Elegia

Io lo so, l’ho sempre saputo, che la vita ruba molto e rende poco. Io so che voi tutti, amici antichi e nuovi, così loquaci un tempo, oggi tacete perché la vita, gran ladra, vi ha rubato. Io lo so che questo silenzio attonito non è una vostra scelta, ma la conseguenza naturale del fatto che la vita, immensa truffatrice, vi ha rubato tutto, voce compresa.

Ricordate, amici, i tempi belli? Ricordate anche voi quei tempi in cui il sole non aveva il permesso di tramontare senza che noi ci fossimo incontrati sulla piazza per parlare, discutere, dissezionare le cose con lame taglientissime forgiate nel discorso, nella logica, nella passione invincibile di chi ha tutto il tempo di immaginare un mondo migliore?

Cosa è successo dopo? Quale forza imprevista perfino da noi — gente così abile a scandagliare le cause e a prevedere gli effetti — ha potuto sciogliere la nostra congrega senza nemmeno lasciarci il tempo di rendercene conto? Per quale ragione la piazza è rimasta deserta senza che uno solo fra noi abbia scelto deliberatamente di abbandonarla?

Ci siete stati ultimamente? Avete visitato i luoghi in cui eravamo soliti riunirci per tirare di scherma coi nostri ragionamenti, fra risate plenarie e reciproche canzonature, alla luce di lampioni che potevamo spegnere quando volevamo a calci o a gomitate? Ci siete stati? Avete visto che disastro, che desolazione, che spreco di spazio, che silenzio?

Puttana di quella vacca di un vita: possibile che basti crescere, maturare, sposarsi, diventare adulti e responsabili, lavorare, fare figli, accendere mutui, perdere il lavoro o divorziare per dimenticare tutto quello che siamo stati, per dimenticare tutto quello che volevamo essere, per dimenticare tutto?

Sia come sia, vada come vada, io non vi dimentico. Di ciascuno di voi conservo un ricordo, a mo’ di speranza di incontrarvi ancora quando la vita puttana concederà a voi e a me una tregua, o magari dopo. Ricordo le serate passate a designare chi avrebbe dovuto verniciare cazzi neri sul candido muro di quel grandissimo stronzo del Carugati; ricordo le dure invettive contro il cattocomunismo; ricordo le ore passate a stabilire se sia più grande Tolstoj o Dostoevskij, Schopenhauer o Hegel, Borg o McEnroe; ricordo i mal di pancia provvidenziali per restare solo con Chiara; ricordo le transumanze verso qualunque meta sapesse di agriturismo o di bistecca, pur di radunarci; ricordo le terrazze romane e il trenino per Acilia; ricordo tutti gli incontri occasionali, tutte le chiacchiere, tutti gli arrivi e tutti i passaggi in stazione per ripartire; ricordo tutti i libri prestati e mai restituiti; ricordo tutti i libri consegnati e mai pagati; ricordo tutti i libri mai consegnati.

Io, uno che a malapena ricorda a sera quel che ha fatto la mattina, ricordo tutto di ognuno di voi. Qualunque cosa accada, amici antichi e nuovi, ricordate anche voi per sempre le mie parole: non vi libererete tanto facilmente di me.

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