[dtfn] XXIV – Novella terza, La morte dell’Autore [2]

(Il manoscritto ritrovato di letturalenta. Frontespizio e indice)

Saku Paasilahti: De te, fabula narratur (1999), tratto da http://rikart.lib.hel.fi/II
Tutto preso dal ricordo di quella lezione di poetica, solo alla fine l’Autore si rese conto di averla ripetuta a voce alta con lo stesso tono di voce della prima volta, e tastandosi le guance e i lati della bocca ritrovò al tatto la medesima espressione del volto. Ripeté ancora mentalmente la breve prolusione, non senza un certo compiacimento per l’acutezza della risposta, così ricca di citazioni e pregevoli inserti di letteratura italiana, russa e francese. Diderot, poi… Diderot… Ecco che dall’abisso magmatico dei pensieri iniziati e mai conclusi, risalì in superficie quella frase così assertiva e impudente: Con i piaceri violenti accade come con le pene profonde: sono muti.

Più articolato e complesso era l’asse verticale del diagramma. All’estrema sinistra, a filo con il lato del gigantesco foglio bianco, erano incollati fogli di lunghezza variabile, anch’essi larghi tredici centimetri, ciascuno di diverso colore. Recavano sull’angolo in alto a sinistra un bollino adesivo bianco circolare con impresse sigle quali PF1, PF2, PM1, eccetera, a indicare i personaggi femminili e maschili. La numerazione era inversamente proporzionale alla centralità del personaggio, e così la lunghezza del foglio generalmente decresceva al crescere del numero identificativo. A PF1 e PM1, i protagonisti, erano riservati venti centimetri cadauno, mentre comparse come PF12 o PM15 dovevano accontentarsi di poche decine di millimetri.

Codesti contrassegni, veri e propri dossier in miniatura, elencavano con grande precisione le caratteristiche fisiche e morali dei personaggi, vizi e virtù, passioni e idiosincrasie, amori e odî, nonché indispensabili dati anagrafico‑personali quali: data di nascita; ascendente zodiacale; malattie e interventi chirurgici subiti; tratti somatici principali e segni particolari; tipi e marche di capi di vestiario, accessori e cosmetici; nome del medico generico e degli specialisti di riferimento; beni mobili e immobili, liquidità ed entità dei debiti; professione, hobby e sport praticati; tipo di letture completo di elenco dei livres de chevet; composizione della colazione‑tipo e allergie alimentari; grado di parentela con altri personaggi; titoli scolastici; amorazzi giovanili e relazioni sentimentali adulte e adultere; girovita e numero di scarpe; mezzi di locomozione e tragitti ferrotramviari; ascendenti fino alla terza o quarta generazione; numero fortunato e colore preferito.

In questo fiorire di dettagli identificativi, però, mancava il nome. Per tutta la durata della composizione dell’opera l’identità di ciascun personaggio era affidata alla sigla alfanumerica corrispondente. Analogamente il maestoso schema non ospitava il titolo del romanzo: nella parte alta del foglio, sopra i cartigli dei capitoli e in posizione centrale, campeggiava in sua vece la scritta Opera 39.

Mantenendo le terga ben aderenti allo schienale, ma appoggiando stavolta gli avambracci sui comodi braccioli, l’Autore premette un pulsante su quello di sinistra per innescare il movimento longitudinale della poltrona reclinabile (oltre che basculante e girevole). Si concentrò sulla parte finale della sentenza di Diderot: sono muti. I piaceri violenti sono muti, pensò, esattamente come le pene profonde. Non ci sono parole per esprimere le emozioni forti. Aveva ragione l’illuminista francese, o c’era modo di confutare quell’affermazione così apodittica?

L’Autore percepiva l’importanza dell’argomento e avrebbe voluto continuare a ragionarci sopra, ma presto la sua testa si riempì di un ronzio vacuo e indecifrabile, come se tutti i pensieri monchi della giornata si fossero dati convegno in quel preciso momento sul limitare della coscienza, e tutti assieme si accalcassero per oltrepassare la soglia dell’ineffabile, per trovare finalmente le parole capaci di esprimerli. Ma da quel vociante assembramento nessuno uscì vincitore e il desiderio di mettere ordine non sortì altro effetto che un aumento sensibile della confusione.

Sempre in verticale, a destra dei personaggi, ma limitatamente alla parte centrale dello schema per un’altezza complessiva di un metro, erano collocati i luoghi del romanzo, in numero di dieci. Ogni luogo occupava dieci centimetri sull’asse del diagramma ed era contrassegnato da un cartoncino largo ventisei centimetri sul quale erano annotate le sue caratteristiche salienti con puntiglio non inferiore a quello dedicato ai personaggi, anzi accresciuto dal fatto che i luoghi avevano fin dal principio ricevuto lo stemma del nome. Vi era pertanto la Casa, la Spiaggia, la Barca, l’Aereo, l’Ufficio, il Negozio, il Centro, Chicago, Sharm-El-Sheik e Gerusalemme.

Stupito dall’eterogeneità di quei luoghi, e in particolare dalla loro evidente sproporzione in termini di estensione nello spazio, il laureando ne aveva chiesto ragione all’Autore, il quale, senza abbandonare le delizie concesse dalla simultanea reclinabilità girevolezza e basculanza della poltrona così aveva risposto:

Creda, mio caro futuribile letterato, che il romanzo, pur non soffrendo al pari del teatro i cambi di scena troppo frequenti, non deve tuttavia esagerare in senso opposto, cedendo alla tentazione di moltiplicare ad libitum le scenografie. Perfino la già citata Commedia dantesca è collocata in tre macro‑luoghi – inferno purgatorio e paradiso – sia pur descritti nei loro particolari fino a raggiungere un numero considerevole di micro‑scene.

Ora, a voler essere pratici, possiamo considerare bolge gironi e sfere celesti come “stanze” degli edifici primari, ritornando al più ragionevole numero di tre grandi scenografie, che risultano in effetti unificate dalla diversa intonazione stilistica che la lingua del sommo poeta assume in ciascuna di esse: comica e bassa nell’inferno, riflessiva e media nel purgatorio, lirica e alta nel paradiso. Né dobbiamo credere che codesti ambienti abbiano pari estensione, ed è anzi evidente che quanto angusti e perigliosi sono i meandri e i passaggi infernali, tanto vasti e pacificanti sono gli spazi incommensurabili del paradiso.

E se lei fosse còlto dalla tentazione di considerare Dante un esempio troppo antico per poter valere all’oggi, prenda allora il capolavoro di Melville – Moby Dick – e ne enumeri i luoghi: s’accorgerà di poterli contare sulle dita di una mano, e non mi dirà che il Pequod è paragonabile per estensione anche solo alla pur piccola Nantucket.

La Barca della mia Opera 39 è il luogo in cui PF1 e PM3 consumano la loro relazione adulterina, proprio nel capitolo undicesimo che sto scrivendo in questi giorni. Si tratta di un evento centrale del romanzo, capisce, un fatto che getterà luce sul passato di questi e altri personaggi, e che determinerà in modo stringente la conclusione dell’intera storia. E non è un caso, cerchi di seguirmi, che l’evento cardine avvenga nel più piccolo dei dieci luoghi pre‑destinati allo svolgimento dell’azione. Nel romanzo, caro il mio discente terminale, la grandezza è sempre a stretto contatto con il piccolo. Dio è nei dettagli, diceva il grande Flaubert, e con questo spero di aver risposto alla sua domanda.

3 Responses to “[dtfn] XXIV – Novella terza, La morte dell’Autore [2]”

  1. CalMa says:

    DTFN deve essere assolutamente pubblicato. E’ il classico caso in cui la dimensione blogghistica mortifica la scrittura. Detto fuoridaidenti. Sciapò

  2. letturalenta says:

    Eh, ma per pubblicarlo toccherebbe mandarlo a qualche editore pazzo, e mi fa fatica. Confermo la parziale incompatibilità fra il blog e cose come questa, che non furono scritte per il blog. Tuttavia non mi dispiace la somiglianza di questa pubblicazione a puntate con i vecchi gloriosi feuilletton (o come si scrive).

  3. CalMa says:

    fogliettoni, va benissimo uguale

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