Archive for October, 2006

[dtfn] V – Commento primo

Monday, October 30th, 2006

(Il manoscritto ritrovato di letturalenta. Frontespizio e indice)

Saku Paasilahti: De te, fabula narratur (1999), tratto da http://rikart.lib.hel.fi/A conclusione del mio secondo capitolo compare questa frase (un po’ elegiaca, invero, probabilmente a causa di qualche civetta di passaggio): Quando mi abbandonerete, o immagini viventi di qualsivoglia racconto, quando non avrete più nulla da raccontarmi, allora i segni sparsi sulle mie pagine cadranno per sempre nell’oblìo: dimentichi di tutto, analfabeti, insignificanti.

Ho verso questa mia frase un debito esegetico che non voglio lasciare insoluto. Essa racchiude il non troppo velato timore che un giorno abbia a verificarsi una catastrofe: quando mi abbandonerete, dissi, dando quasi per certo che la minaccia prima o poi prenderà corpo e slancio per abbattersi su di me. Per un racconto sarebbe letale essere abbandonato da coloro di cui si nutre. (Stavolta l’ho acchiappata io, la civetta, una metafora che ha fatto di tutto per non lasciarsi catturare. Perché son bastarde, eh!, bastarde bastarde bastarde! S’infilano dappertutto a tradimento, ma quando ne cerchi una, via che corrono a nascondersi). Nutrimento spirituale, beninteso, non vorrei allarmarti. Il racconto morirebbe d’inedia, simile a un infante abbandonato dalla madre, a un maestro senza allievi, a un seme senza terra, a un operaio lasciato privo di rappresentanza sindacale, a un motore disseccato di carburante, a un ubriaco a cui si nega il vino.
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La presa della corrente

Wednesday, October 25th, 2006

In questa puntata della pizzuteide Maurizio Sperati ci racconta di quando andò per riparare una presa della corrente e fu preso nella corrente vitale e produttiva di Maria Pizzuto, artefice di una cultura davvero universale.

La presa della corrente
di Maurizio Sperati

Girando su internet alla ricerca di buone nuove su Antonio Pizzuto, ho trovato, su letturalenta.net, un interessantissimo blog. Nello scorrere gli articoli, ho notato gli interventi di Maria Pizzuto e altri estimatori, conosciuti e non. Allora anche io voglio dire la mia.

Mi chiamo Maurizio Sperati e sono, se così si può dire, un appartenente “povero” del popolo degli estimatori di Antonio Pizzuto, cioè non uno di quelli che contano e che hanno studiato la letteratura italiana all’università, insomma, l’unica letteratura che conosco si ferma davanti al portone di una scuola professionale indirizzo tecnico elettronico, capirete che quella che s’impara lì è la cultura generale, forse troppo generale, generalissima, diciamo che grazie a quella si possono quasi concludere le parole crociate. A voi che leggete questo articolo, e che provenite da tali studi (non ve la prendete) non voglio dire che siamo studenti di serie B, voglio solo dire che la vera letteratura è un’ALTRA.
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Questo piacevole trattenimento delle persone sfaccendate

Monday, October 23rd, 2006

Pierre-Daniel Huet, tratto da http://en.wikipedia.org/wiki/Pierre_Daniel_HuetCome dicevo più di un mese fa, sto cercando di occuparmi di un libro che non esiste, e per occuparmene ho interpellato una schiera di dotti in svariate materie letterarie. Confesso che prendere la parola fra loro mi intimorisce non poco. In quel consesso di esseri pensanti radunati attorno al Trattato sull’origine dei romanzi di Pierre Daniel Huet, infatti, siedono scrittori, poeti, critici, filosofi e intellettuali che quanto a titoli e competenza mi sopravanzano di svariate misure. Me ne starei volentieri zitto in un angolo ad ascoltare quello che loro hanno da dire, ma – essendo io in qualche modo la causa di quel medesimo simposio – non posso sottrarmi al dovere di partecipare. D’altronde è il testo stesso che autorizza gli ignoranti a prendere la parola sulla letteratura, laddove dice:

Due strade affatto opposte, che sono l’ignoranza e l’erudizione, la rozzezza e la pulizia, conducono sovente gli Uomini ad un medesimo fine, che è lo studio delle finzioni, delle favole e de’ Romanzi. (pag 54)

Il mio unico titolo letterario è il cumulo disordinato e abnorme di letture che ha popolato e popola la mia mente da quarant’anni a questa parte. Per dirla in breve, sono un lettore. Il mio discorso, dunque, non sarà un discorso dotto, competente, tecnicamente ineccepibile, ma una chiacchierata informale da lettore a lettori sul fascino che il Trattato esercita su di me. Non parlerò dunque di teorie, di paradigmi, di concetti, di forma e di sostanza, ma solo di segni, di indizi, di impressioni.
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[dtfn] IV – Promemoria

Thursday, October 19th, 2006

(Il manoscritto ritrovato di letturalenta. Frontespizio e indice)

Saku Paasilahti: De te, fabula narratur (1999), tratto da http://rikart.lib.hel.fi/Ricordami per cortesia che devo parlarti di dizionari e comodini. Potrei farlo qui, ma c’è una questione importante che devo trattare quanto prima.

Paolo Nori, Noi la farem vendetta

Wednesday, October 18th, 2006

Paolo Nori, Noi la farem vendettaL’ultimo libro di Paolo Nori si intitola Noi la farem vendetta che è anche un verso di una canzone anarchica che si intitola Figli dell’officina. Il protagonista del libro di Paolo Nori, Paolo Nori, verso la fine del libro canta questa canzone a sua figlia Irma per addormentarla. Il testo della canzone Figli dell’officina è questo:

Figli dell’officina
o figli della terra
già l’ora s’avvicina
della più giusta guerra
la guerra proletaria
guerra senza frontiere
innalzeremo al vento
bandiere rosse e nere
avanti siam ribelli
fieri vendicator
un mondo di fratelli
di pace e di lavor
dai monti e dalle valli
giù giù scendiamo in fretta
con queste man dai calli
noi la farem vendetta

Prima di cantarla a sua figlia per addormentarla, Paolo Nori racconta di aver fatto ascoltare la stessa canzone a sua madre, molto tempo prima che la figlia nascesse:
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Gomorra

Tuesday, October 17th, 2006

Roberto Saviano, GomorraCome non di rado succede da queste parti, affronto in ritardo un argomento di attualità. Anche se questa volta, lo dico a mio disdoro, si tratta di un ritardo di appena quattro giorni: risibile.

Ho meditato a lungo sull’opportunità di questo post. Motivi per non farlo ne avrei a bizzeffe, e qui mi limito a citare i principali:

1. Non ho letto il libro di Roberto Saviano, perché i libri che hanno rapporti stretti con la cronaca – e in particolare con la cronaca criminale – non sono mai stati nelle mie corde.
2. Sono allergico agli appelli, alle campagne di solidarietà, alle chiamate a raccolta, ai bandi, ai manifesti, alle petizioni.
3. Non sopporto i riflettori e la gente che fa calca per entrare nel cono di luce.

Ma queste sane norme igieniche, che continuerò a praticare per l’ordinario, in questo caso non valgono. Non vale in particolare la prima, perché quello di Gomorra non è più il caso di un libro che si occupa di criminalità, ma un caso di criminalità che si occupa di un libro, e lo fa minacciando di morte il suo autore. Questo è inaccettabile, specialmente per chi ama la scrittura, i libri, la lettura.

Per questo oggi ho comprato Gomorra e chiedo ai miei lettori di blog di comprarlo e di farlo comprare ai loro lettori di blog, nonché ad amici, parenti, colleghi, sodali, compagni, mogli, mariti e amanti. Odiate gli appelli? Fregàtevene. Questa cosa vi fa tanto catena di S.Antonio? Non fateci caso. Vi scoccia dar soldi alla Mondadori che è di Berlusconi? Non pensateci. Perché qualcosa mi dice che, ancor più del contenuto, quello che dà fastidio ai camorristi è che il libro arrivi nelle case di tante, tantissime persone, molte più persone di quelle che loro possono controllare, intimidire, far fuori. Ed è bene che sappiano che con le loro minacce non fermeranno Gomorra e non riusciranno a isolare Roberto Saviano.

Le minacce camorriste a Roberto Saviano.
Una lettera di solidarietà a Roberto Saviano.

[dtfn] III – Sociologia

Monday, October 16th, 2006

(Il manoscritto ritrovato di letturalenta. Frontespizio e indice)

Saku Paasilahti: De te, fabula narratur (1999), tratto da http://rikart.lib.hel.fi/Noi racconti esistiamo tutti simultaneamente, da sempre. Alcuni hanno avuto la fortuna di essere trascritti su adeguati supporti, altri no; alcuni hanno dimenticato come si leggono gli uomini, o si sono stancati di farlo, mentre altri continuano infaticabili da migliaia di anni; ci sono racconti altezzosi che schifano determinate letture, e quelli più alla mano, che leggono di tutto; una volta ne ho incontrato uno timidissimo: affermava di preferire di gran lunga andare eternamente alla deriva, piuttosto che scrutare le intimità della gente. Ci conosciamo più o meno tutti e viviamo in società, anche se non di rado càpita che si formino combriccole e circoli esclusivi. Non mancano le antipatie, alcune personali, altre di partito: le tragedie, ad esempio, mal sopportano la compagnia dei poemi cavallereschi, da esse ritenuti dispersivi e poco profondi; le novelle carnascialesche accusano le commedie di moralismo e bigotteria, e sono da queste a loro volta giudicate frivole e inaffidabili; i romanzi psicologici non vedono di buon occhio quelli naturalistici, e raramente un racconto poliziesco frequenta un racconto fantastico. Va detto però, a onor del vero, che le differenze e i contrasti non ci impediscono di formare una comunità tutto sommato pacifica e coesa, e tutti ci impegnamo a preservarne le tradizioni e a difenderla dalle insidie.
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Il capro

Saturday, October 14th, 2006

Holman Hunt, The Scapegoat (1854), tratto da www.artchive.comIo sono il capro, fratello, e sono tuo fratello. I miei occhi vedono le cose che tu vedi e la mia bocca pronuncia le tue parole. Le mie interiora hanno la consistenza melmosa delle tue, e analoghe serpentesche sinuosità. Mangio il cibo che ti nutre, bevo alle fonti che ti dissetano. Il ventre di mia madre ti ha partorito, fratello, ed è per questo che tu sei mio fratello, ed è per questo che ti conosco così bene anche se tu mi disconosci, che ti amo anche se hai smesso di amarmi.

Ricordo quando mi confidavi la rabbia per i tuoi primi fallimenti. Eri debole, oppresso, infuriato contro un mondo che, dicevi, non ti capiva, non ti accettava, non ti dava strada. Sentivi di avere qualità eccelse, se solo qualcuno le avesse notate; sapevi di poter fare grandi cose, se solo qualcuno ti avesse ascoltato; eri sicuro di avere i numeri per sfondare, se solo qualcuno si fosse fatto da parte. Ma tutti si ostinavano a non notarti, a non ascoltarti, a non lasciarti passare. In quel tempo avrei dovuto scacciarti, avrei dovuto mostrarmi annoiato dalle tue lamentele e dai tuoi piagnistei. Avrei dovuto, ma non ne sono stato capace, e di questo ti chiedo perdono. Perché fu proprio allora, quando ti abbracciavo e ti asciugavo le lacrime, che hai iniziato a sospettare di me.
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Uno!

Thursday, October 12th, 2006

ritratto_del_lettore2Mo ve’! Quasi non me ne accorgevo: il nove ottobre scorso letturalenta ha compiuto un anno!

Che dire? Che fare? Ci vorrebbe un discorso serio e ben calibrato sullo stato d’avanzamento del progetto, un bilancio onesto dei risultati ottenuti, una proba dichiarazione di intenti per il futuro. Ma queste cose, per quanto necessarie e utili, devono fare i conti con alcuni dati di fatto chiari e inconfutabili, fra i quali l’evidenza che qui non c’è progetto alcuno, né risultati, né intenzioni.

Mi limiterò pertanto a farmi gli auguri, conditi da un’amichevole tiratina d’orecchi e da una vigorosa stretta di mano a me medesimo, così, giusto per immergere l’occasione in un clima festoso e cordiale. Questo blog è onorato dalla presenza di lettori attenti e preziosi, alcuni conoscenti, alcuni sconosciuti, nessuno a me parente (che io sappia), taluni graziosamente loquaci, talaltri dediti a un sagace silenzio ombroso o timido. Ringrazio di cuore tutti voi leggenti, e spero che non cediate mai alla tentazione di lasciarvi guarire dal vizio di leggere, che leggiate me o altro poco importa.

L’avventura del signor lentalettura è iniziata qui. Dove andrà a parare, dove e quando finirà non è un problema di oggi.

[dtfn] II – Ontologia

Tuesday, October 10th, 2006

(Il manoscritto ritrovato di letturalenta. Frontespizio e indice)

Saku Paasilahti: De te, fabula narratur (1999), tratto da http://rikart.lib.hel.fi/C’era dunque un tale che abitava al numero dieci di Strawberry Lane, verosimilmente attorno al 1912. A giudicare dall’indirizzo doveva essere un distinto signore inglese, proprietario di una villetta a due piani circondata da un giardino molto ben curato. Le rose spandevano nell’aria un profumo delicato e pungente a un tempo, quindi non sarebbe azzardato supporre che questa storia abbia inizio in una stagione ragionevolmente primaverile. Quel tale aveva consumato un pranzo pesante, ma non sapendo nulla della cucina inglese del 1912 dovrò accontentarmi di una descrizione sommaria di quel desinare, dicendo ad esempio che egli mangiò un’abbondante porzione di porridge seguita da una grossa beef steak circondata da numerose patate al forno. Non mentirei riferendo che sul tavolo c’era un generoso boccale di birra scura irlandese, e se dicessi che alla fine del pranzo quel signore aveva trangugiato un molesto bicchierino di sherry, passerei indenne attraverso le maglie e i magli dei più severi critici.

Tuttavia di questo non posso parlarti.
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Il tempo per leggere Pizzuto

Monday, October 9th, 2006

Benedetta Panieri, ventisette anni, dottoranda in letteratura italiana, romagnola. Per il dottorato si è occupata di Bassani, Slataper, Comisso e naturalmente di Antonio Pizzuto. Il suo contributo alla pizzuteide è breve e densissimo, e onora il nome e il motto di questo umile blog con un raffinato elogio della lentezza, ricco di metafore cronometriche, cardiache, mediche e filologiche.

Il tempo per leggere Pizzuto

di Benedetta Panieri

Tanto viaggio perché? Ritornerà, zia Rosina?, si chiede Bibi nel noto romanzo. “Basta pensarmi. Pensare è chiamare”. Tanti pensieri rivolti a Pizzuto, oggi, come invocazioni a chi può risolvere e sciogliere nodi di parole che non danno più vita. Del tempo che non basta mai.

Pizzuto aggiungeva vita alla vita, ma il tempo nelle sue prose era malato; non è una critica, perché attenzione, malato non vuol sempre dire perdente. Gli orologi che costellano le sue pagine spesso rimangono indietro, ma si può vivere benissimo in questi minuti aritmici, rallentati, sospesi. Pedullà ha detto che al cuore di Pizzuto si arriva “attraverso l’aritmia”; Alvino è stato, di questo cuore pulsante, il chirurgo migliore. Grazie a lui possiamo leggere i testi di Pizzuto e prenderci tutto il tempo (sì, quel tempo malato e stanco che sta riposando) per pensare: cosa avrà voluto dire, l’Autore, coi suoi neologismi, con le sue iuncturae ardite? “Difficilis atque ardua poesis, plana oratio”: ma allora Pizzuto va oltre la prosa, ci fa vivere il ritmo e ci ha fatto sentire la musica, è un Poeta. Se abbiamo un impegno, può saltare, se c’è una coincidenza, la perderemo: diamoci pure malati. Viviamo in un’epoca difficile, leggiamo un autore difficile; ma se ci sarà piaciuta una sua frase, o soltanto una parola, fosse pure il nome di un personaggio o un nomignolo (“ipocorismi”, c’è un nome difficile anche per questo), avremo vinto. Saremo fieri di questo nostro tempo zoppicante e delle pause che il tempo-di-corsa non ci aveva mai donato.

I diari di Luciano Anceschi

Saturday, October 7th, 2006

Luciano Anceschi. Tratto da www.unipa.itLuciano Anceschi è uno dei numi tutelari di letturalenta, e della lettura lenta in generale. Il suo contributo alla cultura letteraria italiana non è riassumibile in poche righe, ma ci sono alcuni aspetti del suo metodo critico – o per meglio dire del suo stile critico – che forse vale la pena ricordare: l’avversione per il dogmatismo, per il pessimismo integrale e le grida apocalittiche; la proposta continua e paziente di un umanesimo disilluso, consapevole dei problemi ma anche convinto della possibilità di affrontarli e superarli; l’estetica fenomenologica fondata sui fatti artistici, libera da pregiudizi ideologici.

Anceschi fondò la rivista «il verri» cinquant’anni fa, e la rivista ricorda ora il fondatore pubblicando un’ampia selezione dei suoi diari. Il numero di luglio ha ospitato il periodo 1986-1990, mentre quello di ottobre ospiterà il periodo 1991-1995.
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Arcani semoventi

Thursday, October 5th, 2006

Largo ai giovani! Salvo Butera compirà 27 anni il 26 ottobre prossimo. Si è laureato a Palermo in Scienze della comunicazione con una tesi su Antonio Pizzuto, in una facoltà dove – come dice lui stesso – sarebbe stato molto più facile laurearsi su Montanelli. D’altronde è anche vero che su questo giovane ironico e solare nonché fidanzatissimo (parole sue) gravavano fin dalla nascita destini pizzutiani ineludibili: sua madre infatti è una Pizzuto, il suo comune di residenza Castronovo di Sicilia, e la dedica apposta da Antonio Pizzuto a Si riparano bambole è «Alle dilette Palermo, Erice e Castronuovo di Sicilia».

La pizzuteide ha già ospitato un bel saggio in cui Salvo dava prova di ampie ricognizioni sui testi pizzutiani e di non comuni capacità analitiche. Oggi si ripresenta in vesti più domestiche, raccontando il suo primo incontro con l’autore, con un parallelo dantesco tutt’altro che triviale.

Arcani semoventi

di Salvatore Butera

Sulla porta della mia classe di liceo avevamo affisso un cartello, a forma di tavola della legge, che riproduceva il verso: «Lasciate ogni speranza, voi ch’intrate». Era il nostro modo di giocare con la scuola e con quello che studiavamo.
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[dtfn] I – Presentazione

Wednesday, October 4th, 2006

(Il manoscritto ritrovato di letturalenta. Frontespizio e indice)

Saku Paasilahti: De te, fabula narratur (1999), tratto da http://rikart.lib.hel.fi/Incipit – Io sono un racconto, ma non c’è racconto ove non sia stato accuratamente predisposto un piano ingegnoso, un cominciamento repentino e arguti cartelli segnaletici capaci di indicare un esito di sicuro scioglimento e completa agnizione.

Si dà quindi, fin dal mio principio, un problema di identità, che i più riconosceranno connaturato a qualsivoglia nascita, inizio o creazione letteraria e non letteraria. Il nascituro, infatti, il non ancora uscito dalla tenebra, il preludio che accenna senza dire, è per sua natura qualcosa di non identificato, incerto e sfuggente, inadatto a recepire non tanto un nome o un aggettivo, ma anche soltanto un rapido pronome. Del non nato non si può dire io o tu. Men che meno si dirà di codesto ente indefinito cosa o essere o, come nel mio caso, racconto. Tuttavia non mentivo quando affermai: io sono un racconto, e nel corso di queste poche righe che finora mi compongono il prudente lettore non avrà mancato di trovare tracce di sia pur tenebrosi significati, risonanze di parole usate o ignote, l’usta di una trama, il presentimento di una catastrofe, l’indicazione (ancora labile, ma non per questo assente) di un dignitoso finale.
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Scrittomisto

Tuesday, October 3rd, 2006

A quanto pare è partito il concorso Scrittomisto al quale ho incautamente iscritto un mio malloppo qualche mese fa. Cliccando qui si visualizza l’elenco completo dei testi in concorso, mentre da qui si arriva direttamente al mio malloppo. Per votare i testi in concorso occorre prima registrarsi.