Intorno a Huet

Pierre-Daniel Huet, tratto da http://en.wikipedia.org/wiki/Pierre_Daniel_HuetAnche lui, porello, ho dovuto metterlo in un angolino. Non ci rinuncio, no, ma sono costretto a dirgli di portare pazienza. Altri libri inesistenti, vissuti fin qui nella tenebra di un cassetto o di un hard-disk, premono per conquistare un posticino al sole delle vetrine librarie. Ma tornerà il suo tempo, oh se tornerà!

Nell’attesa, o lettore, ascolta attentamente ciò che Francesco Muzzioli elabora a partire dalla lettura del Trattato di Huet. Qui non si tratta più delle ondivagazioni di un lettore dilettante come me, ma del pensiero in atto di un maestro .

Intorno a Huet
di Francesco Muzzioli

L’origine dei romanzi: innanzitutto, mi chiedo, perché l’origine? Il romanzo esiste, il romanzo si scrive, il romanzo piace. Che bisogno ha di rifarsi al passato? Ha bisogno di un pedigree?

Mi rispondo: è la storia della borghesia. La borghesia è la classe “nuova”. La borghesia ha il denaro, ma la nobiltà ha l’origine. Di qui un’esigenza borghese di “nobilitarsi” che forse non è finita del tutto nemmeno oggi, nel capitalismo compiuto, nella società “senza classe”. Ora, se il romanzo è il genere per eccellenza borghese, che nasce con la borghesia, ecco la risposta alla domanda “perché l’origine?”; si tratta di nobilitare il romanzo.

Il romanzo non fa parte della teoria classica dei generi, bisogna farglielo entrare, un po’ come il borghese che si affaccia nel salotto della nobiltà e non consoce l’etichetta. Occorre far vedere che ha le carte in regola. E poiché i paradigmi della “poetica” ufficiale sono Aristotele e Orazio, è da lì che deve passare il romanzo, per acquisire il diritto di cittadinanza letteraria.

Lo scritto di Huet è chiarissimo, in questo senso. L’origine del romanzo è antichissima, si perde nella notte dei tempi (magari spostata nell’esotico dell’oriente) e fa capo alle favole, alle menzogne, alle finzioni, alle allegorie e quant’altro. Quindi non può essere considerato come l’ultimo arrivato. Il suo sangue non è acqua.

Per quanto riguarda Aristotele, poi, va benissimo: la differenza tra il vero e il verosimile, tra ciò che è stato e ciò che poteva essere, si attaglia perfettamente anche al romanzo. Per quanto riguarda Orazio, altrettanto è applicabile la mescolanza dell’utile e del piacevole. Ma allora, tutto risolto? Direi proprio di no.

L’aristocrazia storce il naso per la rozzezza del borghese. Allo stesso modo la poetica lo storce nei confronti del romanzo. È chiaro perché: è un genere senza regole, che si prende troppe libertà. Possono bastare alcuni passi di Boileau, in quello stesso periodo. Là dove guarda dall’alto in basso i personaggi del romanzo:

Des Heros de Roman fuyez la petitesse

e là dove ironizza sulla eccessiva dilatazione delle storie romanzesche:

Escrive qui voudra. Chacun à ce métier
Peut perdre impunément de l’encre e du papier.
Un Roman, sans blesser les loix, ni la coûtume,
Peut conduire un Heros au dixième volume

È noto che in Italia, ancora all’inizio del Settecento, nel trattato Della ragion poetica di Gravina, il romanzo appare come un parente povero (una sottospecie) dell’epica.

Come fare? come compiere il riscatto? L’arma messa in campo dal buon abate Huet è un’arma sempre buona nella teoria dei generi: il distinzionismo. I generi sono come le classi sociali, sono gerarchicamente ordinati e attraversati da un loro predominio “di classe”? Ebbene, per evitare gli svantaggi di un conflitto ineguale, non c’è che da camuffare l’opposizione in una semplice “differenza”. I romanzi non sono alternativi ai poemi, sono soltanto diversi (quindi possono convivere senza combattersi). Diversi non solo quanto alla forma, per il mezzo impiegato (i versi, la prosa). Huet propone anche una spartizione tematica: ai poemi la guerra, ai romanzi l’amore. Senonché questa divisione di compiti e di ruoli, che lascia pur sempre agli altri il livello “alto” (eroico) e si tiene il popolare (però, più diffuso nel nascente pubblico) non risolve tutti i problemi, ma ne apre di nuovi, facendo aggallare nel testo di Huet ulteriori articolazioni dell’argomento. Infatti, nella divisione, il romanzo guadagna il tema migliore, ma nello stesso tempo il più compromettente. Perciò il teorico deve ancora intervenire per mettere le cose a posto.

Il vantaggio del romanzo, Huet lo vede lucidamente, è la sua maggiore “facilità”. I romanzi “non stancano tanto la mente”; il loro fine è il “divertimento”. Ma questo vantaggio si può ritorcere in addebito. Il divertimento non sarà puro piacere? Il tema amoroso non sarà troppo perversamente attraente? Accanto a quello Aristotelico c’è un altro tribunale (potremmo dire “platonico”, nel senso del Platone della Repubblica: ma ormai è un tribunale ecclesiastico), che giudica secondo un criterio morale. Come si giustifica il romanzo? Il divertimento, dirà Huet, è solo il travestimento della morale: è solo un mezzo per un fine superiore, “che è l’istruzione dello spirito, e la correzione dei costumi”. Sarà più chiaro verso la fine: trattare del tema amoroso ha uno scopo eminentemente e utilmente conoscitivo: “è ancor necessario che i giovani conoscano questa passione, per chiudere le orecchie a quella che è colpevole, e potersi sottrarre da’ suoi artifizi, e sapersi condurre in quella che ha un fine onesto e santo”. Huet sostiene che i romanzi sono “precettori muti”, perché non fanno prediche, ma si limitano a mostrare – a mostrare implicitamente i danni dell’amore. Tocca certamente una questione profonda (cosa si dimostra mostrando?) ancora attuale, ma non so quanto il suo argomento fosse accolto dai censori, quanto potesse lasciar passare senza rimostranze il “ritorno del represso”.

Stretto in mezzo a tanti e tali tribunali la perorazione di Huet a pro del romanzo non poteva essere che debole. Gli manca l’avvertimento della vera potenza del romanzo, che è quella di andare al di là di tutti i generi e di impadronirsi di tutti. Se ne rendeva conto già il Don Chisciotte (conosciuto per altro da Huet) quando parlava di uno “stile libero” in cui l’autore può essere “epico, lirico, tragico, comico”; lo ripeterà Balzac (“Il narratore è tutto”); e soprattutto, nel Novecento, a voce spiegata, Bachtin. Con Bachtin, non solo il romanzo si afferma come l’unico genere “vivente”, che invade gli altri e li “romanzizza”; ma perviene infine a far saltare i presupposti del gusto classico, l’armonia, la proporzione, l’unità. In quanto genere plurale (somma di generi discorsivi) e ibrido, il romanzo è un mostro. Ma questo gusto moderno, ovviamente, Huet non poteva averlo.

Il trattato di Huet è interessante perché si trova all’altro capo della storia, cioè all’inizio. Oggi questa storia si è conclusa, nel senso che è pervenuta a un completo rovesciamento delle parti. Il romanzo è il genere dominante, anzi, è l’unico genere letterario rimasto. Si è davvero divorato tutto (sempre come la borghesia che a forza di globalizzarsi ha divorato anche se stessa) e ha invaso l’intero mercato. È interessante notare che questo percorso contempla per certi aspetti un ritorno all’inizio. Così, se Huet si sforza di dimostrare l’aristotelismo del romanzo, oggi vediamo che la finzione (chiamata anglofonicamente fiction, ma poco importa) s’impone nel senso comune proprio secondo un presupposto aristotelico che, nella Poetica, afferma che “il poeta ha da esser poeta di favole anzi che di versi” e che “sono le azioni che egli imita”. E non è ancora così nel modo di leggere narrato-centrico di oggi? vediamo le azioni e i personaggi, nessuno percepisce più la scrittura… E ancora, tra le argomentazioni huetiane, possiamo ritrovare oggi la minore fatica e il divertimento, divenuti incrollabili criteri dell’industria culturale. E anche l’immagine del “precettore muto” è certo attualissima, pensando a quanti modelli di comportamento passano nell’immaginario collettivo attraverso la fiction, che non predica nulla, ma si limita a mostrare la psudo-vita di una simil-persona.

Insomma Huet ha intravisto l’ideologia del romanzo. Ma poiché, per lui, si trattava al contrario di legittimare una posizione svantaggiosa, di far riconoscere un genere escluso e guadagnargli l’ammissione in Parnaso, è chiaro che ha utilizzato questi aspetti per raggiungere l’obiettivo minimo e iniziale di una semplice spartizione, di una “divisione del campo”.

8 Responses to “Intorno a Huet”

  1. maria strofa says:

    Tassinari, tocca dar mano al movimento letturilletta, naturale proseguimento (forse) della letturalenta. Ne riferisca istamane (si può scrivere istamane? si può, l’ho appena scritto) gabryella (senzaqualita). Pòni mano tu che hai tanto tempo da non leggere (ricordando Karl Kraus): compìla, tazzonomizza, definisci, struttura. Io ti seguo.

  2. Gaja says:

    Lentore, tu non sai quanto io condivida, quanto io comprenda profondamente le motivazioni della tua premessa… “altri libri inesistenti ecc. ecc.”. Chi, orsù, chi può capirti quanto la sottoscritta? Abbraccio il Vice Decone con affetto, stima e riconoscenza per avermi introdotto nel meraviglioso, entusiasmante mondo letterario di Gualberto Alvino.

  3. Gualberto Alvino says:

    Grazie, Gaja. Grazie infinite. Per me è una gioia indicibile aver conquistato un lettore del tuo livello umano e culturale.

  4. Gaja says:

    Gualberto, mi fai arrossire. Il merito è tutto tuo, io sono solo una persona che legge molto, come Luca, come molti di vibrisselibri. Sono io a ritenermi fortunata: ho potuto assaporare il tuo modo di accarezzare e di plasmare le parole… sei in grado di piegarle ai tuoi significati e, credimi, a mio parere è un’abilità tanto rara quanto straordinaria. Un abbraccio.

  5. letturalenta says:

    Maria, vidi ora il post gabryellico e lesto (sic!) commentai. Altrove proposi libri composti da una sola pagina nera, proposta non dissimile negli effetti da quella dell’esimia collega sq.

    Gualberto, visto che razza di lettori ti procuro? No, dico, ‘sto Web, è o non è una miniera tutta da esplorare?

    Gaja ho visto adesso la tua ricomposizione della copertina di Time: vado subito a rilanciare!

  6. Gaja says:

    Lentore, Iannozzi ha imperversato su sinestetica con una galanteria sublime! Dico davvero! Ma sai che mi ha dedicato anche una poesia sul suo blog? E tutto ciò grazie a Leonard Cohen! Bacio:* W NOI!

  7. maria strofa says:

    Encomiabile Mac(c)hiavello ho già provvisionato a linkare alla voce libro “nero” detto mirabile post di cui non avevo rimembranza e che mi è stato segnalato dal solerte fuoridaidenti.

    Un saluto a Gualberto
    e un bacio a gaja.

  8. Gaja says:

    Mary, un bacio ENORME anche a te, mia splendida! :* “Cos’è un bacio? Un apostrofo… ehm… un apostrofare rosa il Lentore con un gentile invito a recarsi nei meandri più oscuri del corpo umano…”.
    Ri-bacio.

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