Presunta brava gente

Ricordare, fare memoria: parole astratte, metafisiche, incapaci di incidere la dura scorza delle cose. E però tocca provarci, almeno.

Mi ricordo, dunque, ricordo a me medesimo per primo, che oggi, sessantacinque anni fa, si rivelò agli occhi del mondo lo scempio di Auschwitz. Quello che dimentichiamo volentieri, perché è un ricordo che turba le nostre tranquille coscienze di presunta brava gente, è che Auschwitz non fu un lampo di follia nell’ordinato e razionale progresso delle umane sorti, ma il frutto orrendamente logico di secoli di odio, segregazione, pogrom e spoliazione civile di uomini e donne che alla fine, solo alla fine di questo martirio secolare, furono condannati a morte non per aver commesso crimini, ma per ciò che erano: ebrei, nomadi, omosessuali, disabili, testimoni di Geova.

Oggi, sessantacinque anni dopo, consiglio a noi presunta brava gente di fermarsi un momento solo a riflettere su quello che sta succedendo qui, ora, nel paese abitato dal mitico popolo italiano, un popolo che come nessun altro sa dimenticare i propri torti. Prendiamoci qualche minuto per leggere questo articolo, dove si mostra come vengono trattate le minoranze rom e sinti a Roma: spostati da una baraccopoli a un’altra, sradicati continuamente, ghettizzati, criminalizzati, privati dei diritti civili più elementari, schedati e spogliati di tutto. Esattamente — ripeto: esattamente — quello che successe agli ebrei tedeschi a partire dal 1933, molto prima di Auschwitz. E dopo aver letto quell’articolo, magari leggiamo anche quest’altro.

Ciò che non possiamo permetterci di dimenticare, oggi, non è solo che Auschwitz si è rivelato agli occhi del mondo sessantacinque anni fa, ma che non stiamo facendo abbastanza per impedire che appaia di nuovo.

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