[dtfn] XIII – Novella seconda (Seconda parte) [2]

(Il manoscritto ritrovato di letturalenta. Frontespizio e indice)

Saku Paasilahti: De te, fabula narratur (1999), tratto da http://rikart.lib.hel.fi/Storia di un signore emiliano che volò a cent’anni

VI
Il giorno dopo li abbiamo rivisti a Montichiari, alla gara degli aeroplani. C’era una confusione terribile, ancora più terribile di quella che avevamo trovato nelle stazioni dei treni. Sì, perché anche alla stazione di Brescia c’era baccano. Franz l’ha descritto in suo libro, sapete? Franz era uno scrittore, infatti, e anche quel giorno a Montichiari se ne andava in giro per l’aerodromo tenendo in mano un quadernetto rilegato, e si fermava spesso a scriverci su qualcosa. Non so dire quanta gente ci fosse, ma eravamo tantissimi, come allo stadio quando ci sono le partite di pallone. I signori stavano sotto una tribuna coperta, a mostrarsi i bei vestiti e i bei modi, e tutti gli altri seduti sull’erba, dove capitava, fino ai bordi delle piste. Gli aeroplani erano piccolissimi, quasi costruiti attorno al pilota, e i motori mandavano ruggiti spaventosi. Erano così piccoli che già pochi minuti dopo il decollo si riducevano a puntini quasi invisibili in cielo. Eppure noi restavamo a naso in su per ore, pur di seguire quei puntini. Ah, bambini cari, quanto mi piacerebbe volare come volavano allora, soli, a due passi dal paradiso. Ma ormai sono troppo vecchio. Avrei potuto volare da giovane, ma in guerra, specialmente l’ultima, gli aerei facevano cose tremende, e mi è passata la voglia.

Franz scriveva. Curiosava dappertutto e scriveva, scriveva. A un certo punto, però, smise di scrivere e si avvicinò a noi. Strinse la mano al nonno, a me arruffò i capelli, sorrise alla Iole. Poi disse qualcosa al nonno Primo, in tedesco, il nonno guardò la Iole e lei rispose di sì con gli occhi, senza aver capito una parola di quello che Franz aveva detto. Si appoggiò al braccio che Franz le aveva offerto sorridendo, e si allontanarono insieme verso gli hangar degli aeroplani. Solo qualche anno dopo la Iole mi ha raccontato cosa si erano detti durante quella passeggiata, o meglio cosa lui aveva detto, dato che lei si limitava a guardarlo meravigliata, e a fare no con la testa di tanto in tanto. Franz mormorava frasi in tedesco, frasi brevi come du bist scion vi aine stern, e la osservava con gli occhi spalancati, e le stringeva la mano sotto il braccio, e aspettava tremando una risposta. Lei restava zitta, un po’ perché non capiva bene le parole, e un po’ perché capiva fin troppo bene quello che le parole non potevano dire. Andiamo via, diceva Franz in italiano, andiamo a Praga, sposiamoci. Un coup de foudre incredibile, bambini miei, ma se voi aveste visto la Iole allora, quanto era bella, non vi sareste meravigliati.

Quella notte tardavo a prendere sonno. Nella camera dell’albergo sentivo la Iole che non dormiva neanche lei. Si rigirava nel letto, mormorava parole strane, invocava un numero esorbitante di santi, non si dava pace. A un certo punto ho sentito un rumore strano alla porta della nostra stanza, come quando i gatti ci raspano sopra con le unghie, ma più leggero. La Iole si è alzata di scatto, ha acceso la candela che stava sul suo comodino ed è volata verso la porta, scalza e in camicia da notte. Io ho sollevato la testa per guardare, e l’ho vista raccogliere un foglio vicino alla porta, un foglio che qualcuno aveva fatto passare sotto. Poi è andata a sedersi al tavolino che stava in mezzo alla stanza, e ha cominciato a leggere. Io vedevo lei che leggeva alla luce della candela, e sentivo il nonno Primo russare come una zappatrice a motore. Sentivo lei che a un certo punto ha cominciato a singhiozzare e a piangere, e guardavo terrorizzato il nonno Primo, pregando che non si svegliasse, perché se si fosse svegliato sarebbe svanito l’incanto di quella donna piangente al lume di candela, con quella lettera stretta al petto, che mormorava Franz, oh Franz, e sembrava che fosse nata apposta per gemere e mormorare e stringere al petto la lettera. Ma a un certo punto ha smesso di piangere, si è alzata, ha preso la candela e si è avvicinata al camino. Ha messo la lettera sulle braci, ci ha soffiato un po’ su e poi si è seduta sullo zoccolo del caminetto, e la guardava bruciare. Bruciava piano. Doveva essere carta molto spessa. L’ha guardata consumarsi fino alla fine. Quella dev’essere stata una delle poche cose scritte da Franz a finire bruciata, ed è un peccato, perché credo sia l’unica cosa che lui abbia mai scritto in italiano. La Iole non mi ha mai detto cosa diceva quella lettera, ma io ho sempre saputo che era una lettera d’amore, altrimenti lei non avrebbe pianto tanto.

VII
Quell’anno, mentre raccontava la storia, Emilio aveva notato che Diamante e il figlio Primo, il padre di Francesco, si erano messi in un angolo a parlare tra di loro. Sembrava una discussione animata: Diamante a volte scuoteva la testa, e si piegava un po’ in avanti sulla sedia, mettendosi entrambe le mani fra le ginocchia e dondolando avanti e indietro, come faceva sempre quando si sentiva a disagio. Allora Primo le prendeva le mani, chinava leggermente il capo per guardarla negli occhi, e le parlava fitto fitto, come se cercasse di convincerla di chissà cosa. Ogni tanto smettevano di parlare e guardavano per un istante Emilio, entrambi seri in viso, come se stessero riflettendo. Emilio, nonostante i suoi novantanove anni, non tardò a capire che stavano parlando di lui e, mentre Diamante lo sistemava per la notte, cercò di carpirle il segreto, ma ottenne solo risposte evasive sui figli che ne hanno sempre una, che quando si è madre lo si è per tutta le vita, e altre sciocchezze del genere. Signore Dio, pregò quando fu solo, grazie per avermi fatto campare un giorno ancora e, se riesci a sapere cosa mi stanno combinando quei due, dimmelo, magari in sogno. E si addormentò.

Il 13 Marzo successivo, il giorno del centesimo compleanno di Emilio, la comoda monovolume di Primo filava sull’autostrada per Verona, Emilio seduto davanti e Diamante dietro con Francesco. A Verona presero per Brescia, e a Brescia uscirono: direzione Montichiari. Ma tu pensa, Francesco, diceva Emilio mentre entravano nell’edificio dell’aeroclub, che quando ci sono venuto la prima volta abbiamo viaggiato per due giorni, con la Iole e il nonno. Adesso ci si arriva in meno di due ore. Uscirono all’aperto. Quanta gente! Sembra di essere al Gran Premio del 1909. C’è anche Massimo con i suoi, guarda! Ma che sorpresa. Ciao Massimino, vieni a salutare il nonno. E là ce ne sono degli altri, dei nostri. Diamante, cosa ci fa qui tutta la famiglia? Non solo la famiglia, rispose Diamante, guarda bene sulle tribune. Emilio girò piano la testa e vide che c’era mezza Guastalla lassù, tutti in piedi a guardare verso di lui, e tutti lo salutavano. Poi partì un applauso, e vide il sindaco, il sindaco in persona che gli veniva incontro, e poi ancora il sindaco che gli stringeva la mano e parlava, parlava, parlava… un giorno memorabile per tutto il paese… evento senza precedenti… grande onore per me stringere la mano a un tanto stimato concittadino… con l’auspicio che lei possa portare questa giornata nella memoria per molti anni ancora… Emilio si era alzato dalla “sedia gestatoria”, come la chiamava, e si guardava attorno appoggiandosi al bastone. Curtiss! esclamò a un certo punto, quasi gridando, Curtiss! Pensi, signor sindaco, che saranno cinquant’anni che non ricordavo più il suo nome. Curtiss è quello che ha vinto il Gran Premio di Brescia nel 1909, sa? Avrebbe dovuto vederlo come volava su quel trabiccolo. E Franz, un po’ col naso per aria e un po’ giù a prendere appunti sul suo quaderno. Non guardava neanche più la Iole, mentre Curtiss volava. E sì che la Iole era anche più bella del solito, quel giorno, ma Curtiss era Curtiss. Si sedette di nuovo sulla sedia a rotelle, guardando un punto noto soltanto a lui. Là, diceva, erano laggiù, vicino alla pista. Adesso è asfaltata, ma allora era a prato.

Il turboelica noleggiato dal sindaco a nome di tutta la cittadinanza di Guastalla era fermo sulla pista di decollo. Emilio, Diamante, Primo, Francesco e Massimo osservavano in silenzio le manovre del comandante. Una voce gracchiò qualcosa alla radio di bordo, e l’aereo si mosse. Veloce, sempre più veloce, e poi uno strattone, un piccolo vuoto allo stomaco, e la terra iniziò ad allontanarsi. Stiamo volando! esclamò Emilio. Diamante, stiamo volando! Guarda le case laggiù, come sono piccole! E le macchine sulla strada: sembrano giocattoli! E senti che silenzio. L’aereo di Curtiss faceva un baccano d’inferno, sai? E la Iole e Franz, là, vicino alla pista, si sono piegati in due con le mani sulle orecchie, quando è partito. Ma pensate, bambini, che in cent’anni non ho mai voluto salire su un aereo. È così bello. Ma come si fa a usare una cosa così bella per ammazzare della gente? Se solo non l’avessero fatto, io avrei volato anche prima, sapete? Siete fortunati, piccoli cari, voi siete molto fortunati a volare così presto. Ah, che meraviglia, guardate: siamo in mezzo alle nuvole!

Se solo ci fosse la Iole qui a vedermi volare. Se solo fossi qui, Iole!

8 Responses to “[dtfn] XIII – Novella seconda (Seconda parte) [2]”

  1. gabryella says:

    gran premio internazionale di brescia, 1909..in effetti, franz non si curò che delle macchine e degli uomini volanti, incurante degli illustri ospiti presenti (oltre al re, puccini e d’annunzio)

    – qualche anno dopo, ci ho volato anch’io, colà

  2. letturalenta says:

    Ma per davvero? Volasti in quel di Montichiari? Calpestasti la stessa terra calpestata da Franz? Solcasti i medesimi cieli solcati da Curtiss? Sappi che sono verde d’invidia!

  3. gabryella says:

    uuh, lentore, credevo tu sapessi dei miei trascorsi virtual(e non solo)-aeronautici

  4. letturalenta says:

    Mai saputo di siffatti virtuosi precedenti. Racconta, racconta…

  5. letturalenta says:

    Mo sorbole gabry! Sei una miniera di sorprese. Comincio a chiedermi se c’è qualcosa che NON hai fatto.

  6. maria strofa says:

    ovviamente tutti e due avrete il libro aeroplani a brescia di kakfa (biblioteca del vascello) – la grafica della copertina era di un gran grafico.

    di questo brano già ti dissi quanta approvazione; gli inserti narrativi – progressivi che si innestano sui digressivi ecc…

    un bel salutone!

  7. letturalenta says:

    Grazie per i reiterati complimentoni, Maria. Son sempre bòtte d’autostima che fanno bene. Quel libro della BdV non ce l’ho. Ho invece i Diari di Kafka, Einaudi, che se non ricordo male (non ho il libro sotto mano) si aprono proprio con l’articolo sul Gran Premio di Brescia.

Leave a Reply