[dtfn] XVIII – Macerie

(Il manoscritto ritrovato di letturalenta. Frontespizio e indice)

Saku Paasilahti: De te, fabula narratur (1999), tratto da http://rikart.lib.hel.fi/Eros e Thanatos, Incipit ed Explicit. Vedi quanta parte delle nostre rispettive esistenze condividiamo?

Siamo entrambi un lungo e tortuoso movimento fra due punti astratti dei quali nulla possiamo dire. Tu eri presente quando i miei maggiori si unirono per generarti? E dov’ero io quando tuo padre e tua madre fusero i loro discorsi amorosi nella forma che mi donarono? Cosa sapremo dire ciascuno della morte dell’altro? Sopravviveremo a noi stessi il tempo necessario a redigere un decoroso epitaffio?

A volte dubito che tutto ciò che accade fra l’estasi generativa e il vortice tanatògeno sia affatto indescrivibile: cosa possiamo dire, infatti, di una curva che congiunge due punti ineffabili? Quale linea ferroviaria potrà mai unire una stazione di partenza ignota a un termine sconosciuto? Se non esiste la parola capace di comprendere il nostro inizio e la nostra fine, in base a cosa affermiamo di avere un prologo e un epilogo? E se non li abbiamo, come chiameremo ciò che con inaudita inesattezza diciamo vita o racconto?

Eppure confezioniamo parole e discorsi senza sosta da milioni di anni, forse perché siamo infinitamente intelligenti, o forse perché affetti da un’irredimibile demenza. O forse ci spinge il desiderio di colmare il duplice abisso sul quale siamo sospesi, tutto quell’inspiegabile vuoto che ci precede e ci attende. Raccontare la nostra nascita e la nostra morte, ecco l’intenzione inconfessabile di qualsivoglia letteratura: intrappolare l’origine e la fine in una fitta rete di pronomi e di aggettivi, di avverbi e di preposizioni; impaniarle in un viscoso composto di metafore e di ossimori, di tautologie e di metonimie; costringerle entro argini possenti di rime e di sineresi, di enjambement e di assonanze. Costruire mirabili architetture linguistiche e poi fermarsi ad osservarle sperando che da loro promani magicamente la parola definitiva sulla nascita e sulla morte; osservarne in silenzio per secoli l’ineluttabile disfacimento e usare le loro macerie per iniziare da capo.

Questa spirale di edificazioni e di crolli produce frammenti grafici, scarti narrativi, schegge lessicali, un materiale di risulta così malridotto e sconnesso da sembrare inutilizzabile. Ricordi l’allegoria del racconto, l’alchimista del mio nono capitolo? Così come a lui sfuggivano frammenti di vita irriducibili alle parole, così a te sfuggono frammenti di parole irriducibili alla vita. Sono discorsi mai conclusi, o forse mai iniziati, dei quali restano isolati perché?, che mi succede?, ma tu pensa!, in attesa di un racconto che li raccolga e te li restituisca adeguatamente restaurati.

Ti ricordi? Non è un racconto se non ti fa mai questa domanda. Il canto raspante dei pennini, l’odore inebriante dell’inchiostro, le figure misteriose sulla carta assorbente, ti ricordi? La stanza gelata quando toglievano la corrente elettrica alle case e la benzina alle automobili, e strade enormi e vuote diventavano interminabili piste avventurose, ti ricordi? Ti ricordi quell’anello d’oro perduto chissà dove? E la bara bianca di Simonetta? E il pucazzo di neve nel cortile dell’oratorio? Il preside infuriato per quelle innocenti decorazioni sul registro di classe, ti ricordi come esordì? la quarta bbi ha fatto ‘na cosa che nun doveva faare! La quarta B, come se fosse una persona sola, e infatti lo era.

Come io devo fare i conti con l’indicibile, così tu devi farli con l’invivibile. Non si scappa, non c’è rimedio: ci sono cose che non si possono dire; ci sono parole che non si possono vivere. Se tu mi chiedessi cosa significa ciò che ho appena detto non saprei rispondere, ma a questo punto della storia dovrebbe essere chiaro che nella nostra affabile e produttiva conversazione non sono io quello che ha le risposte.

5 Responses to “[dtfn] XVIII – Macerie”

  1. maria strofa says:

    “Tu eri presente quando i miei maggiori si unirono per generarti?”

    cfr *Avrei desiderato che mio padre o mia madre, o meglio tutti e due, giacché entrambi vi erano egualmente tenuti, avessero badato a quello che facevano, quando mi generarono.*
    (trad di Antonio Meo)

    Bellissima questa parte.

  2. susukino says:

    ma bada veramente qualcuno quando genera?

  3. letturalenta says:

    Nel caso del povero Tristram Shandy non ci badarono, per l’appunto. Grazie della nobilissima citazione, Maria: con un antenato del genere la fama e la gloria sono assicurate!

  4. gabryella says:

    sempre meglio, lentore (parmi che tu proceda sempre meglio)

  5. letturalenta says:

    parti? nooooo, resta! (si ricompone).

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