[dtfn] XXIV – Novella terza, La morte dell’Autore [3]

(Il manoscritto ritrovato di letturalenta. Frontespizio e indice)

Saku Paasilahti: De te, fabula narratur (1999), tratto da http://rikart.lib.hel.fi/III
Lo stato mentale caotico determinato dall’affollarsi dei pensieri dimidiati non era percepito con chiarezza dall’Autore. Manteneva apparentemente il dominio dei suoi gesti e delle minime azioni del momento, anche se, a ben guardare, andare e venire dal balcone alla costosa poltrona iper‑snodata della scrivania, accendere sigarette per spegnerle quasi subito, mutare così spesso la postura, abbandonarsi talvolta a momenti che si sarebbero detti di riflessione, non fosse stato per quell’espressione ebete che li accompagnava, tutto questo si sarebbe presentato a un osservatore esterno come un segnale di nevrosi, se non di definitiva demenza.

Dai vertici dei cartigli dedicati ai luoghi si dipartivano sottili linee orizzontali che proseguivano fino all’estrema destra dello schema. All’interno della griglia formata da queste linee divisorie se ne muovevano altre più spesse, ognuna di un colore corrispondente a quello di un personaggio. La progressione orizzontale delle linee consentiva di seguire i personaggi nel tempo, mentre i loro movimenti verticali, a volte obliqui, riflettevano gli spostamenti fra i diversi luoghi.

Naturalmente non tutti i personaggi si trovavano in qualche luogo in qualsiasi momento. Di qualcuno a volte si perdevano le tracce, si spostava in un altrove esterno al romanzo. Quando questo succedeva la linea corrispondente usciva dalla griglia dei luoghi verso la parte bassa dello schema per il tempo necessario, e poteva anche capitare che lì, al di fuori della gabbia spazio‑temporale dell’opera, un PF10 o un PM13 qualsiasi trovassero la morte, quando la loro esistenza era diventata palesemente inane a servire i superiori interessi della trama.

I movimenti da un luogo all’altro portavano le linee a incrociarsi anche laddove non dovevano. L’inconveniente, dovuto all’irredimibile bidimensionalità dello schema, era aggirato incurvando la linea del personaggio destinato alla solitudine in modo da creare l’illusione ottica di un ponte che sorvolava altre linee, che a loro volta potevano essere in quel punto incurvate per schivarne altre, o filare dritte all’incrocio degli incontri predestinati dalla somma autorità dell’intreccio.

Lo studente, forse stanco di ricevere alle sue domande risposte libresche e sconclusionate, non aveva sollevato obiezione alcuna all’accavallamento reticolare e tirannico di quelle esistenze innominate. Stava per andarsene, quando l’Autore lo invitò a sedere alla scrivania e a leggere le prime pagine dell’undicesimo capitolo. «Poi ne discuteremo» disse «e vedremo come nella scrittura si riflettano gli elementi costitutivi dello schema che or ora abbiamo analizzato. S’accomodi, prego. Nel frattempo sbrigherò una piccola faccenda in biblioteca, la stanza qui accanto. Tornerò in meno di mezz’ora, non tema.»

Giunto colà, cominciò a muoversi per la stanza, esaminando distrattamente ora l’artistico calamaio secentesco che adornava il tavolo di consultazione, ora la costa di un volume pregiato, ora il superbo colpo d’occhio della libreria in noce massello che occupava le quattro pareti dal pavimento al soffitto, con le due porte opposte a fungere da tramite con il resto della casa. I piaceri violenti: caos. Le pene profonde: caos. Muti: caos. Tutti i termini di quell’aforisma rifiutavano la forza chiarificatrice dell’ordine, sfuggivano alla presa dello spirito geometrico.

Maledizione! Lo colse un tremore furibondo, una frenesia cieca e irrefrenabile. La folla dei pensieri abortiti s’ispessì e il ronzio dei loro vani cicalecci crebbe fino a diventare un frastuono intollerabile. Gli occhi sbarrati, il nodo della cravatta allentato, il colmo implume del capo irrorato da freddo sudore, prese a togliere a caso volumi dagli scaffali, ad aprirli, a leggere furiosamente alcune righe, a sottolineare frasi. Prendeva, leggeva, sottolineava, metteva un segnalibro e posava il libro sul tavolo. Ripeteva l’operazione con un secondo libro, con un terzo, e poi li allineava uno accanto all’altro, equamente distanziati, la copertina diligentemente rivolta verso l’alto, il bordo inferiore a filo con quello del tavolo. Al diavolo le dannate pene profonde! avrebbe voluto gridare All’inferno i maledetti piaceri violenti! Ordine! Ordine! Ordine!

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