Jonathan Littell – Le benevole

MachiavelliEbbene sì, l’ho fatto: ho letto Le benevole di Jonathan Littell, enorme supercorallo Einaudi dal prezzo tutt’altro che invitante di euro 24. Trama e informazioni bibliografiche al link sopraindicato.

L’indice di questo balenone verbale dichiara senza mezzi termini precise ambizioni musicali: Toccata, Allemanda I e II, Corrente, Sarabanda, Minuetto (in rondò), Aria, Giga. Sono tutti rimandi vezzosi alla musica barocca, peraltro citata spesso nel testo (Bach, Rameau, Couperin). Tuttavia il mastodonte di Jonathan Littell di musicale non offre granché. Da un testo in qualche modo imparentato con la musica il lettore si aspetterebbe, che so, alternanza di voci e stili, coralità, variazioni su temi ricorrenti. Invece no. Littell procede nella narrazione con piglio che definirei annalistico, piatto e monocorde, più adatto a un manuale di storia che a un romanzo o altra fattispecie letteraria.

Stile a parte, Littell non sembra comunque avere la stoffa del romanziere epico o storico: centinaia di pagine spese a dar conto di fatti, descrivere ambienti, tratteggiare profili psicologici, non riescono a restituire un quadro organico dell’epoca, e il protagonista Maximilien Aue – un ufficiale delle SS leggermente fantascientifico – non ce la fa ad assurgere a metafora di quegli uomini in generale che secondo il saggio uomo del sottosuolo di Dostoevskij non esistono, ma che anche Aue, al pari ogni personaggio letterario, ambisce a rappresentare, e fin dall’incipit:

Fratelli umani, lasciate che vi racconti com’è andata. Non siamo tuoi fratelli, ribatterete voi, e non vogliamo saperlo. Ed è ben vero che si tratta di una storia cupa, ma anche edificante, un vero racconto morale, ve l’assicuro. Rischia di essere un po’ lungo, in fondo sono successe tante cose, ma se per caso non andate troppo di fretta, con un po’ di fortuna troverete il tempo. E poi vi riguarda: vedrete che vi riguarda.

Ci prova, ci prova, ma non ce la fa. A differenza di Don Chisciotte, per dirne uno che invece ce l’ha fatta, il nazista acculturato Aue non è portatore di una lucida follia o di una folle razionalità, ma di un’instabilità mentale molto prossima alla schizofrenia: un uomo che alterna lunghi periodi di consapevole adesione ai programmi di sterminio nazisti a parentesi di pura pazzia. Don Chisciotte è folle quando agisce da uomo dabbene e perfettamente sano quando si abbandona alle imprese più folli; Maximilien Aue – assai più banalmente – è sano quando agisce da sano e pazzo quando agisce da pazzo. E per quanto nessun lettore disposto a sorbirsi novecento e passa pagine di un esordiente possa ritenersi del tutto libero da forme più o meno acute di demenza, posso garantire che la storia di questo psicopatico non mi riguarda affatto.

Tolte le vicissitudini del protagonista – orfano, incestuoso, omosessuale, matricida, musicista mancato, studioso di diritto e lettore di Blanchot, Stendhal e Flaubert – non resta granché. Certo, c’è lo sfondo terribile dello sterminio degli ebrei, qualcosa che riguarda davvero tutti, ma anche riconoscendo a Littell un notevole lavoro di documentazione non ci vuole molto a suggerire letture migliori: La distruzione degli ebrei d’Europa di Raul Hilberg, per esempio, o il film Shoah di Claude Lanzmann.

Detto questo, il libro non è la gran schifezza che si potrebbe immaginare da quanto ho scritto fin qui. Ci sono parti molto al di sopra della media, come per esempio il capitolo Aria, dove Littell mette in scena un delirio onanistico alcolico dell’Aue con una ricchezza di dettagli e un ritmo narrativo di tutto rispetto. Purtroppo sono appena quarantacinque pagine su novecento, un 5% di virtuosismo contro un 95% di onesta dattilografia, pur punteggiata da altre buone prove. Cito per tutte una bella coppia di investigatori della polizia criminale, tali Clemens e Weser, che inseguono il protagonista fin negli angoli più remoti del Reich, cercando di dimostrare con comica ostinazione che Aue è l’assassino di sua madre: con loro Littell fa un bel lavoro da caratterista.

C’è poi un tema che Littell tratta con vera maestria, e qui tocca precisare che dico sul serio, dato che il tema in questione è la merda, oggetto ideale per abbandonarsi a facili sarcasmi. Le benevole è punteggiato da gemme di bravura stilistica esercitata su ogni forma pensabile di deiezione. Durante la stesura del romanzo, Littell deve aver avuto accanto a sé un demone benigno specializzato in poetica della scatologia, per poter scrivere così bene di duri stronzi, morbide diarree, escrementi di ogni tipo che diventano di volta in volta elementi paesaggistici, dettagli descrittivi di rara efficacia, paradigmi dell’esistenza umana, segni tremendi della violenza subita dalle vittime dello sterminio. Quando si tratta di merda Littell non è mai banale, ne riproduce con esattezza ossessiva la forma, l’odore, la consistenza, il dinamismo, gli effetti sul corpo e sulla psiche di chi la osserva nel momento esatto della fuoriuscita o di chi la vede rappresa sul corpo dei vivi e degli uccisi.

Littell insomma sa scrivere bene, quando vuole, ma purtroppo non vuole farlo abbastanza spesso. Preferisce avventurarsi in una tortuosa scrittura a tesi che peraltro fallisce clamorosamente il bersaglio. La tesi enunciata in apertura del romanzo, infatti, è che la vicenda umana e politica dell’ufficiale nazista Maximilien Aue è una storia in cui ogni buon cittadino occidentale dovrebbe riconoscersi:

Io sono colpevole, voi non lo siete, mi sta bene. Ma dovreste comunque essere capaci di dire a voi stessi che ciò che ho fatto io, l’avreste fatto anche voi.

Un invito esplicito a dichiararsi potenzialmente capaci di compiere gli stessi crimini del nazismo, oppure un avvertimento a considerare eventuali similitudini tra il livello di orrore raggiunto dai nazisti e quello riscontrabile oggi nell’occidente democratico e di cui noi, presunti fratelli di Aue, potremmo essere complici. Purtroppo per Littell, però, non c’è orrore paragonabile a quello della Shoah e perfino le manifestazioni più gravi di xenofobia e di razzismo che serpeggiano ai tempi nostri fra gli onesti e probi cittadini occidentali sono acqua fresca al confronto. Il riconoscimento non scatta, non può scattare, perché i termini di paragone sono incommensurabili.

Anche il tentativo di rappresentare lo sterminio dal punto di vista dei carnefici non raggiunge lo scopo, perché Maximilien Aue è tutto fuorché una rappresentazione credibile di un ufficiale nazista: colto, raffinato, sensibile, pieno di dubbi e di domande, troppo umano, Aue è quasi il negativo del nazista restituito dai libri di storia (e anche dal già citato film di Lanzmann), che è invece un buon padre di famiglia, un impiegato modello, un soldato obbediente ed efficiente, un uomo certo di possedere saldi valori morali, immune al dubbio, convinto di agire nell’interesse proprio, della mai abbastanza vituperata Patria e, per estensione, dell’umanità tutta. Se l’io narrante di Le benevole fosse stato un tipo del genere, simile all’Eichmann scolpito dalla Arendt in La banalità del male, la tesi del libro avrebbe avuto maggiori probabilità di successo. Ma Eichmann nel libro di Littell è un personaggio minore, quasi un timido contrappunto piccolo borghese al fascinoso intellettuale Aue, e questo è uno dei motivi per cui il teorema littelliano resta indimostrato.

A libro chiuso, e consapevole del rischio di apparire un hypocrite lecteur, posso affermare con ragionevole certezza che Maximilien Aue non è mon semblable, né tantomeno mon frère, e che Le benevole non riesce a volare all’altezza delle sue ambizioni.

19 Responses to “Jonathan Littell – Le benevole”

  1. Ho capito. Fosse stato per te, le soglie di selezione di Vibrisselibri non le avrebbe mai superate:- /

  2. letturalenta says:

    Questo è impossibile dirlo. Valutare la pubblicabilità di un libro e recensirlo sono due cose diverse. In breve, la differenza è più o meno la stessa che passa tra fabbricare cibo in scatola e consigliare a un amico di mangiarlo (o di lasciarlo sullo scaffale).

  3. Insomma consideri “Le benevole” cibo in scatola e mi consigli di mangiarlo (visto che non siamo più amici):- )

  4. Luigi Weber says:

    Devo dire che, con tutte le recensioni che ne ho letto, specie per l’alternanza di responsi divaricati tra capolavoro e ciofeca, ha finito per incuriosirmi non poco, questo libro, forse anche grazie alla sua copertina magnifica. Così, strategicamente, a Natale l’ho regalato a mio fratello, e frattanto che stavo da lui mi son messo a leggerlo. Le prime cinquanta pagine, che son quanto son riuscito a fare tra un pranzo e una cena, mi son sembrate molto irritanti, ma capisco che è poco per dare un giudizio.
    Certo, dal punto di vista editoriale è una bella scommessa, concedere mille pagine a un esordiente, ma lì hanno nasato lo scandaletto, secondo me: un ebreo che scrive di shoah mettendosi nei panni dell’SS.
    Per Einaudi, invece, con un Prix Goncourt alle spalle, non era ‘sto gran azzardo.
    Comunque concordo con il responso, di certo il narratore non lo trovo né semblable né frère.

  5. letturalenta says:

    Ciao Luigi. Ma sai che mi accorgo solo adesso che hai aperto un blog? Ben fatto!

    I pareri su Le benevole sono in effetti molto discordanti. Emanuele Trevi, che non è uno sprovveduto, ha saggiamente “ipotizzato” il capolavoro, senza darlo per certo, mentre Piperno, se non ricordo male, si è lanciato in un peana dorrichesco. Genna e Roberto Bui ipotizzano il fallimento, ma considerano il libro una pietra miliare o quanto meno un libro importante, da leggere. L’unico che l’ha cassato senza mezzi termini, fra quelli che ho letto io, è Demetrio Paolin, nella “bottega di lettura” di vibrisse.

  6. studentello says:

    Sto leggendo questo libro per un esame sugli Inferni letterari.
    Non sono d’accordo con alcuni punti della critica.
    La fratellanza di cui si parla nell’incipit, è una fratellanza nella colpa che viene ribadita in più punti, colpa condivisa anche da chi appartiene alla cosiddetta zona grigia come l’ha chiamata Levi nei Sommersi e i Salvati, una zona grigia che qui viene visualizzata nell’interiorità del singolo, che ci richiama a riconoscere la nostra, di zona grigia, in quanto esseri umani capaci in egual misura di dispensare odio, amore, ma soprattutto indifferenza e obbedienza, che al contrario delle prime due, significano la negazione della volontà.
    I concetti chiave del libro vengono espressi in maniera esplicita, ma non ne riassumono l’esperienza. Le 900 e passa pagine, esorbitanti di dettagli e momenti che ci paiono il più delle volte estranei al concept espresso nell’incipit, oppure fuorvianti, (la minuzia delle ricostruzioni storiche e le più o meno morbose avventure dell’io) mi sembrano non tanto “dattilografia”, nè stakanovismo archivistico, bensì mi paiono tempi dell’attesa coerenti col discorso, che ce lo fanno vivere con gli occhi del ricordo, un ricordo che per essere tale si vuol rendere il più possibile di carne ed ossa.

    Non so se mi son spiegato bene, nè se il punto di vista interessa. Ciò detto buone letture a tutti.

  7. sandstorm says:

    chimatemi pazzo ma alcuni passaggi mi richiamano i romanzi di guerra di 40 e passa anni fa di sven hassel.
    I profili dei personaggi ricordano molto i profili dei nostri capuffici e colleghi, le loro virtù e i loro difetti, con la sola differenza che in questo caso c’era uno sterminio di mezzo….
    Ma chi erano i cattivi nel Nazismo allora?
    questa lettura mi lascia confuso…

  8. silvia says:

    secca vedersi nudi eh??? meglio sentirsi verdi, solari, puri, nonviolenti… non piace all’uomo la sua natura… non gli è mai piaciuta… e si racconta, e se la racconta…

  9. mario guidetti says:

    complimenti per la recensione. Ne ho scritta una anche io per BOL, ma troppo ironica, credo verrà rifiutata. Sono d’accordo con te, eccetto forse che per un punto: non trovo particolarmente artistica la parte “aria”. Il delirio onanistico è davvero una mazzata, poichè arriva a appena un centinaio di pagine della fine, quando proprio non se ne può più. Il libro è completamente “sbagliato” quanto a timbro, scansione temporale e registro (nonostante quanto l’autore se la “meni” con la musica”)…alterna passi di una pesantezza allucinante (la digressione sulle lingue caucasiche è terribile…) a siparietti da avanspettacolo (Clemens e Weser come Zuzzurro e Gaspare?). Alla fine, soddisfazione per essere giunti a riveder le stelle a parte, il libro non tocca, non ferisce, e non fa nemmeno pensare.

  10. giamapolo baraccani says:

    E’ cosi raro , per me lettore di alte ambizioni ma basse probabilità, leggere commenti cosi concreti e coscienti. Apprezzo e ringrazio per l’attinenza critica che a me non faccio spettare. Condivido. Farò attenzione al tuo nome come credito. Ciao con presunzione di confidenza. Giampaolo da Firenze-Livorno

  11. Per me è molto bello non suo essere sterminato, elefantiaco, mostruoso, noioso, irritante e onirico. Un vero incubo, ma il tipo, Littel, ha il senso del narrare che pare Thomas Bernhard.

  12. Gogol says:

    A me è piaciuto molto questo romanzo…e a dire la verità, secondo me, se scade, scade proprio nel capitolo Aria e nella parte finale dove quei due commissari spuntano ovunque e nel morso nel naso dato a Hitler.
    Per il resto lo consiglio vivamente, l’ho letto con voracità, pagina dopo pagina. Veramente interessante vedere il tutto dal punto di vista del ‘cattivo’. Forse un pò esagerata la vita di Aue…troppe robe insieme…omosessuale, incestuoso e delirante.
    Comunque, ve lo consiglio.
    Buona lettura.

  13. Michele says:

    carissimo,
    è la tua critica ad essere indigeribile, soprattutto quando affiorano alcuni luoghi comuni che stanno curiosamente girando tra le recensioni del libro di Littel (dunque è provato: i recensori fra loro si leggono, e sono di un conformismo esasperante!). Ne cito soltanto una: Aue sarebbe una SS poco credibile. Non saprei che rispondere, non le ho frequentate tutte (ma suggerirei prudenza: le SS erano parecchie migliaia, non il ristretto manipolo di pazzi assassini, che corrisponde allo percezione comune; è possibile che fra loro ci fossero anche, sopratutto ai piani alti, arrivisti, ipocriti e quant’altro – alla Aue insomma – ma capaci di esprimere un che di presentabile, che magari in altri contesti li avrebbe anche fatti sembrare amabili cittadini; mi pare questa la realtà di Aue).
    Lo stile piatto? E’ un capolavoro di stile, invece. Esprime la cortina fumogena della burocrazia della morte, quel movimento in larga parte impersonale e freddo che ha portato migliaia di uomini a gestire lo sterminio di milioni. Ma non è solo stile freddo e burocratico: andatevi a rileggere l’inizio del paragrafo che descrive il ferimento: il momento onirico ed il progressivo risveglio: pagine notevoli direi.
    Non proseguo, per non scrivere un’altra stucchevole pagina di recensione. Non essendone in alcun modo titolato, poi.
    p.s. a Quando un romanzo su un Aue italiano?
    Un lettore entusiasta.
    saluti

  14. guido antonioli says:

    Questo libro è un capolavoro: di stile, di narrazione, di intreccio, di contenuto. La stroncatura che ho letto su questa pagina web è patetica.

  15. Keeek says:

    Curioso, ti sono piaciute le uniche 45 pagine che ho trovato intollerabili. Si certo, un ottimo esercizio di stile il delirio onanistico, ma francamente noioso. Forse la rigidezza mentale del dire “a me non sarebbe mai successo”, il rifiutare la fratellanza che Little denuncia all’inizio ti ha impedito di cogliere a fondo nil libro. “Il nazismo è il peggior crimine della storia e io non mi sarei mai comportato così.” A me sa tanto di posizione dogmatica e (per fortuna!) inverificabile..

  16. letturalenta says:

    Keeek, mi attribuisci un pensiero non mio. Io non so (non posso sapere, come dici giustamente anche tu) come mi sarei comportato se fossi vissuto in Germania dal 1933 in avanti e, aggiungo, non mi interessa saperlo.

    Interessa a Littell, però, tanto da farne la tesi portante del libro: “ciò che ho fatto io, l’avreste fatto anche voi”. Nel post ho soltanto mostrato come (secondo me, ci mancherebbe) il libro non riesca a convincere il lettore a proposito di questa immaginaria fratellanza.

    Dopo aver letto la Arendt, o Hilberg, può effettivamente sorgere l’angosciante interrogativo sul proprio comportamento in circostanze analoghe. Dopo aver letto Littell no.

  17. piergiorgio turina says:

    Malgrado tutti i suoi difetti, “Le Benevole” assieme a “At swim”, two boys” è il più grande romanzo degli ultimi quarantanni, e Maximilien Aue è un personaggio indimenticabile.

  18. Tiziana says:

    Anch’io l’ho letto e adesso lo sto rileggendo per la seconda volta . Per me è il libro più potente,disperato,violento e coinvolgente che abbia letto negli ultimi 10 anni. Perchè non parte da uno scontato giudizio di condanna,che fa sentire il lettore “al sicuro “e dalla parte dei “buoni”,ma induce il lettore a parteggiare per Aue e quindi a mettersi in una prospettiva completamente diversa e alla fine anche a porsi un sacco di domande su sè stessi. Per apprezzare le 45 pagine di delirio onanistico penso invece che bisogna necessariamente essere maschi, io le trovato noiosissime e sicuramente perchè sono una donna.

  19. Gogol says:

    Ah! Ah Ah!
    Mi è venuto da ridere quando scrivi che “Aria” sarebbe uno dei capitoli migliori…è stato l’unico capitolo che ho trovato pleonastico.
    Per il resto, a mio avviso, un capolavoro.
    Buona lettura a tutti.

Leave a Reply