Invettiva contro un incauto accenditor di lampadine

panama gialloIncauto accenditor di lampadine: «Comincia a fare scuro. Accendo la luce».

Inveito interlocutore: «Tanto per cominciare, quando tu premi l’interruttore senti un clic. Quel clic, caro te, non è soltanto un rumoretto che interrompe lo stato di quiete perenne che domina il vuoto della tua testa immune al virus del pensiero. Quel clic sospende l’interruzione del circuito elettrico che governa l’accensione e lo spegnimento della lampadina: circuito aperto, lampadina spenta; circuito chiuso, lampadina accesa. Ponendo fine allo stato di interruzione del circuito, quel clic consente alla corrente elettrica di percorrere il tratto di filo che congiunge l’interruttore alla lampadina, la quale, miracolo!, da spenta che era diventa accesa.

Ma perché questo avvenga, testina, è necessario che la corrente raggiunga prima l’interruttore medesimo, e questo succede grazie a un altro tratto di filo che partendo dalla rete di distribuzione locale arriva in casa tua passando attraverso un foro praticato nel muro da qualcuno che, senza impegnarsi più di tanto, ragionava mille volte meglio di te. E quel filo non è mica appeso al nulla, nevvero. No!

Quel filo, razza di batrace a cui qualche nume distratto ha dato sembianze umane, quel filo è saldamente collegato ai cavi che corrono sui tralicci che puoi vedere laggiù, se solo ti degni di dirigere il tuo sguardo inebetito oltre la luce di quella finestra, cavi che al termine del loro viaggio sospeso fra terra e cielo raggiungono un impianto che produce energia elettrica, la quale energia non è generata da formule magiche o da divino volere, ma dalla combustione di gas o di carbone, oppure dalla caduta di grandi masse d’acqua, oppure da generose folate di vento o da altri fenomeni naturali che un’ingegnosità a te negata ha nei secoli studiato e piegato alle necessità dell’umana specie, costruendo macchine in grado di trasformare forze selvatiche in docili flussi di corrente, macchine che non sorgono per incantamento da un nulla simile a quello che devasta il tuo spirito, ma dall’assemblaggio sapiente di metallo, cemento e altri materiali che gli uomini strappano alla terra scavando miniere e pozzi là dove il pianeta ha voluto dislocarli, e costruendo strade e ferrovie, carri, locomotive, navi, oleodotti, autotreni e ogni altro mezzo idoneo a trasportarli là dove altri uomini potranno amalgamarli, fonderli, batterli, tòrcerli e trasformarli in blocchi, lastre o filamenti secondo la bisogna, uomini che non hanno succhiato le loro arti assieme al latte che per sventura tua madre non ti rifiutò, ma che le hanno apprese dedicando allo studio un congruo periodo della loro esistenza.

E nemmeno dopo che questa lunga catena di ingegno e laboriosità avrà costruito la centrale elettrica necessaria a salvare dalle tenebre i tuoi occhi (nessuna speranza per la mente), quando la corrente inizierà il suo viaggio lungo i cavi aerei dei tralicci e quelli murati delle forassiti, nemmeno allora basterà la pressione di un tuo indice sull’interruttore per garantirti l’accensione della lampadina, perché bisognerà lubrificare le turbine, sostituire le parti guaste, garantire gli approvvigionamenti, organizzare i turni di lavoro, pagare i fornitori e incassare dai clienti, vigilare giorno e notte, e lo faranno uomini e donne che per lavorare avranno pur bisogno di mangiare, no?, e non potrebbero mangiare se non ci fossero altri uomini e donne che coltivano i campi, altri che trasformano il grano in pane, altri ancora che lo vendono al mercato, e tutti costoro sono esseri umani che per non morire hanno bisogno di medici e di medicine e che per non impazzire hanno bisogno di svagarsi, di guardare un film o leggere un libro ogni tanto, e allora serviranno guitti e impresari, cineasti e produttori, scrittori e librai, e poeti, musicisti, cantanti, suonatori, e architetti per progettare teatri e cinematografi, e dio solo sa quanta energia elettrica per accendere ciascuno la sua lampadina!

E tutto questo senza contare, o sfortunata progenie di antichi arboricoli, che la lampadina del tinello è fulminata da ieri».

7 Responses to “Invettiva contro un incauto accenditor di lampadine”

  1. farlocca farlocchissima says:

    :-) bello :-)

  2. letturalenta says:

    Grazie, o chimerica farlocca. Pensa che tutto ‘sto pippone nasce dall’irresistibile desiderio di scrivere qualcosa che contenesse la parola ‘forassiti’, che mi piace un sacco.

  3. Ho appena spento la lampada della mia scrivania. Scusatemi tutti!

  4. letturalenta says:

    Daniele, hai gettato sul lastrico milioni di onesti lavoratori!

  5. gabryella says:

    magari bastasse una fulminante e/o laboriosa pressione di polpastrello per sdoganare quella “lux” che ormai perfino il guardasigilli (incredibile, vero?) invoca!

  6. letturalenta says:

    per generare quel tipo di luce consiglierei piuttosto una nutrita batteria di bulldozer a benna larga.

  7. […] Invettiva contro un incauto accenditor di lampadine Incauto accenditor di lampadine : «Comincia a fare scuro. Accendo la luce». Inveito interlocutore : «Tanto per cominciare, quando tu premi l’interruttore senti un clic. Quel clic, caro te, non è soltanto un rumoretto che interrompe lo stato di quiete perenne che domina il vuoto della tua testa immune al virus del pensiero. blog: letturalenta | leggi l'articolo […]

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