La marchesa uscì alle cinque

John Everett Millais, The Marchioness of Huntly, 1870, tratto da: http://hoocher.com/John_Everett_Millais/John_Everett_Millais.htmIl fatto è un’astrazione, diceva Antonio Pizzuto, con ciò intendendo che la realtà non è un oggetto definito e dotato di confini, proporzioni, relazioni precise con altri oggetti, bensì un flusso continuo in cui nulla accade entro contorni esatti, ma dove, al contrario, tutto scorre e trascorre senza interruzioni o cesure. E proseguiva sostenendo che i fatti si raccontano, mentre la realtà si narra, dove narrare significa avvicinare il più possibile la scrittura all’inafferrabile flusso vitale, mentre raccontare significa compilare documenti statici e freddi. (Il tutto qui molto riassunto, ma l’originale è disponibile in A.Pizzuto, Le lezioni del maestro, Scheiwiller 1991, pagg. 37 e seguenti).

Per ottenere un fatto occorre ingabbiare un periodo lungo a piacere di quel flusso indefinito entro due date, anche coincidenti, due momenti arbitrari che segnano un inizio e una fine, e che definiscono al contempo ciò che precede e ciò che segue. La marchesa uscì alle cinque è un fatto (e quindi, pizzutianamente, un racconto). Per quanto possa sembrare paradossale, per rappresentare un fatto occorre fare violenza alla realtà, violentare la sua essenziale continuità facendola letteralmente a pezzi. La rappresentazione di un fatto è quanto di meno realistico si possa immaginare, e tuttavia il fatto è il nume tutelare di qualsivoglia realismo: atteniamoci ai fatti; fatti, non parole; la gente vuole i fatti; sono tutti slogan di chi si dichiara realista in politica.

In un’epoca come la nostra, in cui la rappresentazione della realtà ha sostituito la realtà medesima, l’intuizione letteraria di Pizzuto assume un significato politico ben preciso, perché oggi come oggi la politica non è più soltanto l’arte di gestire la cosa pubblica, ma soprattutto l’arte di confezionare e dare in pasto al pubblico un racconto edificante e verosimile del proprio operato. In politica non conta ciò che si fa, ma ciò che si racconta, e tanto meglio se ciò che si racconta non ha alcuna relazione con ciò che si fa. In politica, per dirla in breve, vince chi sa raccontare frottole e per raccontare frottole non c’è niente di meglio di una retorica realista tutta fondata su fatti.

Noi italiani abbiamo il privilegio di ricevere quasi quotidianamente veri e propri capolavori di questa retorica. Pochi giorni fa, per esempio, il presidente del consiglio è andato a Onna, il paesino abruzzese distrutto dal terremoto del 6 aprile, per raccontare davanti alle compiacenti telecamere di Bruno Vespa che il governo ha mantenuto la promessa di ridare una casa ai terremotati entro settembre. Anche tralasciando l’ovvia constatazione che le 100 case di Onna non possono contenere 60.000 sfollati — e che quindi la promessa non è stata mantenuta — la verità è che il governo con le case di Onna non c’entra niente, perché quelle case sono state finanziate dalla Croce Rossa e costruite dalla Provincia autonoma di Trento. Un esempio mirabile di come i fatti spesso non hanno nulla a che vedere con la realtà, nemmeno se trasmessi in diretta televisiva.

Il Berlusconi che racconta Oggi abbiamo mantenuto la promessa ha lo stesso livello di credibilità di chi scrive La marchesa uscì alle cinque. L’anomalia è che in entrambi i casi chi riceve il messaggio applica la sospensione dell’incredulità, il principio che impedisce al lettore di un racconto di scoprire ed enunciare una delle poche verità possibili sul racconto stesso: questo non è mai realmente accaduto. E se il telespettatore applica alle notizie gli stessi principi che un lettore applica alla fiction, lo fa perché ciò che passa sui mezzi di informazione non è realtà, ma per l’appunto fiction.

Cattiva fiction, beninteso, che non va oltre la mera registrazione di eventi, senza aggiungere uno straccio di sguardo o di testimonianza sulla realtà, la quale continua a scorrere inespressa e taciuta sotto il manto illusionistico dei fatti. Il racconto fittizio messo in scena dal governo non dice alcunché sugli abruzzesi che ancora vivono nelle tende o in altri ripari provvisori, né sulla devastazione di migliaia di progetti di vita, né su quello che (non) si sta facendo per impedire che il terremoto diventi l’ennesimo ottimo affare per le mafie. La realtà, così dura e così concreta, ha ceduto il passo all’astrattismo patinato della frottola fattuale. La marchesa uscì alle cinque, disse il presidente del consiglio, e le folle applaudirono.

E viene da chiedersi come mai la maggioranza degli italiani, i nipoti di Dante e di Manzoni, riesca a farsi infinocchiare così facilmente dalla cattiva letteratura. Viene da domandarsi quando abbiamo disimparato che sospendere l’incredulità sui racconti dei governanti equivale a darsi martellate sui mignoli, a perdere di vista i propri interessi, a rinunciare ovinamente alla difesa dei propri diritti. Viene da chiedersi perché non siamo più in grado non tanto di distinguere la realtà dalla letteratura, quanto la letteratura buona da quella cattiva.

13 Responses to “La marchesa uscì alle cinque”

  1. Luca, è un periodo che mi propongo di combattere i luoghi comuni. Secondo me, ci sei cascato anche tu.
    Il tuo pezzo mi ha indotto a scrivere sull’Abruzzo e su Bertolaso, cosa che pensavo di fare da qualche termpo.

    Se vuoi puoi leggere qui:
    http://www.bartolomeodimonaco.it/online/?p=6778

  2. letturalenta says:

    Ho letto, Bart, ma non sono d’accordo con te. L’inefficienza (per non dire di peggio) del governo nella gestione del terremoto è a dir poco imbarazzante. E a migliorare la situazione non bastano certo le case (non ancora terminate, non ancora abitabili) che Berlusconi si affanna a consegnare in diretta televisiva.

    Non lo dico io, lo dice gente che all’Aquila ci abita (meglio, ci abiterebbe se le istituzioni facessero bene il loro mestiere), gente che giorno dopo giorno patisce le conseguenze di quell’inefficienza sulla propria pelle. Da’ un’occhiata a qualche post su questo blog, per esempio: http://miskappa.blogspot.com/

    Se il governo avesse favorito da subito la ricostruzione, a quest’ora molti aquilani, almeno quelli che hanno subito danni non irreparabili, sarebbero già rientrati a casa loro. Se la protezione civile avesse distribuito container e alloggi provvisori, invece di perdere sei mesi a mettere in piedi faraoniche e costosissime baracche di lusso, i terremotati avrebbero potuto restare nella loro città.

    Invece sono rimasti in tenda fino a oggi, e oggi smantellano anche le tendopoli, perché mostrare in TV gente sotto le tende a dicembre non sarebbe conveniente, e gli sfollati, tranne le due o tre migliaia che troveranno posto nelle baracche di lusso, verranno dispersi in alberghi e caserme, lontani dalla loro terra, dalle loro occupazioni, dalla possibilità di iniziare a ritessere la rete del lavoro e delle relazioni umane.

    All’Aquila succede proprio quello che ho detto nel post: si sta mettendo in scena un racconto fittizio della situazione per coprire la realtà, che è scomoda, dura, intrisa della sofferenza di gente in carne e ossa, inadatta agli show in prima serata, una realtà che può far danno alla favola bella del premier onnipresente e iperefficiente, e che quindi è meglio non mostrare.

    Poi, certo, il terremoto non l’ha provocato Berlusconi e un governo di centrosinistra non l’avrebbe gestito meglio, ma almeno, forse, ci saremmo risparmiati molta pessima fiction.

  3. Nel mio paese di Montuolo c’è un volontario della Croce Rossa che sempre si reca a dare il suo aiuto dove accadono calamità. Mi ha riferito che il terremoto è stato devastante. Nella città capoluogo c’è una voragine spaventosa. Tuttavia una organizzazione di questo genere e una programmazione così ferrea è la prima volta che le vede.

    Devi sapere che a giugno ero a Roma, e mi trovavo davanti a Montecitorio. Vidi schierata molta polizia e chiesi il perché. Un poliziotto mi rispose che di lì a poco ci sarebbe stata una manifestazione di abruzzesi contro il ritardo del governo nel provvedere alla ricostruzione.
    Insomma, bisogna vedere da che parte si sente suonare la campana.

    Come sempre, il tempo, galantuomo, ci dirà come saranno andate veramente le cose.

    Importante è non seminare zizzania, unirsi nell’immane sforzo, essere positivi, controllare e dare una mano, anche da parte dell’opposizione. La camità ha colpito non la destra, ma il Paese.

  4. letturalenta says:

    Dire la verità è seminare zizzania? Le famose c.a.s.e berlusconiane sono baracche di lusso che costano 2500 euro al metro quadro contro i 500 che si spenderebbero con dignitosissime case mobili, che a differenza delle prime possono essere dislocate nei pressi delle zone disastrate in tempi rapidi, senza sconvolgere il tessuto sociale delle città e dei paesi.

    Questo è ciò che gli aquilani hanno chiesto, ed è ciò che è stato fatto nel 1976 in Friuli e nel 1997 in Umbria e Marche, dove oggi i paesi sono di nuovo vitali e pienamente ricostruiti. Ottimi precedenti da imitare, ma il metodo di questo governo è come sempre autoritario: nessuna discussione con la popolazione, nessuna valorizzazione delle buone esperienze passate. Le decisioni vengono prese in base a criteri di rendita mediatica, calano dall’alto e dal punto di vista sociale e psicologico sono più devastanti del terremoto.

    Dici che bisogna vedere da che parte suona la campana. Bene, nel blog che ti ho segnalato e altrove in rete c’è la campana degli abitanti dell’Aquila, probabilmente gli stessi che protestavano già a giugno. Quella campana ha un suono pulito e sincero, mentre quella degli spettacoli ministeriali in prima serata suona decisamente stonata e fasulla.

  5. Il blog che mi hai indicato mi sembra di parte.
    Addirittura cè uno sproloquio intitolato: “Dichiararsi comunista oggi” in cui sta scritto:
    “Un vero comunista, convinto di ciò, non ha mai amato la Russia di Stalin come, allo stesso modo, non ha mai amato il Cile di Pinochet.”

    Che non abbia amato il Cile di Pinochet concordo, ma che non abbia amato la Russia di Stalin è una gran cavolata. Deve essere molto giovane chi l’ha scritta. Non si ricorda certo che è esistito un certo Togliatti (che poi, addirittura come dirigente del Comintern, tanto era legato all’URSS, ha fatto uccidere centinaia di soldati italiani).

    Più che a questo blog, credo a quanto dichiarò Napolitano che visitò la ricostruzione, incontrando persone di nuovo fiduciose nello Stato. Mi ricordo, poi, l’immagine di quella vecchietta che il 29 settembre, fermando Berlusconi, gli disse all’incirca: Non dia ascolto e vada avanti. Era una donna del posto, con la saggezza dell’età, perdipiù.

    Che cosa sia stato meglio fare è, invece, una questione capziosa, e lo sarà fintanto che non vedremo il risultato finale. A fine anno potremo fare un bilancio più avanzato.

    Pur di attaccare Berlusconi, certi italiani farebbero (e fanno) carte false, danneggiando, come disse D’Alema, l’immagine del nostro Paese all’estero.

    Quando ho visto ieri la comica mandata in onda da Santoro, e ripresa da una trasmissione della BBC, ho provato sdegno per questi italiani, che non si curano delle nostre libere e autonome scelte elettorali, e gettano fango.

    Questa di oggi è la stessa Italia di Prodi e di D’Alema, ma con una voglia di fare maggiore, anche se in mezzo a tanti errori (chi non fa non falla, dice un proverbio). A fronte di questa maggiore concretezza, non si trova di meglio che ficcare il naso nella camera da letto del premier, pur di abbatterlo. Vorrei ricordare che lo scandalo è venuto fuori, non perché Berlusconi si è esibito in pubblico, ma perché sono stati commessi due reati: quello del fotografo con il potente teleobiettivo, e quello della D’Addario che si è permessa di registrare un incontro segretamente, con finalità tutte ancora da scoprire.
    E queste persone stanno facendo soldi, grazie ai reati commessi.

    Se rifletti (come è stato evidente anche ieri sera a Annozero) che con la D’Addario si cerca di coprire lo scandalo della sanità in Puglia, non puoi che nutrire qualche sospetto sul ruolo di questa donna.

    Luca, io sono tra quelli che, non potendo provare oggi, con argomenti più concreti, il mio pensiero, confido sull’onestà del tempo. Sulla D’Addario e sulla ricostruzione in Abruzzo avremo, perciò, modo di riparlarne. A mano a mano che ci avvicineremo alla verità, potremo confrontarci con più cognizione di causa. Io seguirò queste cose sul mio blog, perché temo che, come avvenne nel 1995, con manovre di palazzo si sovverta la volontà degli elettori, compiendo in pratica un nuovo colpo di Stato.

    Già ne sto parlando qui, anche con uno scambio nutrito con il comune amico Giulio Mozzi:
    http://www.bartolomeodimonaco.it/online/?p=6704

  6. letturalenta says:

    Certo che è di parte, quel blog, ma che c’entra? Si può essere di parte e dire cose vere, no? Anche Fini è di parte, e di una parte con una storia non proprio edificante, eppure a volte perfino lui dice cose giuste e vere.

    Perché il problema qui è proprio questo: chi dice la verità e chi racconta balle, e su come sta andando la ricostruzione in Abruzzo non è certo la ragazza aquilana che tiene quel blog a raccontare balle, anche se lei è comunista e Berlusconi no.

    E non vedo perché si dovrebbe aspettare che le cose finiscano per esprimere un giudizio su come stanno andando. Se adottassimo questo criterio, non potremmo dire alcunché su nessun argomento fino all fine del mondo: non mi sembra una buona mossa.

    La realtà oggi, a sei mesi dal sisma, è che questo governo sta imponendo alle popolazioni terremotate una soluzione illogica, devastante sotto il profilo sociale e cinque volte più costosa di quella che le stesse popolazioni preferirebbero. Non me la sento proprio di aspettare il seguito per dire che questo modo di procedere, a mio modestissimo avviso, è una stronzata a enne dimensioni.

    Sulla D’Addario non ho molto da dire. Quel che fa Berlusconi in camera da letto sono effettivamente fatti suoi, ma se usa la camera da letto come base di lancio per candidature politiche, allora diventano fatti miei e di tutti i cittadini italiani, ed è buona cosa che i cittadini ne siano informati.

  7. Vedi, Luca, il fatto è che tu credi a quelle persone, ed io invece dico che loro approfittano di alcuni scontenti (quando mai non abbiamo da criticare qualcosa?) per amplificare. Nel blog stesso si legge la delusione di Barbara Melis sulla volontà della gente di perotestare. Scrive:

    “Mi ha stupito la quasi totale mancanza di protesta: qualche fotocopia attaccata per la città, qualche cartellone, qualche striscione a Tempera ma poco, veramente poco rispetto a quanto mi aspettavo.”

    E Anna, poco più sotto scrive:

    “Eravamo noi, i soliti. Mi vien da dire gli irriducibili, anche se il termine poco mi piace. E ci siamo riconosciuti. E ci siamo abbracciati. Visionari con i piedi ben piantati a terra. Diversi. Tra la massa amorfa. E silente.Le automobili sfilavano nella corsia lasciata libera accanto a noi che manifestavamo. Gli Aquilani, quei pochi che sono in città,ché questa città ormai vede solo gente di fuori, ci dicevano “bravi”. Ma loro non c’erano in mezzo a noi. Loro ci guardavano. E annuivano.”

    Se ci fossero state inadempienze gravi, col cavolo che si limitavano ad annuire. Oggi non è affatto difficile riuscire a coordinare una protesta se condivisa da una maggioranza di cittadini.

    Quando ti ho ricordato l’episodio dei primi di giugno che mi è capitato di vedere, l’ho ricordato (forse non sono stato chiaro) per dirti che uno sparutissimo gruppo di persone si era già presentato a protestare quando ancora si stavano scavando le macerie per recuperare i morti sepolti. C’era già chi pretendeva, a distanza di due mesi, di avere le case pronte!

    Perché allora non credere a Napolitano? Perché allora non credere al disfattismo denunciato da D’Alema?

    Io sono convinto che in Abruzzo si stia facendo tutto il possibile e mi avvalgo delle parole di elogio adoperate da Napolitano, che è il presidente della Repubblica, proveniente peraltro da una parte politica non tenera con Berlusconi.

    Sono convinto che chi protesta sia una ridottissima minoranza, che forse non si è resa conto che ricostruire dopo un terremoto non è come mettersi a cucinare una seconda striscia di carne, dopo che la prima è andata bruciata.

    Tu hai parlato dei costi delle case che sono in corso di consegna, rispetto ai container. Ma fu dichiarato che gli alloggi provvisori non solo sarebbero stati confortevoli, ma sarebbero rimasti per sempre alla città per essere utilizzati in futuro per studenti ed altre occasioni che si presenteranno. Sono case costruite con criteri antisismici, non per essere distrutte ma per rimanere. Bertolaso lo ha detto più di una volta che quelle sono case definitive, ossia case che non saanno abbattute un volta che ai terremotati saranno restituite le originarie abitazioni sanate, per quanto sarà possibile, dai danni del terremoto.

    Riguardo a Berlusconi anche Barbara Melis, nel blog da te citato, gli riconsoce, pur detestandolo, capacità operative che la sinistra non possiede. Queste le sue parole:

    “Unico pensiero positivo sulle C.A.S.E. – almeno qualche cosa hanno fatto e questo lo dico perché i governi di sinistra sarebbero stati ancora a discutere su cosa fare e non avrebbero ancora fatto. Mr B è fattivo anche se per me è la peggior persona della terra”

    Per quanto riguarda gli sbagli che ha commesso e che sono continuamente all’ordine del giorno, ti ripeto qui quanto ho già detto più volte nel mio blog. Sono convinto che Berlusconi si è reso conto di aver sbagliato e le cose che sono accadute non si ripeteranno più.

    Mi sento di dover dare ascolto a questo mio sentimento.

    Del resto, in Italia abbiamo poco da scegliere tra i nostri leader, come fa capire anche Barbara Melis.
    Tutti sanno fare chiacchiere, pochissimi sanno agire. E coloro che agiscono, si sa, sono soggetti a sbagliare. Ma io preferisco di gran lunga questi ultimi.

  8. Sebastian says:

    Io dalla “querelle” politica me ne tiro fuori amabilmente… Però, tanto di cappello per la prima parte del post. Quella di stampo logico-filosofico. Signor Tassinari non leggevo una disamina così avvincente sulla natura della cosiddetta “Realtà” da *Quer Pasticiaccio Brutto de Via Merulana”… ehehehe…. Affascinante dote di sintesi e chiarezza! Ossequi! :)

  9. letturalenta says:

    Be’, va detto che per l’occasione il buon Pizzuto “facit versus” :-)

  10. LA MARCHESA USCÌ ALLE CINQUE

    Il signor ***, un ex forte-lettore, accese il computer, si portò nel newsgroup it.cultura.libri e, ben trincerato dietro il nick Buzzurro Azzurro, postò il seguente messaggio:

    “Ciao, amanti della narrativa. Vi confesso che, da piccolo, leggevo anch’io romanzi e racconti d’ogni sorta. Poi, un giorno, decisi di smettere. Mi pareva indelicato entrare in mondi altrui (= condensati da altri), o, nei casi peggiori, ingurgitare i vomiti altrui, pieni dei grumi del dolore altrui. Non mi andava più di seguire vicende fasulle introdotte da frasi quali ‘La marchesa uscì alle cinque’ e simili. Insomma optai per la saggistica e per i quotidiani. Posso farvi una domanda? Voi perché continuate a leggere romanzi?”

    [Quel signore ero io, ma sono passati tanti anni:-)]

  11. letturalenta says:

    Eh Lucio, tu sai bene che chi legge romanzi lo fa soltanto perché non trova la forza di non farlo.

    A proposito di icl e di marchese, non si può non citare questo post:
    http://mariastrofa.splinder.com/post/10636771/alle+cinque+della+sera

  12. Sebastian says:

    Alla domanda del signor Lucio Angelini penso (a mio modesto umile inutilissimo parere) abbiano già risposto, più che bene, autori come Cervantes, Flaubert, Gombrowicz, Kundera, Yourcenar, Rushdie… L’Arte del Romanzo come laboratorio del Pensiero, come esplorazione interrogativo-esistenziale, come osservatorio antropologico/fenomenologico, e, come tutta l’Arte, ricerca del “non ancora detto” – o meglio, di ciò che ancora non si riesce a “esprimere”, a spiegare, se non addirittura a vedere, ciò che l’Arte ha il non semplice compito di esplicare… Arte (ad esempio, quella del Romanzo) come una FORMA di ricerca… Ricordo ancora come il mio maestro di composizione al conservatorio ribadisse che l’Arte è una forma di Scienza, e di come bisognasse sfatare il mito secondo cui essa debba scaturire da quei **vomiti altrui, pieni dei grumi del dolore altrui** (come li indica il nostro Angelini). I (veri) romanzi sono ben di più….
    Ben venga assolutamente la saggistica (ma di qualità!). E anche i quotidiani, seppure io li legga e li sopporti ‘sempremenosempremeno’ (e lo afferma proprio uno come me che scrive da 4-5 anni per un quotidiano… eheheh).

  13. @ Sebastian. La mia era solo una provocazione esplorativa, volta a estorcere agli iciellini di allora un ventaglio di possibili risposte. °-*

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