Archive for September, 2009

La marchesa uscì alle cinque

Tuesday, September 29th, 2009

John Everett Millais, The Marchioness of Huntly, 1870, tratto da: http://hoocher.com/John_Everett_Millais/John_Everett_Millais.htmIl fatto è un’astrazione, diceva Antonio Pizzuto, con ciò intendendo che la realtà non è un oggetto definito e dotato di confini, proporzioni, relazioni precise con altri oggetti, bensì un flusso continuo in cui nulla accade entro contorni esatti, ma dove, al contrario, tutto scorre e trascorre senza interruzioni o cesure. E proseguiva sostenendo che i fatti si raccontano, mentre la realtà si narra, dove narrare significa avvicinare il più possibile la scrittura all’inafferrabile flusso vitale, mentre raccontare significa compilare documenti statici e freddi. (Il tutto qui molto riassunto, ma l’originale è disponibile in A.Pizzuto, Le lezioni del maestro, Scheiwiller 1991, pagg. 37 e seguenti).

Per ottenere un fatto occorre ingabbiare un periodo lungo a piacere di quel flusso indefinito entro due date, anche coincidenti, due momenti arbitrari che segnano un inizio e una fine, e che definiscono al contempo ciò che precede e ciò che segue. La marchesa uscì alle cinque è un fatto (e quindi, pizzutianamente, un racconto). Per quanto possa sembrare paradossale, per rappresentare un fatto occorre fare violenza alla realtà, violentare la sua essenziale continuità facendola letteralmente a pezzi. La rappresentazione di un fatto è quanto di meno realistico si possa immaginare, e tuttavia il fatto è il nume tutelare di qualsivoglia realismo: atteniamoci ai fatti; fatti, non parole; la gente vuole i fatti; sono tutti slogan di chi si dichiara realista in politica.
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E l’antisemitismo fa male alla carriera

Wednesday, September 23rd, 2009

Farouk Hosni — quello che voleva bruciare i libri israeliani conservati nella biblioteca di Alessandria — è stato felicemente trombato:

PARIGI – Contestatissimo e accusato di antisemitismo, Faruk Hosni ha perso la corsa alla direzione dell’Unesco. Dopo cinque giorni di votazioni al cardiopalma è stato battuto sul filo di lana dalla bulgara Irina Bokova, diventata la candidata dei molti paesi che ritenevano inaccettabile l’elezione del ministro della Cultura egiziano.

(Due buone notizie in appena otto giorni. Che siano indizi di un’imminente svolta epocale? mah, boh, speriamo)

Il razzismo fa male alla salute

Tuesday, September 15th, 2009

Da «Il Mattino di Padova»: «Non voglio che i negri mi tocchino. Tutti a casa. Bossi ha ragione». Livio Strumendo, 56 anni, di Portogruaro, ha aggredito così un’infermiera di colore. È successo venerdì notte al Centro Ustioni, al quinto piano del policlinico.

Se fosse morto in seguito alla sua brillante iniziativa, costui sarebbe stato un candidato ideale al Darwin Award, ma purtroppo la stupidità talvolta perdona più di quanto dovrebbe. Tuttavia pare che il tizio, in segno di civile protesta contro il colore delle infermiere, si sia tolto le bende, quindi resta la speranza che possa peggiorare o quanto meno soffrire molto più di prima.

È questo l’aspetto consolante dell’episodio: mentre la dissennata xenofobia della Lega e del governo mette a rischio la vita altrui, in questo caso il razzismo fa male alla salute di chi lo pratica. C’è solo da augurarsi che succeda più spesso.

Campagna per l’edificazione spirituale del ministro Brunetta

Monday, September 14th, 2009

Disse: «un certo culturame parassitario, che ha vissuto sempre e solo di risorse pubbliche, e che è lo stesso che si vede in questi giorni alla Mostra di Venezia».

Strano tipo, il Brunetta, sempre a caccia di parassiti e di fannulloni. Brunetta è un adoratore del dio dell’efficienza, un sacerdote preposto a ungere col sacro olio di Stachanov gli ingranaggi del sistema. Nemico giurato del riposo, della distrazione, dell’ozio e della flânerie, egli sogna una società tutta votata alla produzione incessante di merci e servizi sotto lo sguardo benigno del Mercato (l’altra divinità a cui Brunetta offre sacrifici).

È inevitabile che in questa visione del mondo la cultura, ovvero la produzione e la circolazione delle idee e delle conoscenze, giochi il ruolo del parassita, del nemico interno che sottrae risorse al sistema distraendolo dalla sua missione di produttività, e dunque bando alle ciance: lo stato chiuda i rubinetti dei finanziamenti e il “culturame parassitario” vada a lavorare e a piazzare la sua merce come tutti. Sopravviverà chi vende, gli altri si fottano.

Lavoro e Mercato, ovvero il mondo come centro commerciale. Lavorare, produrre, vendere, comprare, mangiare, dormire, lavorare. Contro questa prospettiva di vita mortificante (e noiosa) che il bieco Brunetta vorrebbe rifilarci, lancio una modesta proposta rivoluzionaria: le giornate del fancazzismo.

Convocate con campagne in rete e nei social network, senza una pianificazione prestabilita, ma sempre in giorni feriali, le giornate del fancazzismo avrebbero un programma molto semplice: fare tutto quel che si vuole, tranne lavorare a pagamento, comprare e vendere. Si potranno leggere libri presi in prestito, guardare film scaricati dal mulo, dormire tutto il giorno, passeggiare a naso in su, comporre poemetti epici, praticare qualsiasi attività che non implichi scambio di denaro.

Al termine della giornata i partecipanti redigeranno un resoconto e lo invieranno per posta ordinaria al ministro Brunetta, a titolo di gratuito contributo alla sua edificazione spirituale. Non è detto che funzioni — anzi, dato il soggetto, le speranze di successo sono minime — ma sarebbe immorale non provarci.

Invettiva contro un incauto accenditor di lampadine

Thursday, September 10th, 2009

panama gialloIncauto accenditor di lampadine: «Comincia a fare scuro. Accendo la luce».

Inveito interlocutore: «Tanto per cominciare, quando tu premi l’interruttore senti un clic. Quel clic, caro te, non è soltanto un rumoretto che interrompe lo stato di quiete perenne che domina il vuoto della tua testa immune al virus del pensiero. Quel clic sospende l’interruzione del circuito elettrico che governa l’accensione e lo spegnimento della lampadina: circuito aperto, lampadina spenta; circuito chiuso, lampadina accesa. Ponendo fine allo stato di interruzione del circuito, quel clic consente alla corrente elettrica di percorrere il tratto di filo che congiunge l’interruttore alla lampadina, la quale, miracolo!, da spenta che era diventa accesa.

Ma perché questo avvenga, testina, è necessario che la corrente raggiunga prima l’interruttore medesimo, e questo succede grazie a un altro tratto di filo che partendo dalla rete di distribuzione locale arriva in casa tua passando attraverso un foro praticato nel muro da qualcuno che, senza impegnarsi più di tanto, ragionava mille volte meglio di te. E quel filo non è mica appeso al nulla, nevvero. No!
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8 settembre 1943

Tuesday, September 8th, 2009

[dall’articolo Avere coraggio, di Leone Ginzburg, pubblicato su «L’Italia libera» il 15 settembre 1943. Leone Ginzburg morì il 5 febbraio 1944 per le torture subite dai nazisti nel carcere romano di Regina Coeli]

E così i tedeschi hanno potuto aggiungere il nome di Roma al lungo elenco di capitali europee dove hanno fatto il loro ingresso durante questa guerra. (…) Molte parole amare sono salite alle labbra, di quelle che il nostro popolo rivolge a se stesso senza parsimonia, quando ha qualche ragione di malcontento. Non diciamo che queste parole amare siano ingiustificate; ma è bene non fermarcisi troppo. «Non bisogna scoraggiarsi», dicevamo su questo nostro giornale, incitando alla resistenza; e lo ripetiamo oggi, a ragion veduta. Roma è senza dubbio l’ultima capitale europea dove i tedeschi siano entrati da padroni. La loro sorte è segnata. E la presa di Roma non è un successo militare, ma una piccola vincita che non riesce a restaurare le finanze di un giocatore dissestato.

(…) Il regime di transizione inaugurato il 25 luglio esce disfatto da questa esperienza. Il tentativo di conservare l’impalcatura fascista mutando solamente alcuni uomini e alcune formule si è rivelato a tutti per quel che era: un esempio di scandalosa e miope complicità morale, una prova insigne d’incapacità politica. La monarchia e il governo che hanno deliberatamente lasciato che la difesa della rinascente libertà italiana rimanesse affidata alla quinta colonna, cioè a comandanti e funzionari che tutti sapevano fascisti, sono apparsi agli italiani di ogni partito nella loro vera luce di manutengoli del fascismo e del nazismo. Oggi ci dànno finalmente ragione i moderati e i possibilisti di ieri, che predicavano la libertà a detrimento della giustizia. E forse qualcuno di loro avrà capito che tutto il passato ha da essere snidato e distrutto nelle nostre istituzioni politiche e sociali, e non soltanto l’aggettivo «fascista» sulle targhe e i frontoni dei palazzi, per far sì che l’Italia si ricongiunga di nuovo alla civiltà europea. Non sappiamo se al seguito del generale Eisenhower vedremo rientrare a Roma la dinastia spergiura e i marescialli che invece di combattere hanno seguitato a farsi la forca: certo, gli italiani che nutrono sensi di dignità e di onore non ammetteranno più che l’una o gli altri dispongano ancora dei destini della nazione o parlino in suo nome.

La presa di Roma condurrà dunque a una chiarificazione del problema istituzionale, che sarebbe stato difficile ottenere altrimenti. Ma le conseguenze dell’atto di forza tedesco contro le nostre città saranno non meno importanti su un piano generale. Si è creata, in questi primi giorni di occupazione tedesca, una profonda solidarietà tra italiani, dalla quale solo i delinquenti delle squadre d’azione e i traditori della quinta colonna si sono esclusi. (…) Dopo aver tanto parlato, durante il regime Badoglio, del modo come si dovevano trattare i fascisti e delle relative indispensabili discriminazioni, abbiamo finalmente dinanzi a noi un criterio di giudizio di sicura validità: coloro che sono con noi e contro i tedeschi in questo momento, vanno trattati da uomini, coloro che sono per i tedeschi e contro di noi, vanno invece spietatamente respinti da qualsiasi consorzio civile come adoratori delle violenze e profittatori della schiavitù.

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Questo per ricordare che l’armistizio dell’8 settembre 1943 tracciò definitivamente la linea di demarcazione fra chi combatteva per una causa giusta e chi lo faceva per la dittatura nazifascista. E anche per ricordare all’onorevole Alessandra Mussolini — una tizia che vorrebbe cambiare nome a Piazzale Loreto — che prima di invocare la pacificazione e la concordia nazionale è necessario riconoscere senza mezzi termini che il fascismo non ha meriti né eroi degni di essere ricordati.