Archive for July, 2010

Il bramito del cervo rosso in amore e le scuole di scrittura

Wednesday, July 28th, 2010

Cervo rosso, tratto da www.flickr.com/photos/jellybeanzgallery/3953194119/Qualche giorno fa, commentando un post su vibrisse, ho ricordato un episodio buffo che risale a una trentina di anni fa. Durante l’abituale sessione di fancazzismo pomeridiano (bei tempi), captai l’inizio di un documentario televisivo, uno di quei documentari che si fanno ancora oggi, più o meno con lo stesso format di allora, sulla vita degli animali selvaggi in ambienti selvaggi, una sorta di fiction naturalista più vicina ai romanzi di Jack London che ai trattati di etologia, ma presentata al pubblico come serissima divulgazione scientifica.

Il documentario si apriva con un suono che l’orecchio collocava esattamente a metà strada fra la voce di Barry White e le sirene degli allarmi antiaerei, e che il cervello riconduceva con fatica a un’origine animalesca solo grazie al suggerimento visivo offerto dall’inquadratura in campo lungo di una foresta nordica innevata e brumosa. Dopo alcune ripetizioni del verso, la voce fuori campo del commentatore diceva: “Avrete certamente riconosciuto il bramito del cervo rosso in amore”. La telecamera del ricordo si sposta su un me stesso torto dalle risate.
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Wasting time

Tuesday, July 20th, 2010

Linnio Accorroni sulla lentezza in generale e sulla lettura lenta in particolare.
Paolo Nori sul perdere tempo.
E Otis Redding come ovvia colonna sonora.

Noterelle sulla stupidità

Tuesday, July 20th, 2010

La stupidità non è un handicap, tratto da www.grouchyoldcripple.com/archives/crip4.gifSono il primo a sostenere che — dati i tempi, le emergenze planetarie, la crisi e tutto quanto — ci sarebbero modi assai più proficui di spendere tempo e neuroni, ma ritengo altresì che non di sole questioni epocali si nutra il pensiero umano, ma anche — e più spesso di quanto siamo disposti ad ammettere — di quisquilie e bazzecole.

L’inizio del terzo millennio
Come molti forse ricorderanno, l’avvento dell’anno 2000 innescò una diatriba infinita fra due opposte fazioni: chi sosteneva che l’inizio del ventunesimo secolo era da porsi al primo gennaio del 2001 e chi invece datava l’epocale giro di calendario al primo gennaio del 2000. A farmi tornare la memoria di quella gigantesca prova dialettica ci ha pensato il libro Il potere della stupidità di Giancarlo Livraghi che ho reperito in Google Books grazie a una segnalazione del Doktor Faustus di un mesetto fa.

Livraghi porta la diatriba calendaristica come esempio di stupidità, in palese contraddizione — e spiegherò presto perché — con quanto egli stesso sostiene a pagina 12:

Non è sensato definire l’intelligenza come solo razionale — ed è altrettanto sbagliato considerare stupido tutto ciò che non sembra razionalmente spiegabile.

A pagina 14 il medesimo Livraghi così presenta quella che lui stesso poco oltre definisce “la scemenza del millennio”:

Poche cose erano così facilmente prevedibili come il fatto che il ventesimo secolo (e perciò il secondo millennio) sarebbe finito a 0 ore, 0 minuti e 0 secondi del primo gennaio 2001. (…) Persone tutt’altro che sciocche o ignoranti erano convinte che secolo e millenio finissero alla mezzanotte del 31 dicembre 1999. Faticavano ad adattarsi all’evidenza dell’aritmetica.

Da un punto di vista puramente razionale è evidente che per fare due millenni servono duemila anni compiuti e, tenendo presente che la numerazione degli anni nel nostro calendario inizia da 1 e non da 0, è facile concludere che il secondo millennio terminò in effetti alla mezzanotte del 31 dicembre 2000. E però, per fare onore alla sua giusta affermazione di pagina 12, prima di parlare di “scemenza del millennio” l’autore avrebbe dovuto esaminare con più cautela gli aspetti non razionali della questione.

Le ragioni irrazionali (mi si perdoni l’ossimoro) che portano a datare il passaggio del millennio al 2000 sono evidenti almeno quanto le ragioni razionali (mi si perdoni la tautologia) portate a sostegno dell’altra ipotesi. È evidente, cioè, che il passaggio della numerazione degli anni dalla radice 19 alla radice 20 ha un impatto diciamo emozionale (quindi irrazionale) su chiunque, per non parlare del fatto altrettanto evidente che quei tre zeri in fila della cifra 2000 evocano con discreta potenza l’idea stessa del millennio.

Sostenere che l’anno 2000 ha segnato l’avvento di un nuovo millennio è evidentemente stupido da un punto di vista logico e razionale, mentre è altrettanto evidentemente non stupido da un punto di vista emotivo e irrazionale. Questo in perfetto accordo con il Livraghi di pagina 12. È chiaro che sostenere l’ipotesi 2000 con argomenti di tipo aritmentico — come per esempio l’esistenza di un fantomatico anno zero — sarebbe effettivamente stupido, ma non più di quanto lo sarebbe sostenere l’ipotesi 2001 con argomenti di tipo emotivo o evocativo (tant’è vero che il primo gennaio 2000 è stato preceduto da festeggiamenti, gadget, fosche profezie di fine dei tempi e opinionisti logorroici in tutto il pianeta, mentre il primo gennaio 2001 non se l’è filato praticamente nessuno).

Stupidità o stupidaggini?
La stupidità non è dunque un criterio descrittivo affidabile della specie umana e degli individui che la compongono, a meno di non ridurre arbitrariamente l’essere umano alla sola razionalità. Livraghi stesso, peraltro, sostiene altrove nel suo libro che non esistono persone stupide, ma solo comportamenti stupidi. Sono d’accordo, e quindi sostengo che la stupidità è una categoria essenzialmente pratica, cioè buona per valutare l’utilità e la vantaggiosità di determinate azioni: non esiste la stupidità, esistono le stupidaggini. Potremmo al limite definire la stupidità di una persona come percentuale di stupidaggini sul totale delle sue azioni.

Applicando la seconda legge di Cipolla — «la probabilità che una persona sia stupida è indipendente da ogni altra caratteristica di quella persona» — dovrebbe essere chiaro che la furbizia o l’intelligenza non escludono la stupidità. Una persona molto intelligente può fare tante stupidaggini quante ne fa una poco intelligente. Infine, seguendo in linea di principio la terza legge di Cipolla, possiamo definire la stupidaggine come un’azione che danneggia una o più persone senza dare alcun vantaggio a chi la compie.

Misurare vantaggi e danni di un’azione, però, è una questione molto complessa, perché è intuitivo che ciò che danneggia una o più persone può avvantaggiarne altre. A titolo di esercizio, proviamo a stabilire se l’azione del difensore descritta qui sotto è una stupidaggine:

A dieci secondi dalla fine della partita, un difensore della squadra in vantaggio per 1 a 0 entra a gamba tesa su un attaccante avversario lanciato a rete, a portiere battuto. L’arbitro assegna il rigore alla squadra dell’attaccante ed espelle il difensore. Il calcio di rigore termina sul fondo e l’arbitro fischia la fine della partita.

Se riferiamo danni e vantaggi alle sole due persone coinvolte — il difensore e l’attaccante — otteniamo che:
1. L’azione del difensore danneggia l’attaccante, privandolo della possibilità di segnare.
2. Il difensore non trae un vantaggio personale dalla sua azione. Anzi, ne ricava il danno dell’espulsione.

Fermandoci qui potremmo ragionevolmente concludere che il difensore ha fatto una stupidaggine. Cosa succede, però, se allarghiamo la valutazione di danni e vantaggi alle due squadre?
1. La squadra dell’attaccante è danneggiata per non aver potuto segnare il gol del pareggio.
2. La squadra del difensore è danneggiata dall’espulsione del medesimo, ma avvantaggiata dal fatto di aver vinto la partita.

Siamo ancora sicuri che il difensore abbia fatto una stupidaggine? Probabilmente no, e se estendessimo l’esercizio a questioni più complesse di una partita di calcio, come per esempio gli equilibri di forza mondiali o anche solo la scelta del mestiere da fare da grandi, la capacità di individuare a colpo sicuro le stupidaggini calerebbe vistosamente.

Conclusioni provvisorie
In realtà ci sono altri problemi che complicano la corretta individuazione delle stupidaggini. Non tutti i danni o i vantaggi derivanti da un’azione, per esempio, sono contemporanei all’azione stessa, e prevederli tutti accuratamente è molto difficile. Ne deriva che ciò che oggi sembra una figata, tra qualche anno potrebbe essere considerata una stupidaggine (questo, tra parentesi, è uno dei motivi per cui gli esseri umani spesso agiscono considerando i vantaggi che riescono a intravvedere nell’immediato, ma trascurando i danni di medio e lungo periodo).

Si potrebbe estendere la ricerca della stupidità al campo delle idee e delle opinioni (o anche delle domande, le famose domande sceme), ma magari lo faccio un’altra volta. Per ora mi basta ribadire che la stupidità non è una categoria utile per descrivere una qualità della nostra specie, mentre può essere un discreto indicatore quantitativo della propensione di una persona a danneggiare il prossimo o la collettività.

Fin dall’inizio del suo saggio Giancarlo Livraghi si dichiara sorpreso dalla scarsità di studi sistematici sulla stupidità umana. Azzardo una congettura: gli esseri umani, che sono assai meno stupidi di come siamo tentati di dipingerli, hanno intuito fin dagli albori della storia del pensiero che uno studio sistematico della stupidità potrebbe essere a tutti gli effetti una stupidaggine.

Per una rieducazione dei liberisti smarriti

Thursday, July 15th, 2010

Francesco Cundari propone «programmi mirati per il loro reinserimento nella società, a tutela della democrazia e della convivenza civile». Ottima idea, ma tragicamente utopistica: il liberista convinto gli risponderà che le crisi cicliche del capitalismo non sono una novità, che già Adam Smith aveva previsto tutto, che il sistema si autoregola, che vedrai che tra un po’ ripartiamo tutti a razzo, e che Cundari, io e tutti coloro che nutrono qualche dubbio verso l’onnipotenza del mercato, in buona sostanza, non capiamo un accidente.

Un po’ mi stupisce

Friday, July 9th, 2010

La casa editrice Einaudi, come tutti sanno, fa parte del gruppo Mondadori, il cui azionista di maggioranza è Fininvest, cioè a dire Berlusconi. La casa editrice Einaudi, come molte case editrici, ha un sito Internet e sul sito Internet della casa editrice Einaudi c’è una pagina che narra la storia della casa editrice Einaudi. Tutto ciò, come è ovvio, non mi stupisce.

In quella pagina non c’è alcun riferimento al gruppo Mondadori né a Fininvest né a Berlusconi. Questo un po’ mi stupisce.

Stampa e querele

Wednesday, July 7th, 2010

Fatti

Leggo sul blog del mio amico Bartolomeo Di Monaco che il giornale online «il legno storto» rischia di chiudere per via di tre distinte azioni legali avviate nei suoi confronti a partire da altrettanti articoli apparsi sulla testata:

1. Un articolo del 28 gennaio 2010 firmato dallo stesso Bartolomeo Di Monaco ha portato all’apertura di un fascicolo per presunte minacce contro Luigi Palamara, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati.
2. Un articolo del 21 giugno 2009 firmato da Vittorio Zingales ha provocato la citazione per danni da diffamazione da parte del magistrato Pier Camillo Davigo, con una richiesta di risarcimento di 100.000 euro.
3. Un articolo del 27 ottobre 2009 firmato da Sergio Bagnoli è alla base di una querela per diffamazione da parte del sindaco di Montalto di Castro Salvatore Carai.

Nel titolo del post Bart si chiede dove sia la sinistra che difende la libertà di stampa e nel testo specifica: “se si tenta di far chiudere un giornale di sinistra allora si parla di bavaglio, se invece si tenta di far chiudere un giornale che non è di sinistra, allora tutto è ok”. Bart invita poi i suoi lettori a diffondere una lettera che la redazione del Legno Storto ha pubblicato sulla questione.

Be’, ho pensato, io voto a sinistra da trent’anni e la libertà di stampa mi piace assai. Aggiungi che Bart lo conosco da quasi dieci anni, vuoi che non gli risponda? Certo che gli rispondo, e purtroppo non sarò breve.

Precisazioni

La prima precisazione è che «il legno storto» non è un blog amatoriale, bensì, leggo qui, una “Testata Giornalistica registrata presso il Tribunale di Milano, al n° 831 del 31 ottobre 2005”, quindi soggetta alla legislazione sulla pubblicazione di notizie e opinioni a mezzo stampa, esattamente come Repubblica o il Corriere della Sera.

In secondo luogo, non è vero che Luigi Palamara ha querelato «il legno storto». Subito dopo averlo detto, infatti, la lettera della redazione precisa: «Per l’esattezza la Procura di Roma ci ha comunicato (…) che ha aperto un fascicolo per le minacce che noi avremmo formulato con questo articolo, nei confronti del dr. Palamara». Da quel che capisco si tratta perciò di un’azione d’ufficio della Procura di Roma, non di querela.

Terza precisazione: mi è abbastanza chiaro che Davigo agisce in sede civile, con annessa richiesta di risarcimento, mentre non ho capito in che sede agisce Salvatore Carai. Nella lettera della redazione non si accenna a richieste di risarcimento, quindi non si può escludere che la querela di Carai sia in sede penale, particolare non irrilevante per esprimere un opinione in merito.

Mie opinioni sugli articoli

Sull’articolo di Bart non mi esprimo direttamente per palese conflitto di interessi, ma faccio mia la tesi di questo post del blog Champ’s Version, ovvero che nell’articolo non ci sono minacce contro Palamara e che probabilmente la causa è stata avviata per un banale fraintendimento.

Se dovessi trovare un aggettivo per qualificare il secondo articolo, quello firmato da Vittorio Zingales, sarei indeciso fra delirante e sbalestrato (aggiornamento dell’8 luglio: Giulio Mozzi in questo post su vibrisse lo definisce “piuttosto ributtante”). La tesi di fondo è che l’azione giudiziaria di Mani Pulite, fra il 1992 e il 1994, sia stata in realtà un tentativo di golpe orchestrato dagli immancabili poteri forti «italiani ed angloamericani». Pier Camillo Davigo è citato una volta sola in questo modo: «E’chiaro che un Borrelli, un Di Pietro, un Davigo, un D’Ambrosio, ecc, non possono avere nessuno spessore culturale per organizzare il golpe e nemmeno il regista Violante che ha il compito di girare le piazze italiane e le procure per indicare di volta in volta il nemico da abbattere». In breve, Davigo e altri sono indicati come esecutori materiali di un tentativo di golpe, senza uno straccio di riferimento fattuale o prova documentale. Questa mi sembra una calunnia bella e buona e la qualità complessiva dell’articolo è infima.

Dell’articolo di Sergio Bagnoli prendo in considerazione solo questo brano:

Salvatore Carai, sardo barbaricino di Orune, Sindaco di Montalto di Castro in forza al Partito Democratico, ala bersaniana, zio di uno dei violentatori che ha dichiarato: «Quei ragazzi ingiustamente accusati sono dei bravi ragazzi. Dalle nostre parti le uniche bestie sono gli immigrati romeni. Loro sì che lo stupro l’hanno nel sangue». Coerentemente al suo pensiero ha fatto impegnare dalla giunta municipale la ragguardevole somma di 40.000 Euro, 5.000 Euro per ognuno degli otto stupratori, a favore del loro reinserimento in società e per consentire alle loro famiglie di arruolare fior di avvocati che tirassero fuori i pargoli da questa triste vicenda.

Una veloce ricerca in rete consente di scoprire che:
1. le delibere di finanziamento agli imputati furono revocate dalla giunta comunale il 20 luglio 2007, cioè oltre due anni prima che Bagnoli scrivesse il suo articolo.
2. Bagnoli riporta come certa la parentela fra Carai e uno degli imputati, mentre un articolo coevo sul Secolo XIX parla di «indiscrezioni che non sono state smentite». Chi ha ragione?
3. La pessima frase sui romeni attribuita a Salvatore Carai era stata smentita da un comunicato dell’interessato, e a giudicare dal primo commento al suo stesso articolo ripreso da AgoraVox, Sergio Bagnoli era a conoscenza della smentita già il 28 ottobre 2009. Non è escluso che Bagnoli abbia riportato la smentita di Carai anche nei commenti al suo articolo su Legno Storto, ma per vedere quei commenti dovrei registrarmi sul sito e non ne ho voglia.

Ricapitolando, in poche righe l’articolo di Bagnoli riporta una mezza verità, probabilmente scambia indiscrezioni per verità accertate e virgoletta dichiarazioni smentite il giorno stesso dal diretto interessato. Quanto basta, a mio avviso, per considerarlo un articolo approssimativo e imprudente che presta facilmente il fianco a legittime incazzature da parte delle persone coinvolte. Aggiungo che se la redazione del Legno Storto fosse stata a conoscenza di queste inesattezze, avrebbe dovuto invitare l’autore dell’articolo a correggerlo o procedere di sua iniziativa a pubblicare una rettifica.

Mie opinioni sulle azioni legali

Il fascicolo aperto dalla Procura di Roma mi sembra un classico caso di azione penale obbligatoria in base a una notizia di reato, quindi c’è poco da commentare: ha agito come doveva agire. Punto.

La richiesta di risarcimento di Davigo in sede civile mi sembra inopportuna. Non infondata o sbagliata, tutt’altro, ma inopportuna. L’articolo, come ho detto, è effettivamente calunnioso, ma da parte di un personaggio che riveste una carica pubblica (Davigo è magistrato in Cassazione) avrei preferito un’azione in sede penale a tutela della collettività, anziché un’azione civile a tutela del solo Davigo.

Sulla querela di Carai non so che dire. Se è, come sembra, un’azione in sede penale, non saprei dargli torto. Se fosse una citazione per danni, varrebbe il discorso che ho fatto per Davigo.

E quindi?

Ciò detto, precisato e opinato, concludo dicendo che verso la redazione del Legno Storto posso provare al massimo un moto di umana compassione, perché gioire per le grane altrui non è nel mio carattere, e formulo senz’altro l’augurio che gli sviluppi della vicenda non portino alla chiusura della testata. E tuttavia non posso esprimere solidarietà, né nascondere che a mio avviso, parafrasando Mao (ché tanto a sinistra siamo tutti comunisti), l’informazione non è un pranzo di gala. Visto che di testata giornalistica si tratta, e non di luogo privato per esprimere private opinioni, accanto alla libertà di espressione e alla libertà di stampa è indispensabile collocare il dovere di pubblicare notizie verificate, di rettificare prontamente eventuali errori e di vagliare con attenzione la qualità degli articoli pubblicati. Tutte cose che a mio parere, in almeno due casi sui tre in questione, il Legno Storto non ha fatto.