L’eterno fascino della diatriba

La diatriba è l’anima della cultura. Platonici vs. Aristotelici, Nutella vs. CiaoCrem, Tolstoj vs. Dostoevskij, Coca vs. Pepsi, Antichi vs. Moderni, Indiani vs. Cowboy, e via così. Date in pasto all’umanità una materia opinabile, e subito sorgeranno due eserciti contrapposti e armati fino ai denti.

Questa natura essenzialmente bellica della comunicazione culturale pone qualche problema organizzativo, perché discutere una questione a randellate tende a por fine al dibattito per mancanza di contendenti prima che si trovi una soluzione, e questo non è bello a vedersi, né vantaggioso per il progresso della conoscenza.

Se ne rese conto per primo un intellettuale vissuto circa settantamila anni fa, di cui purtroppo non resta che il cranio conservato in un museo paleontologico kenyota. Un giorno costui raccolse una noce di cocco e si accingeva a spaccarla con l’ascia, quand’ebbe l’idea di chiedere ad alta voce: «secondo voi si spacca prima se l’appoggio per terra o se l’appoggio su questa bella pietra piatta?». Non l’avesse mai fatto. Fra i raccoglitori della sua squadra si formarono seduta stante due partiti, i terristi e i pietristi, che iniziarono a discutere animatamente, non senza pesanti scambi di motti salaci e reciproci sberleffi.

Quando i raccoglitori rientrarono al villaggio, la discussione si allargò a tutti gli abitanti e non ci volle molto per arrivare ai calci e ai ceffoni. L’intellettuale allora emise un grido ferocissimo che come per incanto immobilizzò i contendenti, taluni con le mani attorno al collo del vicino, altri col ginocchio a pochi centimetri dagli altrui genitali, altri ancora piegati in due per il colpo appena ricevuto. Quando fu sicuro di aver guadagnato l’universale attenzione, l’intellettuale disse: «facciamo così: cinque terristi di qua, cinque pietristi di là, ognuno con la sua bella noce da spaccare. Vince la squadra che finisce prima». Così fecero, e i pietristi conclusero la prova con ampio vantaggio sugli avversari.

Quella sera stessa tutti si sedettero in cerchio attorno a un grande fuoco al centro del villaggio, sbranando montagne di carne arrostita e tracannando latte di cocco fermentato. La discussione proseguì su tutt’altri toni: «se funziona con le noci di cocco» disse un raccoglitore «potrebbe andar bene anche con le selci, no?» e un arrotaselci rispose: «ottima idea. Domattina proverò ad affilarle sopra una pietra, anziché per terra, poi vi faccio sapere come è andata». E quello fu il primo circolo ermeneutico di cui si conservi il ricordo.

(tutto questo per dire che va bene provocare, va bene discutere, va bene lamentare le infime sorti e regressive dell’industria culturale, ma poi, a un certo punto, bisognerebbe cominciare a fare proposte in positivo. Per esempio, la butto lì, pubblicare in rete le opere di “valore non discutibile” (Cortellessa) e spiegare, sempre in rete, il perché e il percome il loro valore non sia discutibile (e mettere nel conto le eventuali legittime pernacchie)).

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