dente

di Maria Pizzuto

A questo punto, meditando sul già detto, sentirci come il fuco. Una volta raggiunto l’affondo della regale vagina, altro non restarci come fondazione non riconosciuta, la morte.

Trenta opere d’autore, di nuovo veicolate con successo come prodotto editoriale, appagare il nostro scopo significandosi: compimento di un’opera omnia nel limitato spazio di sette anni a fondatione condita.

Un impegno in grado di porci al primo posto nell’ultimo scorcio d’un inizio-millennio come espressione del modo più dinamico di produrre cultura di qualità.

Chi altro, di là da noi, in grado di poter affermare un altrettanto felice esito a fronte di un altrettanto gravoso impegno?

Risultato raggiunto da noi tramite un dinamismo da potersi definire al limite delle umane possibilità.

Noi, come fondazione non riconosciuta, esprimiamo la vivente realtà di uno sforzo d’azione culturalmente legale svolto da una gestalt compatta, formata da editori non commercialmente goduriosi, ma aventi un intelletto attento a impegni ardui; un’attenzione disinvoltamente ricusata da ben più grossi calibri ai quali ci rivolgevamo ritenendoli fruibili di diritto di prelazione per far rivivere le grandi opere.

Questa volta però il fuco intende sfuggire alla morte e, avendo per questo provveduto all’azione determinata, quel meschinello intende affermarsi vivo e vitale nel tempo a venire con la richiesta del riconoscimento spettante di diritto a chi con tanta evidenza mostratosi il migliore.

 

I miei coeditori (Fondazione Piazzolla, Sellerio, Polistampa, Cronopio, Mesogea, Editori Riuniti, Casta Diva, Scheiwiller, Nuova Ipsa) così come i miei consulenti (Gualberto Alvino, Antonio Pane, Rosalba Galvagno, Felicita Audisio e altri) sono al mio fianco alla ribalta di una storia della letteratura, della quale si deve riconoscerli come elementi preziosi di attenzione filologica e linguistica inerenti all’arte di Pizzuto da loro esaminata e diffusa con caparbia volontà di farla conoscere a tutti i costi.

Alla fondazione, il vanto inoltre d’aver dato vita ai «Quaderni Pizzutiani» (quadrimestrale di varia cultura) diretto da Maria Pizzuto e dalla versatilità d’immagine di Nostrat Panaj Nejad, il quale trasfonde intellettuali perspicacie provenienti dall’antichissima iranica terra, oggi, col resto del mondo, fagocitata in un inesorabile sfacelo di ottani puzzolenti da porla alla stregua dei modernismi nazionali amputati dai pregevoli valori delle memori connaturate, conoscenze.

A proposito della fondazione non riconosciuta titolare d’impresa editoriale non a scopo di lucro, la nostra fondazione, con ogni legale diritto, sancito dai fatti (e sono quelli a contare), è stata da noi resa manifesta nel mondo di fine secolo e inizio-millennio.

Alla gioia di aver potuto svolgere quanto prefissami come presidente della fondazione e nonostante il mancato riconoscimento, aggiungo la soddisfazione di aver saputo esprimere ― da illegittima ― scopo, statuto e, per quanto possibile, in parte anche il programma stesso di fondazione.

Vorrei aggiungere i non pochi crucci che, pur se perdonati, non per questo meno dolorosamente sovente turbarmi l’anima attraverso contrastanti sentimenti e amare memorie.

Soprattutto, il pensiero di quello che la fondazione Antonio Pizzuto, privata del riconoscimento potrebbe aver perduto di abbondanza economica a partire dalla nascita in quel 24 luglio ’96. Orbene, se qualche donatore fosse apparso all’orizzonte con magnanima voglia di legare a questa, tutta, o parte di una ricchezza ingente, avremmo perduto una posta non indifferente.

Utile la liquidità, beninteso, per il mantenimento del fragilissimo fondo cartaceo e degli autografi d’autore. Inoltre ci sarebbe stata d’aiuto per ampliamenti del programma quali le borse di studio a universitari che abbiano conseguito laurea su tema pizzutiano.

Nel tempo intercorso tra il 2004 e il 2005, due giovani laureate, Benedetta Panieri in Bologna, nonché Teresa Spignoli in Firenze, hanno potuto per i meriti dei loro testi accedere a borse di studio erogate dalle rispettive università ― Bologna per la prima, Firenze per la seconda ― che hanno permesso loro di ottenere il dottorato di ricerca.

Affettuosi vanno i nostri complimenti alle neodottoresse per i loro impegni personali di studio; ma ci è dolce e caro pensare anche come senza il nostro lavoro pro-fondazione non riconosciuta in grado noi di sentirci complici dell’ingegno delle due giovani rimaste al nostro fianco scegliendo la via da noi indicata: quella di un ritorno di Pizzuto nutrito dall’Opera Omnia che mancava da oltre quarant’anni nelle librerie.

In noi l’urgenza di promuovere e assolvere una favorevole azione per un inizio valido e promettente verso il riconoscimento che intendiamo affrontare con ostinazione caparbia proponendolo alla Provincia che ne ha per legge l’onere.

Che cosa fare ce lo consiglierà il buon senso, attraverso l’appoggio di quanti vorranno aderire con immediatezza e impegno a propagandare questa nostra richiesta.

Contiamo in qualcosa di veramente eclatante di cui fieramente potersi vantare il mondo della cultura inquadrando l’importanza dei valori, in sé e per sé migliori del riconoscimento stesso, e degli allettanti contributi economici.

Nell’istituto della fondazione sono in essere valori di base, dissimili fra loro a seconda del contesto vigente a governare l’ordine tradizionale di ciascuna fondazione.

Quando riconosciuta dalla Provincia ogni fondazione è in grado di accumulare ricchezza fin da principio attraverso eventuali lasciti, donazioni, legati, congrui contributi da parte di enti pubblici o privati; tuttavia, in caso verificarsi una carenza iniziale di questi doviziosi proventi, le difficoltà economiche non significano un problema definitivo o tale da compromettere e scalzare i propositivi valori di una rapida, vitale e imprevista soluzione dei fatti.

I rimedi pur se di là da venire, sempre nelle possibilità di affluire, ritrasfusi in favore della fondazione una volta arrivato il giusto momento.

Per adesso a valere per noi solo un comportamento da campione di pallacanestro tentando infilare un pallone nel cesto. Insomma, fare centro, detto in parole semplici semplici.

Tuttavia nessuno può immaginare quanto intenso il disorientamento e il timore per l’incerto, ancora tutto da realizzare.

I valori sommamente importanti sono ponderabili e, pur con un certo sforzo, apprezzabili nella loro prospettiva.

L’intento di sapere evidenziare una fondazione, trasfusa soprattutto di valori etici e, per scelta, votatasi a un etico impegno sicuro punto di partenza predisponente alla vittoria finale.

Contempliamo a questo punto il destino della Fondazione Antonio Pizzuto nel pieno diritto di tutto il suo operato trascorso di accedere al giusto riconoscimento.

 

Fondazione Antonio Pizzuto

10 Responses to “Meglio quando il caso, e se duole, togliersi il dente”

  1. letturalenta says:

    In queste parole di Maria Pizzuto sento una rabbia sapientemente educata, piallata, levigata, tenuta sotto controllo da un carattere fiero e composto, il carattere di una persona ricca di dignità.

    Che la Fondazione Antonio Pizzuto non sia riconosciuta dalle istituzioni è semplicemente una vergogna, che si aggiunge – lo ricordo ai più distratti – alla vergogna di un sindaco di Roma sedicente intellettuale, sedicente scrittore, sedicente uomo dde curtura che dopo anni e anni di richieste e suppliche non riesce proprio a trovare quei cinque minuti che gli servirebbero per dare una sepoltura decente ai resti mortali di un grandissimo scrittore.

  2. gabryella says:

    non m’intendo di pratiche fondazionistiche e, tuttavia, attivarmi nel merito (come privato) intendo e provo – saluti grati e inoltre olè

  3. Gualberto Alvino says:

    Gabryella, sei fantastica! Esisti davvero?

  4. Manuel (segretario della Fondazione) says:

    Per gabryella: Sono già stato all’URP della prefettura per ottenere materiale informativo per il riconoscimento della fondazione. Ad ogni modo essere attivi in due in questa direzione e meglio che da solo. Se fosse interessata alla normativa di riferimento ho lasciato un commento a EXTRASTRONG: quella è la legge che nel 1996 taglio le gambe alla procedura di riconoscimento stupendo pure l’impiegato addetto tanto da spingerlo a chiamare Maria Pizzuto dicendole che quelcosa di inspiegabile aveva bloccato la burocrazia. Poi, tutto cadde in prescrizione.

  5. letturalenta says:

    Gualberto, Gabryella esiste eccome, ed è una blogger piena di qualità!

  6. Gualberto Alvino says:

    Lo so bene. Era un modo per esprimere stupore, ammirazione, gratitudine.

  7. michele says:

    L’infinito burocratico è inesistente, più esiste più questo nega la sua esistenza. Non so quali sindaci o quali altri siano deputati. Conosco questo gioco con riflettori, luci e trionfi, nastri tricolori e giochi vari pirotecnici. So quale notte biancha è importante, non so se posso essere utile e presente discretamente, intanto ringrazio e come un infinito matematico sono a disposizione, per quel che che conta.

  8. Manuel (segretario della Fondazione) says:

    Possibile che nonostante Maria Pizzuto si sia prodigata a scrivere tutto questo non s’è mosso niente?…

  9. michele says:

    Chiedo preventivamente scusa. Mi rivolgo qui alla fondazione -Antonio Pizzuto-. Credo sia opportuno (qualora questo non fosse stato già fatto) riscuotere un debito di riconoscenza. Far presente la richiesta della Signora Maria, “una degna sepoltura” alla persona che manifestò già debiti verso Antonio Pizzuto (Ravenna edizioni Polistampa). Credo, possa felicemente spendere giuste parole risolvendo nel trentennale, presso il sindaco di Roma, almeno la questione che personalmente ritengo più urgente.

  10. gabryella says:

    vorrei soltanto dire a Manuel che non ho dimenticato il mio impegno, e che non dispero

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