[dtfn] XXIV – Novella terza, La morte dell’Autore [7]

(Il manoscritto ritrovato di letturalenta. Frontespizio e indice)

Saku Paasilahti: De te, fabula narratur (1999), tratto da http://rikart.lib.hel.fi/VII
Sono passati molti anni da quel pomeriggio che ha mostrato soltanto a me il suo volto eroico ed epocale. In seguito ho cercato caparbiamente di rimuovere dalla memoria la data di quel giorno, nel timore che potesse coincidere con un evento memorabile per molti, come l’assassinio di un cantante famoso o una festa patronale. Alla fine ci sono riuscito, e oggi ricordo soltanto che era una bella giornata di sole. Le mie previsioni sulla fortuna dell’Autore in seguito al mio piccolo intervento sul capitolo undicesimo dell’Opera 39 si sono poi rivelate esatte, e ancora oggi fioriscono gli studi attorno a colui che la critica aveva bollato come un insulso scrittore seriale.

Sono particolarmente orgoglioso di essere considerato ancora oggi lo scopritore di questo talento così accuratamente nascosto in migliaia di pagine rigorosamente sciatte: L’Opera 39 fu pubblicata un mese dopo la scomparsa dell’Autore, e io corsi subito dal mio relatore annunciandogli entusiasta che avevo scoperto un’incredibile discrepanza fra lo schema del romanzo, che avevo fotografato durante la mia visita, e la stesura dell’undicesimo capitolo. Questo particolare poteva essere l’indizio di qualcosa di interessante, spiegai, forse l’apertura di una nuova fase creativa tragicamente stroncata dal destino, o forse un invito a rileggere l’opera dell’Autore da un nuovo punto di vista. Il relatore mise in campo tutto il suo buon senso per convincermi a lasciar perdere. L’Autore è morto, mi diceva, lascialo riposare in pace, ma il mio entusiasmo alla fine vinse la sua prudenza e decretò la fine prematura delle Tecniche e prospettive del romanzo contemporaneo nell’era posteriore al postmoderno.

Mi ci volle quasi un anno per scavare nella sterminata produzione dell’Autore alla ricerca di qualche indizio di originalità o quanto meno di adesione a una qualsiasi tradizione letteraria, ma alla fine, estrapolando ad arte qualche brano ambiguo, proponendo paralleli con antenati illustri, suggerendo ardite allegorie e spericolate parafrasi, riuscii a terminare il lavoro con la fatidica frase: auspico di tutto cuore che queste mie osservazioni, inevitabilmente non conclusive, aprano la strada a nuove ricerche sull’opera dell’Autore, a tutt’oggi ingiustamente relegato in un ruolo di secondo piano che non è il suo, come spero di aver dimostrato. La tesi piacque al relatore, che la fece pubblicare scrivendo un’ampia prefazione in cui sottolineava la credibilità delle ipotesi del suo brillante allievo. Piano piano comparvero le prime recensioni, e qualche timido saggio di approfondimento vide la luce su alcune riviste specializzate. Nel giro di due anni l’ombra dell’Autore si allungò vittoriosamente sull’assolata piana della storia letteraria nazionale.

Oggi dirigo felicemente una piccola falegnameria di provincia specializzata in librerie in legno massello. La letteratura non era il mio mestiere, evidentemente, e ho dovuto assegnarle il ruolo di passioncella segreta, hobby furtivo e poco condivisibile, piacere clandestino e vagamente onanistico. Ogni libreria ultimata e montata presso il committente si riveste per me di un’aura deliziosamente postribolare: la immagino assaltata da eleganti tomi settecenteschi rilegati in marocchino; penetrata da rari incunaboli in quarto; ripetutamente posseduta da schiere di brutali brossure, e tanto mi basta per entrare nello spirito necessario alla contemplazione solitaria dell’Opera 40.

L’ho appesa nel mio studio privato dietro una riproduzione dell’Origine del mondo, per nasconderla alla vista dei rari visitatori. Venuta la sera, quando rientro a casa, entro nel mio studiolo, e sull’uscio mi tolgo gli abiti da lavoro, pieni di trucioli e segatura, e indossata una semplice vestaglia da camera rivolto il quadro di Courbet, e mi smarrisco in quel racconto che solum è mio, nato per me e io per lui.

Al centro sta una fotografia della biblioteca, l’Autore in penombra nella sua giacitura conigliesca. In piena luce l’Opera, l’ordinato susseguirsi di libri così perfettamente allineati. Sopra la fotografia campeggia il titolo che l’opera si è dato, Il coniglio è diventato grande, e tutt’attorno, riprodotte su piccoli cartigli di pergamena, le frasi che il caso ha scelto di nominare araldi di un annuncio misterioso e gravido di significati appena accennati. Parlano di dono e di ricezione, di metafore e di inganni, di letteratura e di vita, di conoscenza e di ignoranza, di infinite ripetizioni.

Seduto alla mia piccola scrivania, contemplo quell’immagine e quelle frasi e piano piano, per un incantamento che non so spiegare, si formano nella mia mente pensieri chiari e ordinati, limpidi, discreti, riposanti. Sono pensieri dai contenuti più disparati, così diversi di volta in volta che non avrebbe senso tentare di concatenarli, o svilupparli più di quanto non facciano spontaneamente. Adesso, per esempio, sto pensando a Tolstoj. È nel suo studio, tutto intento a scrivere, la testa vicinissima al foglio. A un tratto spalanca gli occhi, schiude le labbra, i muscoli del viso bloccati dallo stupore, dall’incredulità: Anna Karenina si è lanciata sotto il treno.

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