Sul ponte di Avignone

Oggi ulteriore arricchimento della già ricca dotazione di firme della pizzuteide. È la volta di Rosalba Galvagno, da anni una delle più attente studiose di Antonio Pizzuto. L’articolo qui proposto è già apparso sulla rivista «Il caffè illustrato» (n.24, anno V, maggio-giugno 2005) all’interno di un dossier su Pizzuto curato da Gualberto Alvino.

«Se Seguirai tua stella…»
Sul ponte di Avignone e l’illusione della scrittura

di Rosalba Galvagno

Nel romanzo Sul ponte di Avignone[1] si dispiega una delle più significative configurazioni moderne[2] del tema dell’illusione.

La configurazione letteraria del tema sfrutta spesso la scena teatrale, reale o metaforica (si tratta propriamente di scena fantasmatica), nella quale entrano in gioco il soggetto che si illude o che illude, l’oggetto dell’illusione generalmente idealizzato, l’al di là di questo oggetto che si rivela essere ‘niente’ o ‘assente’ e, infine, il velo, che fa da interposizione tra il soggetto e l’oggetto e sul quale quest’ultimo viene immaginariamente proiettato.[3]

In SPA il tema dell’illusione ricorre a più riprese e con significative varianti semantiche lungo tutto lo svolgersi dei quattro quaderni in cui è suddiviso il romanzo. I motivi principali nei quali esso è declinato sono quelli dell’ideale letterario e artistico, di gloria e di ricchezza:

[…] Poi conseguii un impiego. Era la negazione di quanto mi si confaceva; ma coltivai l’illusione che un giorno o l’altro avrei potuto riprendere la vita di prima tal quale e divenni uno spostato così insensibilmente da accorgermene soltanto dopo anni. Gli ideali rimanevano sempre quelli: la poesia e la musica. Aspettando io di rivelarmi poeta vissi aridamente e di nulla. (pp. 14-15, corsivi nostri)

[…] sognavo remunerative glorie da conquistare per loro mediante qualche Trattato. (p.100, corsivi nostri)

Mai si sarebbero amate ed erano sorelle. Allora l’angoscia mi faceva sognare: divenire ricco per le imprese o coi libri per togliere le differenze, fare anzi di più per Giovanna e sua madre affinché nell’agio dimenticassero quanto avevano sofferto. Acquistavo loro un villino; […] (pp. 184-185, corsivi nostri)

E ancora: l’illusione di potere evitare, malgrado l’evidenza, la rottura con l’amante, la mamma di Giovanna, figlia illegittima del protagonista:

La fine era così vicina! Proprio in quell’ultimo periodo cominciai invece ad avere illusioni di pace, di eventi cioè conformi alle mie esigenze. Lessi perfino in pubblico una conferenza e siccome gli astanti erano tutti miei amici […] fui applaudito. Né ella riuscì a celare la soddisfazione per questa mia prova che peraltro rimase sterile. (p. 177, corsivi nostri)

Da ogni città le mandavo il successivo indirizzo dicendomi: «Chi lo sa? Potrei forse trovarci una lettera». – Giunto l’illusione cadeva. Anelai il ritorno, ma quel ritorno era lei. E la brama s’incarnò in un delizioso progetto. Incontrarci! […] Ma anche all’alterno ottimismo, sentivo l’inanità di una tal gioia fugace. (pp. 188-189, corsivi nostri)

E gli sforzi per cercare di «indorare» la vita della piccola, suscitandole, con innocenti espedienti, l’illusione della bellezza e della ricchezza:

L’albero di Natale! Era un ramicello storto e calvo che più ancora incurvavasi al peso della roba attaccatavi; l’ornavano un po’ di laminetta e sei candeline a colori: dal povero insieme non spirava che inanità. […] Ma come la vidi allontanarsi un’idea dolcissima mi consolò. Così fabbricavo spesso i miei tormenti. Appena schiuso, per il lume che proveniva attraverso l’uscio della stanzetta da pranzo brillarono i fili argentei. […] Cominciò a discernersi la macchia della pianta. «Hai visto?» – le domandai – «Si». – «Bene?». – «Ti è piaciuto?». – «Si». – «Scappiamocene!». – «Scappiamo!». […] Questa volta, a procurare altro effetto, accesi un fiammifero; ma lo spensi subito: tale espediente rese meravigliosa la vista. (pp. 89 -90, corsivi nostri)

In occasione della prima comunione di Giovanna, il protagonista decide di confessarsi per ricevere anch’egli il santo sacramento. Nel dialogo col Padre confessore che gli impone di rinunciare all’amante e alla figlia, tenta di giustificare il suo «peccato» con argomentazioni apparentemente inoppugnabili, fondate sulla necessità di evitare un trauma alla piccola:

– Rivelare: dopo dedicata la vita a darle l’illusione di una famiglia, a tenerla ignara che papà ne aveva un’altra e la sera aspettava che le si chiudessero gli occhi per fuggire. […] Volevo aggiungere un altro candido velo ai mille coi quali mi affannavo a celarle la verità e mi si diceva di strapparli via tutti. D’onde questo assurdo? […] E dunque dovevo dirle: «Coraggio, Giovanna! Sappi che non sei come le tue compagne… Tu non hai un papà, tu non hai casa, non hai niente…» . […] «Mi assolve? Potrò comunicarmi?». – Tornai indietro. «Fa nulla che io sia venuto per mia figlia più che per me? Io verrò, poi, un’altra volta, per me…». – Avevo mendicato, mentendomelo, un biglietto di teatro! (pp. 140-141, corsivi nostri eccetto «Fa nulla»)

In questo episodio centrale del romanzo nel quale il motivo dell’illusione s’intreccia con quello della colpa e della confessione, il paradigma dell’illusione è interamente dispiegato nei suoi costituenti fondamentali. La sua lessicalizzazione innanzi tutto: «l’illusione»; quindi il «velo», indispensabile intermediario tra il protagonista e Giovanna, l’oggetto d’amore che si svela qui nella sua più profonda e drammatica realtà, un «niente».[4] La sorprendente e derisoria metafora del «teatro» infine, che irrompe nell’explicit del brano a suggello della scena illusoria che il protagonista si appresta a calcare.

Nell’ultima parte del quarto quaderno di SPA, il protagonista, intento a trascrivere la frase di un «romanzo tradotto» che gli capita di leggere una sera, ospite di vecchi amici nella città natale, rievoca un analogo gesto di trascrizione sul quaderno «delle cose belle», durante le sere trascorse nello studio del nonno alla luce del lume a petrolio:

La frase mi piacque tanto che la trascrissi a matita e da allora l’ho addosso. Così, quando ero ragazzo, la sera nello studio del nonno. Prendevo, senza far rumore, posto di rimpetto a lui, i nostri libri uno contro l’altro: a destra il quaderno «delle cose belle». Alla mia sinistra il lume dalla verde ventola e trasudante petrolio. Tutto intorno nella penombra scaffali che arrivavano al tetto. Mio nonno era letterato e poeta (sull’Erice ha la statua) ma l’amore verso il primogenito della figlia – dotata di consimili doni – gli faceva da velo. «Se seguirai tua stella…» – mi predicava. La sua fondamentale illusione consisteva
nel credere che sarei diventato scrittore. Ogni tanto riprendeva la pipa e un fiammifero già spento che alzava sopra lo scartoccio del lume. Una fiammella appiccatasi sulla punta… (pp. 230-231, corsivi nel testo)

Lo studio immerso nella penombra e tappezzato di libri, nel quale il nonno poeta e letterato trasmette al nipotino prediletto la vocazione per la scrittura, evoca i tratti inconfondibili della scena erotica ‘pizzutiana’ caratterizzata dall’oscurità e dallo scintillìo che occultano e svelano al tempo stesso l’oggetto amato e desiderato e, più nascostamente, attraversata dalla presenza assenza di alcuni tratti materni, qui segnalati dalla perifrasi: «della figlia – dotata di consimili doni –». Si tratta di una scena fondamentale dove si gioca appunto il teatro dell’illusione, rappresentata qui innanzi tutto come illusione letteraria, ma che tradisce già la sua intima, inscindibile dipendenza da una ben più determinante illusione amorosa. Nel romanzo infatti le due passioni fondamentali del protagonista aspirante scrittore, quella letteraria e quella amorosa, si alternano e talvolta si intrecciano. Anche in questa scena sono presenti il soggetto che illude o che si illude (il nonno), l’oggetto dell’illusione (il nipote prediletto in quanto futuro scrittore, ma anche il nonno stesso in quanto già consacrato dalla sua «statua» in Erice), e infine ciò che fa da interposizione tra il nonno e il nipote e che permette il prodursi stesso dell’illusione: l’«amore», accompagnato non a caso dall’apposizione «velo». Questo sintomatico velo, con cui è ironicamente stigmatizzato l’amore del nonno, cioè i suoi investimenti ideali sul nipote prediletto, si può leggere anche come una metafora della scrittura – autentico oggetto d’amore – che, sulla scia della grande tradizione barocca ripresa dal romanticismo e poi dalla modernità, può paradossalmente vincere e fissare l’inanità delle illusioni.

 

___________________

[1] Antonio Pizzuto, Sul ponte di Avignone, a cura di Antonio Pane, Postfazione di Rosalba Galvagno, Polistampa, Firenze 2004. D’ora in poi SPA e col numero delle pagine riportato nel corpo del testo.

[2] Includiamo nella categoria del ‘moderno’ o della ‘modernità’ quella produzione letteraria, artistica e teorica del Novecento, ma non solo, che sovverte il canone della leggibilità classica con la messa in atto di procedure linguistiche e testuali plurali, eccentriche, volumetriche (citazionali), già ampiamente e profondamente segnate dal trattamento ironico e anche derisorio del discorso.

[3] Per l’analisi di questo schema si rinvia a Rosalba Galvagno, Il paradigma dell’illusione, intervento presentato al I Colloquio di Letteratura italiana sull’Illusione, Università Suor Orsola Benincasa , Napoli 7-9 ottobre 2004, Napoli, CUEN, 2006.

[4] Per l’analisi puntuale del fantasma di dissoluzione che riguarda Giovanna cfr. Rosalba Galvagno, Le origini musicali della narrativa pizzutiana, intervento presentato al Convegno su Letteratura e le altre arti, L’Aquila, 12-13 Febbraio 2004, organizzato da Massimo Fusillo per la Società per lo studio della teoria e della storia comparata della letteratura e i cui Atti sono di imminente pubblicazione nella rivista «Contemporanea».

2 Responses to “Sul ponte di Avignone”

  1. Barbara says:

    OFF-TOPIC, eh?
    Caro Luca, ho finito di leggere il tuo manoscritto inviato a Scrittmisto.
    Bello, molto brillante, arguto, e scritto con uno stile così scorrevole..;o)
    Geniale quella pagina nera finale !
    Segnalerò il mio voto al concorso, anche se non sei finalista, ma, come
    avrai visto, è in corso una specie di ripescaggio.
    Ehm, scusami se approfitto del tuo blog per queste comunicazioni, ma…ehm..il tuo indirizzo di posta è ancora valido ?:o)
    Complimenti ancora !
    Da una pervertita, psicopatica e viziosa lettrice
    assai inutile..:o)
    Ciao !

  2. michele says:

    “Da una pervertita, (psicopatica) e viziosa lettrice”!!!!?

    Letturalenta devo ricredermi sul suo “concorso” ? Non oso pensare a quali orizzonti di gloria si spianano ai vincitori?

    (perdonami Barbara, schezo e non discuto sulla tua moralità)

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