Da Huet ad Auerbach a Genette

Frontespizio del Trattato sull'origine dei romanzi di Pierre-Daniel Huet, tratto da http://vibrissebollettino.net(continua da qui)

I lettori dilettanti – schiera alla quale appartengo – hanno un vantaggio impagabile sui lettori di professione: possono leggere quello che vogliono. Il programma di lettura del lettore professionista è dettato da scadenze editoriali, impegni culturali, necessità di aggiornamento e altre consimili urgenze di lavoro, mentre quello del lettore dilettante si determina quasi da solo, di lettura in lettura: ogni libro chiama il successivo senza rispettare percorsi obbligati. Il lettore dilettante può decidere, per esempio, di compulsare l’opera completa di un autore, oppure di esplorare la produzione di un secolo di suo gradimento, semplicemente perché in quel dato momento gli va di farlo. Ecco perché nella mia libreria arlecchinesca – fra romanzi d’ogni colore, guide turistiche, novelle, manuali di cucina, cantiche, epistolari e biografie – è possibile trovare libri come Mimesis di Erich Auerbach (1946) o Figure III di Genette (1972), pilastri rispettivamente della critica stilistica e della narratologia: mi andava di leggerli e li ho letti e, avendoli letti, non ho potuto evitare che la lettura del Trattato li evocasse fin dalle prime righe:

La vostra curiosità è molto ragionevole, ed è conveniente che sappia l’origine de’ Romanzi colui che possiede sì perfettamente l’arte di comporli; ma, Signore, non so se conviene ancora a me intraprendere a soddisfare il vostro, quantunque giusto, desiderio. Io mi trovo senza Libri: ho presentemente la testa piena di tutt’altro; e vedo quanto questa ricerca è imbarazzata. (pag. 7).

L’accenno alla mancanza di libri mi ha ricordato il capitolo conclusivo di Mimesis, dove Auerbach, con una curiosa inversione rispetto alle consuetudini, spiega al lettore ciò che di solito è spiegato nelle prefazioni: di cosa si occupa il libro, come è strutturato, come e quando è stato scritto, eccetera:

Il libro fu scritto durante la guerra, a Costantinopoli. Colà non esistono biblioteche ben fornite per studi europeistici, le relazioni internazionali erano interrotte, sicché dovetti rinunciare a quasi tutti i periodici, alla maggior parte delle nuove ricerche, e talvolta perfino a un’edizione critica fidata dei testi.

Da Auerbach a Genette il passo è stato breve, dato che il filo che lega la composizione di Figure III a quella di Mimesis fu riconosciuto dallo stesso Genette nel saggio Nuovo discorso del racconto (1983):

La decisione [fu] presa, se non m’inganno, durante l’inverno (febbraio-aprile) 1969 a Pearl Harbour, Rhode Hampshire, dove mi trovavo spesso trattenuto «a casa» da cumuli di neve, di saggiare e sistematizzare alcune categorie, già intraviste qua e là, sul solo testo di cui disponessi «a domicilio»: i tre volumi, nella «Pléiade», della Recherche, e sui testi erratici di una memoria letteraria già discretamente sinistrata. Un modo come un altro di rivaleggiare – modo giustamente votato allo scacco, ma temo di aver avuto per un istante questa imp(r)udente pretesa – con quello, sovrano, con cui Erich Auerbach, privo (altrove) di biblioteca, scrisse un giorno Mimesis.

Un altro vantaggio dei lettori dilettanti su quelli di professione è lo stupore, parola non priva di relazioni etimologiche con la stupidità, ma anche fonte inesauribile di piccole gioie epifaniche. Per me è sorprendente che tre autori così diversi e distanti nel tempo e nello spazio abbiano condiviso lo stesso disagio. Me li figuro lontani da casa, chiusi in stanze straniere e inospitali, tutti intenti a combattere la nostalgia riempiendo le giornate di studi laboriosi. Le similitudini fra i tre libri potrebbero fermarsi qui, e già questo basterebbe a dare un’idea delle potenzialità evocative del testo di Huet, di quell’aria di famiglia che si sente leggendolo. Ma preferisco, a evocazione avvenuta, soffermarmi a considerare gli oggetti evocati, e magari scoprire altri punti in comune fra loro.

Mimesis è uno studio sulla interpretazione della realtà per mezzo della rappresentazione letteraria o «imitazione», secondo le parole dello stesso Auerbach, e il suo metodo consiste nell’analisi stilistica di testi che vanno da Omero a Joyce, passando per tutto quello che la cultura occidentale ha prodotto fra i due estremi. Auerbach, in altre parole, indaga sulle origini del realismo e sulle sue peculiarità, ovvero ne traccia la genealogia. L’oggetto dell’indagine è molto diverso da quello di Huet: il realismo è un concetto, un’astrazione, mentre il romanzo è un oggetto più palpabile, ma i metodi dei due investigatori sono simili. Ci sono molte altre differenze, è ovvio, ma a me qui interessano le similitudini.

In Figure III Genette evidenzia le peculiarità della narratologia – la nuova disciplina che vuole fondare – rispetto ad altre forme di critica letteraria. Dice per esempio che la narratologia ha come oggetto il testo, mentre la critica si occupa dell’opera e del rapporto fra opera e autore. Dopo aver caratterizzato la materia del saggio, si preoccupa di trovarle antenati illustri, risalendo fino a Quintiliano e ad Aristotele. Un procedimento analogo a quello di Huet, che aveva iniziato il Trattato distinguendo il romanzo da altre forme letterarie, per poi discettare sulle sue origini allo scopo dargli dignità artistica. Proseguendo nella nostra allegoria genealogica, possiamo dire che entrambi hanno dato vita a un nuovo ramo dello stemma letterario e lo hanno fatto in modi simili.

Insomma, sembra proprio che il procedimento araldico, la ricerca degli antenati, lo sviluppo ad albero del discorso critico – dalle radici ai rami alle foglie – non si sia fermato all’epoca di Huet. Certo, non bastano due indizi per fare una prova, ma spero sia evidente che in questa mia chiacchierata non ho intenzione di provare alcunché. Da lettore dilettante qual sono, parlo di suggestioni, di evocazioni, di impressioni, tutto sotto il segno vago irrazionale e magico dell’incantamento. L’unica cosa che mi piacerebbe mostrare – non certo dimostrare – sono i motivi per cui questo libro ha incantato me, nella speranza che l’incanto possa ripetersi su altri lettori.

(Va be’, a ‘sto punto continua, ma ancora per poco, giuro!)

2 Responses to “Da Huet ad Auerbach a Genette”

  1. melpunk says:

    intanto un plauso per l’iniziativa vibrissiana
    poi leggerò questo con calma, non si può andare di fretta per niente
    saluti

  2. letturalenta says:

    L’iniziativa in questione è partita spontaneamente, mel, quindi il plauso va a tutti i blogger che hanno dato il loro contributo, e naturalmente all’impeccabile coordinatore Bart. Quanto al post, leggi pure con calma olimpica. L’oggetto è tuttora un libro che non esiste, che è come dire l’antitesi della fretta.

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