Rete

(a dispetto del titolo, i mondiali di calcio non c’entrano).

Su Il primo amore c’è un bell’articolo di Giorgio Fontana sui modi e le conseguenze di una fruizione ossessiva della rete. Consiglio di leggerlo per intero. Seguono, per i più arditi, alcune noterelle mie.

Da un computer connesso in rete arriva un flusso incessante di informazioni le più varie e slegate l’una dall’altra — email, feed, tweet e altri anglismi — tutte rigorosamente gestite da applicazioni distinte che obbligano l’essere umano seduto davanti allo schermo a saltellare da una finestra all’altra a furia di Alt-Tab. Questa ipercinesi delle mani sulla tastiera e degli occhi sullo schermo assorbe quantità rilevanti di energia mentale, orbandone il cervello che ne avrebbe bisogno per concentrarsi più a lungo su uno dei mille argomenti che l’infomarea deposita sulla battigia dei lidi cognitivi.

L’incapacità di concentrare l’attenzione su un testo più lungo di tre righe, sullo stile di un compositore, sui dettagli di un’immagine, fa sì che la miriade di informazioni da cui il povero cristo è bombardato, permanga in lui per tempi infinitesimali e in forma di frammenti isolati e impermeabili al fluido connettivo del pensiero: molto è visto, molto è letto, molto è udito, nulla permane, nulla sarà ricordato.

Dostoevskij si chiedeva se la bellezza avrebbe potuto rovesciare il mondo. Fontana fa un passo indietro e si chiede se l’uomo reticolare del prossimo futuro, costantemente distratto e disattento, saprà ancora riconoscere la bellezza:

Un’umanità abituata a frammentare sempre di più la propria attenzione — e di converso, la propria idea di realtà — sarà ancora capace di dedicare tempo e fatica a Proust, agli ultimi lavori di Coltrane, ai dettagli di Kandinskij? O ridurrà tutto alla pagina della madeleine, al tema di A Love Supreme e a un’accozzaglia di colori?

Vorrei tranquillizzare l’autore. Non è mai esistita un’età, un’epoca, un secolo in cui l’umanità tutta si è dedicata anima e corpo all’arte e al pensiero, alla letteratura e alla filosofia. Oggi — esattamente come cento, mille o tremila anni fa — i dotti sono ben piccola schiera per un motivo molto terragno e triviale: per rifornire di cibo e di bevanda un solo sapiente serve il lavoro di cento ignoranti. Dando per buona la proporzione, dai sei miliardi di umani che affollano il pianeta si ricavano sessanta milioni di raffinati critici di Proust, Coltrane e Kandinskij, quanto basta per evitare che la specie tutta cada nell’abisso dell’abbrutimento.

Non vedo quindi prossimo il tramonto delle capacità critiche e cognitive dei pochi. Vedo piuttosto il tramonto di una speranza bella che per tanto tempo, una vita intera, ha accompagnato me e qualche altro mio coetaneo, cioè la speranza che quei pochi potessero diventare molti. Non è successo. Temo che non succederà ancora per molto tempo e credo che la rete rappresenti in modo perfetto il decadimento di quella speranza al rango di pia illusione. Quella speranza, infatti, comprendeva nel suo piano di realizzazione un duro cammino di studio e di gavetta, mentre la rete sembra garantire a chiunque sapienza e grazia in cambio di qualche click del mouse.

Un’altra frase dell’articolo mi ha colpito:

Un’anima spezzettata e plurale è incapace di riconoscersi e di distinguere cos’è giusto fare: ma anche cos’è bello, cos’è importante, cos’è umano.

Una volta per indicare le persone giuste e probe si usava la locuzione uomini tutti di un pezzo, dunque anime intere e singolari. Hanno saputo fare di meglio, costoro, rispetto a quello che ci arrabattiamo a fare noi anime spezzettate e plurali? Hanno evitato catastrofi, guerre, genocidi? Hanno riconosciuto all’impronta il bello, l’importante, l’umano?

In questo credo di essere più ottimista di Giorgio Fontana: la nostra specie calca il suolo del pianeta da appena un milioncino di anni, e in questo breve periodo ha saputo adattarsi a cambiamenti radicali dell’ambiente, dei costumi, del livello di conoscenze tecniche. L’invenzione della stampa ha mandato in pensione gli amanuensi, quella del telefono ha ridotto al lumicino gli scambi epistolari, video killed the radio stars e la rete farà scomparire i quotidiani di carta. E mentre tutto ciò accadeva e accade, i confini fra giusto e sbagliato, bello e brutto, umano e inumano hanno continuato a spostarsi.

E perciò, io dico e dissi, e dirò finch’io viva, che per ogni sapere reso obsoleto dalla storia, ne nascono altri dieci che prima non c’erano. Non vorrò nascondere a me medesimo che i tempi sono oscuri e grami, che ombre minacciose s’addensano, eccetera, ma resto convinto che, comunque vada a me e ai miei vicini d’orto, il resto dell’umanità saprà cavarsela anche questa volta.

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