Questo piacevole trattenimento delle persone sfaccendate

Pierre-Daniel Huet, tratto da http://en.wikipedia.org/wiki/Pierre_Daniel_HuetCome dicevo più di un mese fa, sto cercando di occuparmi di un libro che non esiste, e per occuparmene ho interpellato una schiera di dotti in svariate materie letterarie. Confesso che prendere la parola fra loro mi intimorisce non poco. In quel consesso di esseri pensanti radunati attorno al Trattato sull’origine dei romanzi di Pierre Daniel Huet, infatti, siedono scrittori, poeti, critici, filosofi e intellettuali che quanto a titoli e competenza mi sopravanzano di svariate misure. Me ne starei volentieri zitto in un angolo ad ascoltare quello che loro hanno da dire, ma – essendo io in qualche modo la causa di quel medesimo simposio – non posso sottrarmi al dovere di partecipare. D’altronde è il testo stesso che autorizza gli ignoranti a prendere la parola sulla letteratura, laddove dice:

Due strade affatto opposte, che sono l’ignoranza e l’erudizione, la rozzezza e la pulizia, conducono sovente gli Uomini ad un medesimo fine, che è lo studio delle finzioni, delle favole e de’ Romanzi. (pag 54)

Il mio unico titolo letterario è il cumulo disordinato e abnorme di letture che ha popolato e popola la mia mente da quarant’anni a questa parte. Per dirla in breve, sono un lettore. Il mio discorso, dunque, non sarà un discorso dotto, competente, tecnicamente ineccepibile, ma una chiacchierata informale da lettore a lettori sul fascino che il Trattato esercita su di me. Non parlerò dunque di teorie, di paradigmi, di concetti, di forma e di sostanza, ma solo di segni, di indizi, di impressioni.

Ho letto il Trattato per la prima volta quando Giulio Mozzi lo ha pubblicato a puntate su Vibrisse, il suo bollettino di letture e scritture, e già alla lettura delle prime puntate sono rimasto sorpreso e affascinato. Non capivo bene da dove scaturisse l’incanto, se dalla scrittura antiqua o dai temi affrontati dal coltissimo vescovo di Avanches, ma è certo che quel testo esercitava su di me un fascino tale da farmi attendere con molta curiosità la puntata successiva. Quando la pubblicazione è terminata, ho riletto il Trattato per intero, per sottoporre la sua forte presa su di me alla dura prova della rilettura, prova brillantemente superata. Per quanto lo rileggessi, il libro di Huet continuava ad affascinarmi e a suggerirmi riflessioni, pensieri, ricordi di altre letture.

Allora ho cercato di capire le cause di questo incantamento, di mettere ordine fra le impressioni sparse, di fermarle in un discorso comprensibile innanzitutto a me stesso.

Un libro stemma
La parola stemma ha rapporti stretti con l’idea di radice. Stemma è anche sinonimo di albero genealogico e la parola inglese stem significa radice e origine. Un libro stemma è dunque un libro che fa parte di una gens, di una famiglia, e di questa famiglia riassume le caratteristiche peculiari e la storia. La famiglia a cui appartiene il Trattato è il discorso critico sulla letteratura, un discorso che ha radici antiche e che prosegue ancora oggi. Nell’ambito di una argomentata critica al mio entusiasmo per il testo di Huet, un amico riconobbe che nei temi affrontati nel libro emanava una certa aria di famiglia. Credo che non ci sia un modo migliore per rappresentare il carattere stemmatico di questo libro. Gli argomenti che affronta, il modo in cui li affronta, il tono del discorso, gli esempi che propone, suonano familiari a chi oggi produce il discorso critico sulla letteratura o ne fruisce.

Certo, oggi si parla di letteratura in un modo completamente diverso da come ne parlava Huet, e sarebbe ingenuo non riconoscerlo, ma questo in un certo senso rafforza il carattere radicale del Trattato, la sua funzione di radice nell’albero genealogico del discorso critico. Una delle molte radici, naturalmente, e nemmeno delle più antiche, ma pur sempre radice. Oggi siamo nell’epoca dei rami e delle foglie che quella radice alimenta da più di tre secoli, foglie e rami che sono sì molto distanti dalle radici, più articolati e complessi, più vicini al cielo, ma che con le radici continuano a mantenere rapporti vitali.

Quella di Huet è forse una delle prime storie della letteratura dell’epoca moderna, uno dei primi tentativi di inquadrare un genere – il romanzo – e di indagare i suoi precedenti. All’epoca del Trattato il romanzo era considerato un genere minore, quella che oggi chiameremmo letteratura d’intrattenimento o da ombrellone, e che lo stesso Huet definisce «piacevole trattenimento delle persone sfaccendate». Huet si incarica di elevare il romanzo di rango, innanzitutto distinguendolo dalla poesia e da altre forme di scrittura – come le istorie da un lato e le favole dall’altro – poi cercando di scovargli antenati illustri, spaziando dagli Egizi ai Persiani, dai Greci agli Arabi, fino ai moderni. Anche nel suo procedimento, quindi, il Trattato è un libro stemma, un libro che disegna un albero genealogico, e così facendo individua una connotazione araldica del discorso critico che sopravvive ancora oggi, sia nella nozione di genere – parola imparentata con genealogia – sia nella tendenza quasi spontanea a ricercare antenati illustri agli scrittori contemporanei. E se a volte questa tendenza assume contorni quasi patologici – come quando a fronte di modesti esordi si grida al nuovo Proust o al nuovo Omero – nelle sue manifestazioni più intelligenti è ancora oggi uno strumento utile e produttivo.

(Continua? mah… chi può dirlo…)

2 Responses to “Questo piacevole trattenimento delle persone sfaccendate”

  1. Continua… io ti verrò a leggere (anche se ho un po’ meno tempo di prima). Però un salto da te è d’obbligo.

    Bart

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