Archive for March, 2007

Dico e altre famiglie

Wednesday, March 28th, 2007

Mammifero italianoGiorgio Manganelli ha vissuto in prima persona, e in tempi non sospetti, la disgregazione dell’istituto familiare tradizionale: cacciato di casa dalla moglie in quanto «non solo inutile ma anche dannoso», nel libro in effigie egli stesso si definì «padre da marciapiede, recuperato solo dalla tenacia irragionevole di una figlia che ha un’intensa vocazione redentrice» (pag. 129). Cattivo marito e peggior padre, fu anche figlio irriverente e ingrato: «Nella mia infanzia io ho posseduto una famiglia normale – o piuttosto ne sono stato posseduto – vale a dire quel tipo di famiglia che, per vivere, ti fornisce di laurea e di una certa quantità di demenza» (pag. 51). Non so immaginare uomo più titolato a sondare il lato oscuro della famiglia italicamente intesa.

Manganelli era un frequentatore assiduo dell’ombra, un collezionista certosino di altri lati delle medaglie, un archeologo votato a riportare in superficie tutto ciò che il senso comune e le retoriche dominanti usano seppellire sotto spessi paludamenti oleografici e consolatori. Sul tema della famiglia, a questa sua innata predisposizione per le escursioni infere, aggiungeva una buona scorta di acidi corrosivi accumulata in anni e anni di esperienza diretta.

Io, al contrario di Manganelli, sono stato un figlio mediamente fortunato, sono sposato da vent’anni con una donna impareggiabile per molte virtù – non ultima la sopportazione delle persone moleste – e padre di due figli che chi me li tocca muore. Qualora monsignor Bagnasco intendesse rinforzare la progettata nota pastorale della CEI sui valori non negoziabili con uno spot sulla Perfetta Famiglia Prolifica ed Eterosessuale, mi candido fin d’ora al ruolo di protagonista. E tuttavia non posso vantare meriti particolari per le gocce di felicità che mi sono toccate in sorte: sono solo uno che può dire a buon diritto di avere più culo che anima, perché ho ben presente quanto le gioie familiari siano aleatorie e costantemente soggette a usura e reversibilità.
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[dtfn] XV – Del finale

Tuesday, March 27th, 2007

(Il manoscritto ritrovato di letturalenta. Frontespizio e indice)

Saku Paasilahti: De te, fabula narratur (1999), tratto da http://rikart.lib.hel.fi/Eccoci dunque giunti al gran finale, laddove i fili dispersi della trama si ricongiungono in un’epifania di senso, i conti apparentemente sbagliati finalmente quadrano, e i personaggi – sentendosi ormai prossimi alla fine – disvelano il loro ultimo segreto in uno slancio di generosa agnizione. Noto che stai calcolando il numero di pagine che mancano alla fine, e ti vedo un po’ scettico sulla possibilità che proprio in questo punto giaccia il mio finale, quando ancora così numerosi sono i segni che seguono. Capisco la tua perplessità, e in un certo qual modo la trovo anche sensata, ma tieni presente che, come già dissi fin dal secondo capitolo, il finale di un racconto è un concetto relativo, del tutto indipendente dal numero e dalla successione dei segni grafici in cui è stato trascritto. È ben vero che ogni racconto ha un inizio e una fine, o quanto meno una prima parola e un’ultima, ma sarebbe doloroso separare a forza ciò che cade fra questi due punti convenzionali da tutto ciò che precede e che segue. Prima di me ci sono miliardi e miliardi di parole, e dopo di me, ne sono certo, non ci sarà il diluvio. Io non sono altro che una breve scena di una lunghissima commedia iniziata chissà quando e votata per sua natura all’eternità. È già successo che il capocomico tagliasse qualche scena per salvaguardare l’insieme, e non è detto che io non sia la prossima.
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Epitaffio

Monday, March 26th, 2007

Quel che resta di maria stofaCredo di essere stato il primo a dare notizia della sua apparizione nel mondo dei blog, il 15 novembre 2006 – giorno del mio quarantaquattresimo genetliaco – seguito a ruota da Lucio Angelini, che il 16 novembre del medesimo a.d. titolava è ri-nata una stella.

La stella, ahimè, è stata meteora: il blog di maria strofa è scomparso. Al suo posto resta l’ammonimento tat twam asi, che – come la Strofa medesima spiegò in un recente commento qui su letturalenta – è tratto dalle Upanishad e significa «questo sei tu o tu sei quello, come forma di compassione universale di tutte le cose». Nel caso di specie indica un vuoto, ovvero il buco rimasto dopo l’estirpazione della voce di maria strofa dalla blogosfera, e dunque non può significare altro che tu sei il nulla, una versione orientale del biblico memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris.

Ti conosco da anni nella tua veste virtuale, Maria, e da pochi mesi nello scafandro carnale di cui madre natura ti ha rivestita. Conosco le tue intemperanze e la tua generosità e so che la seconda supera di svariate misure le prime. Arrivederci Maria. E dato che nella mia bildung personale i Pink Floyd contano parecchio più delle Upanishad, ti saluto alla loro maniera: Shine on you crazy diamond!

Pensavopeggio

Thursday, March 22nd, 2007

PensavopeggioQualche tempo fa ho incontrato Rossella Messina, poco dopo l’uscita del suo libro Pensavopeggio. L’ho salutata, l’ho castamente abbracciata e baciata sulle gote, e infine ho pronunciato la più trista battuta che essere umano potesse concepire in quel contesto: «pensavo peggio».

L’occasione era alquanto conviviale, per mia fortuna, e così Rossella Messina, invece di manifestare tutto il disprezzo che cotanta scemenza avrebbe meritato, mi ha gentilmente sorriso. Osservando quel sorriso ho notato un particolare insolito: era circoscritto alla bocca, mentre gli occhi restavano serissimi. Lì per lì, lo confesso, la cosa mi ha intimidito: ho avuto l’impressione di essere benevolmente graziato da una metà della donna che mi stava di fronte, mentre l’altra metà emetteva su di me un giudizio di severità inaudita.

Racconto questo episodio – che per l’ordinario dovrebbe rientrare nel fascicolo “fatti miei e, al limite, di Rossella Messina” – perché alcune settimane dopo il fatto ho letto Pensavopeggio, e non ho potuto fare a meno di leggerlo alla luce di quel sorriso serio. Pensavopeggio è una raccolta di dialoghi minimi fra due protagonisti astratti che si chiamano Lei e Lui, talvolta affiancati da comparse come Un’amica o Il cameriere. Il tema è l’amore, come recita il sottotitolo del libro, ambientato nei luoghi classici di una coppia normale: la casa, il ristorante, la villeggiatura. Alcuni esempi:
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Il tetto

Monday, March 19th, 2007

tetto, tratto da http://www.panoramio.com/photo/9545Magnifica giornata, non c’è che dire. Limpida, serena, cristallina come solo certe giornate d’inverno sanno essere, ma anche pervasa da un tepore amichevole e incoraggiante. Le condizioni atmosferiche influenzano da sempre l’umore dei tetti e la qualità delle loro speculazioni. Non v’è chi non sappia, per esempio, che un temporale rende un tetto felice fino all’euforia, mentre gli ardori canicolari lo sprofondano in stati malinconici prossimi alla depressione. Le giornate come questa stimolano la nostra indole meditativa.

Che io sia tetto, a dire il vero, è un’affermazione meno scontata di quanto possa apparire, e meriterebbe forse il sostegno di robusti puntelli argomentativi. Non è ancora assodato, infatti, in che cosa consista la vera essenza di un tetto, né quali attributi lo distinguano dal non tetto: non la collocazione sopraelevata, che condivide con balconi e cornicioni; non la funzione di copertura, giacché anche i solai coprono; non la forma, che può essere la più varia, né tanto meno i materiali impiegati a costruirlo. Eppure chiunque, osservando una casa, è in grado di indicarne il tetto – posto che quella casa ne abbia uno.
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Tana per il sito di Monica Viola!

Friday, March 16th, 2007

Monica Viola, l’autrice del qui molto amato Tana per la bambina con i capelli a ombrellone, ha aperto il sito monicaviola.it, dove campeggia gloriosa la splendida copertina disegnata da al3sim. E ancora una volta Monica Viola fa le veci della mia memoria farlocca con una playlist che per me è come un deposito dei ricordi smarriti, come da mail che le ho mandato, e che volentieri pubblico:

Sorbole Mo’, hai messo su un sitarone che dire scintillante è dire poco! E quella playlist, santiddio, che nugolo di ricordi!

Te ne dico solo due: la prima volta che sentii Crocodile rock, alla radio, in cucina. Avevo 11 anni, ma ricordo ancora perfettamente quello che pensai ascoltando quel ritmo gioioso e quel Laaaa-la-la-la-la-laaaa in falsetto. Pensai: “cazzo! questa è tutta un’altra musica!”. (va be’, considerando che allora il top era Claudio Villa non è che ci volesse molto, ma pazienza :-))

E poi i Genesis, quelli di allora ovviamente, e in particolare The lamb lies down on broadway. The carpet crawlers non è mai mancata nelle spiaggiate della nostra compagnia elbana per almeno dieci anni, dal 1981 (e questo già dice quanti anni durava la musica) al 1990 compresi, col mio amico Luciano e io alle chitarre, e tutti a cantare “you’ve got to get in to get out” a squarciagola.

E poi tutto il resto! Non manca niente, forse solo i Pooh, ma posso capire :-)

C’è sempre una prima volta

Thursday, March 15th, 2007

Ebbene sì, per la prima volta nella storia di questo blog di periferia ho eliminato un commento, precisamente qui.

Mi permetto di darne pubblica notizia – abusando in un certo qual modo della pazienza dei lettori – per sottolineare che non tollero l’antisemitismo in qualsivoglia forma si presenti, da quella apertamente fascista e negazionista, a quella subdolamente mascherata da antisionismo.

Sono intollerante? Pazienza. Preferisco essere intollerante che contribuire, anche solo indirettamente e involontariamente, alla diffusione di pregiudizi e falsità contro il popolo ebraico.

Se qualcuno è interessato a prendere visione del testo eliminato, può chiedermelo per email, ma avviso preventivamente i richiedenti che stile e contenuti hanno un discreto effetto emetico.

Esperimento

Wednesday, March 14th, 2007

1. Individuare i 720 lemmi più utilizzati in libri, quotidiani e periodici in lingua italiana.
2. Concentrare in una radura lontana da centri abitati 720 individui residenti in Italia.
3. Microfonare i suddetti individui e collegare i microfoni ad adeguati strumenti di registrazione vocale.
4. Assegnare a ciascun individuo uno dei lemmi di cui al punto 1.
5. Impartire simultaneamente a tutti i 720 l’ordine di pronunciare a voce alta la parola loro assegnata.
6. Ripetere l’esecuzione fino a ottenere una registrazione di qualità ragionevole.
7. Fare ascoltare la registrazione a un campione rappresentativo della popolazione italiana, q.b. a produrre un elaborato che contenga almeno i seguenti elementi:

a. Descrizione della percezione uditiva, ovvero se il brano è parso suono, rumore, voce, musica o altro.
b. Descrizione delle impressioni o emozioni suscitate dall’ascolto, quali ad esempio terrore, sgomento, felicità, sorpresa, ecc.
c. Esposizione dei significati e dei concetti individuati dall’ascoltatore.
d. Un commento libero.

8. Raccogliere gli elaborati prodotti al punto 7 in un volume intitolato Il silenzio come limite estremo della parola.

[dtfn] XIV – Il tradimento letterario

Tuesday, March 13th, 2007

(Il manoscritto ritrovato di letturalenta. Frontespizio e indice)

Saku Paasilahti: De te, fabula narratur (1999), tratto da http://rikart.lib.hel.fi/Iole, ovvero il desiderio di volare. Quanto ha ragione il vecchio Emilio: se solo fosse qui, Iole. Perché vedi, carissimo, gli aeroplani sono macchine meravigliose che possono anche uccidere gli uomini, e così sono le parole: splendidi marchingegni che possono uccidere i racconti. Conoscevo un tale, una volta, un poemetto epico in endecasillabi sciolti. Simpatico, non dico di no, anche se talvolta la sua conversazione diventava un po’ contorta, il suo pensiero un po’ arduo e intricato, difficile da comprendere. Questo succedeva per la sua ostinata ricerca di parole millimetricamente adatte alle sue necessità espressive, e a volte quelle che trovava erano così ricercate che le capiva solo lui. Un giorno voleva descrivere una scena di caccia, e ha iniziato a sciorinare il suo bel discorso raffinatissimo e perfettamente ritmato. A un certo punto però si è fermato e non andava più avanti. Che c’è? gli ho chiesto. La giusta locuzione non accorre, ha risposto, e se ne è andato via senza nemmeno salutare, bofonchiando mezze sillabe e scacciandole subito dopo: Verbo meschino! Non m’abbandonare! gridava a ogni fallimento. L’ho rivisto per caso sei mesi più tardi, ho mollato lì quello che stavo leggendo e gli ho chiesto se avesse trovato la parola.
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8 Marzo

Thursday, March 8th, 2007

Genio. Sostantivo femminile singolare.

Amore Viola

Wednesday, March 7th, 2007

Monica Viola, Tana per la bambina con i capelli a ombrelloneÈ un colore ben strano, il viola, disinvolta mistura di rosso e di blu, ugualmente partecipe dell’igneo e dell’acqueo, confine permeabile fra i colori caldi e i freddi. Un colore che non sa decidere da che parte stare, perché nessuna parte ha tutto il suo amore e nessuna ha tutto il suo odio. Ha una vocazione irreparabilmente liminare, il viola, nonché una propensione naturale a farsi passaggio, ponte, attraversamento. Non è un caso che lo si trovi in cielo specialmente quando la notte diventa giorno o il giorno notte.

Monica Viola ha scritto Tana per la bambina con i capelli a ombrellone, uno dei libri più viola che io abbia mai letto, e anche un libro che non posso recensire, essendo la recensione un’impresa che richiede un certo qual distacco sentimentale dal suo oggetto e una buona dose di imparzialità. Nei confronti di questo libro, invece, io sono parziale, parzialissimo, partigiano perfino, nonché sentimentalmente coinvolto.

C’è una parola più viola delle altre in Tana, così emblematica da fare paragrafo a sé. Una parola che il lettore potrà facilmente trovare nel libro dopo averlo scaricato al link qui sopra (se preferisce la carta, può anche ordinarlo a Stampalibri). Non serve che io dica qui di che parola si tratta: il lettore è abile e navigato, e la troverà da solo. Quella parola contiene tutto il disagio esistenziale della protagonista, un disagio in cui non faccio fatica a riconoscermi, dato che fui bambino e adolescente negli stessi anni:

Voler essere nel gruppo e allo stesso tempo non dare adesione totale, non volermi sentire dentro il recinto. Il cane randagio cerca padrone ma poi il giardino gli va stretto e morde il guinzaglio che sognava di avere al collo.

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