Il bramito del cervo rosso in amore e le scuole di scrittura

Cervo rosso, tratto da www.flickr.com/photos/jellybeanzgallery/3953194119/Qualche giorno fa, commentando un post su vibrisse, ho ricordato un episodio buffo che risale a una trentina di anni fa. Durante l’abituale sessione di fancazzismo pomeridiano (bei tempi), captai l’inizio di un documentario televisivo, uno di quei documentari che si fanno ancora oggi, più o meno con lo stesso format di allora, sulla vita degli animali selvaggi in ambienti selvaggi, una sorta di fiction naturalista più vicina ai romanzi di Jack London che ai trattati di etologia, ma presentata al pubblico come serissima divulgazione scientifica.

Il documentario si apriva con un suono che l’orecchio collocava esattamente a metà strada fra la voce di Barry White e le sirene degli allarmi antiaerei, e che il cervello riconduceva con fatica a un’origine animalesca solo grazie al suggerimento visivo offerto dall’inquadratura in campo lungo di una foresta nordica innevata e brumosa. Dopo alcune ripetizioni del verso, la voce fuori campo del commentatore diceva: “Avrete certamente riconosciuto il bramito del cervo rosso in amore”. La telecamera del ricordo si sposta su un me stesso torto dalle risate.

Per riconoscere certamente il bramito del cervo rosso in amore servono alcune conoscenze non necessariamente in possesso dello spettatore medio di un documentario divulgativo: bisogna sapere che esiste una specie di cervo chiamata cervo rosso; che il cervo rosso va in amore; che il verso del maschio di cervo in amore si chiama bramito; che quel particolare bramito appartiene al cervo rosso e non ad altre specie di cervi. Chi non sa tutte queste cose non può riconoscere, tanto meno certamente, il bramito del cervo rosso in amore e se qualcuno, dopo avergli fatto ascoltare un verso alieno, gli dice “Avrai certamente riconosciuto il bramito del cervo rosso in amore”, si mette a ridere, anche (direi anzi soprattutto) se quello gliel’ha detto con voce compunta e tono serissimo.

Sono abbastanza sicuro che la comicità non fosse un effetto cercato di proposito dallo sceneggiatore, perché quel tipo di documentario esige che lo spettatore riceva un’impressione di serietà e di rigore scientifico, eventualmente aperta al buffo nell’oggetto delle riprese — un cucciolo di leone che si inciampa e cade; un uccello antartico che scivola sul ghiaccio in fase di atterraggio — ma mai nel commento, che, al contrario, imita di solito lo stile compassato del saggio. La risata scaturiva quindi da un difetto di progettazione del testo, un errore di valutazione sulle nozioni di versologia cervina in possesso degli spettatori.

Sempre qualche giorno fa, sotto un altro post di vibrisse, si stava sviluppando un’accesa e interessante discussione sulle scuole di scrittura, un argomento non privo di relazioni con la questione del bramito. Le scuole di scrittura come le intende Giulio Mozzi, se ho capito bene, non hanno il compito di sfornare scrittori più o meno di successo, né di insegnare a scrivere romanzi o poesie, ma di trasmettere ai discenti alcune tecniche di costruzione e organizzazione del discorso, che in antico erano insegnate nelle scuole di retorica. Un aggiornamento di Quintiliano e discendenti, insomma, e non vedo buone ragioni per sostenere che ciò che faceva Quintiliano quasi duemila anni fa, o i sofisti molto prima di Quintiliano, non si possa fare oggi. Sono casomai un po’ scettico sull’opportunità di accostare al sostantivo scrittura l’aggettivo creativa, ma sono dettagli.

Stabilito questo, resta il problema del bramito o, fuor di metafora, il problema dell’errore. La retorica classica dedicava ampio spazio agli errori, mostrando per ogni parte del discorso e del suo percorso organizzativo gli eccessi e le mancanze rispetto alle norme che definivano il buon discorso. Ci poteva essere un eccesso o una carenza di ornamento, un uso eccessivo o difettoso di figure retoriche, lo spettro della pedanteria veniva agitato come limite alla virtù della chiarezza, quello dell’oscurità come argine alla necessità della concisione, e così via. L’errore, in breve, era trattato come qualcosa da evitare, una sorta di mina sulla via che conduceva alla meta prestabilita di ogni buon discorso: l’efficacia, l’essere adatto a persuadere un determinato tipo di ascoltatori.

Il problema del bramito consiste sostanzialmente nel riconoscere un valore positivo all’errore e quindi, nell’ottica pedagogica di una scuola di scrittura, nel chiedersi se sia possibile insegnare a non evitarlo (ammesso che non fare qualcosa possa essere insegnato). Se l’autore di quel documentario avesse seguito un corso di retorica (o di sceneggiatura, o di scrittura), probabilmente gli avrebbero insegnato a scrivere i testi tenendo ben presenti le caratteristiche del pubblico designato e quindi, nel caso di un pubblico non specialistico, a non presumerlo dotato di conoscenze tecniche sull’argomento trattato. L’autore, che immagino discepolo zelante, dopo il corso avrebbe scritto qualcosa come “Il verso che avete appena sentito è il bramito del cervo rosso in amore”, e poi giù a spiegare cos’è il cervo rosso, cosa il bramito, cosa l’andare in amore, eccetera. Mai e poi mai avrebbe scritto “Avrete certamente riconosciuto il bramito del cervo rosso in amore”, e io non avrei mai vissuto un episodio basilare e indimenticabile della mia formazione personale.

Concludendo, se è mai possibile concludere quando si ragiona di scrittura, credo che sia più che lecito insegnare (e imparare) a costruire discorsi, compresi i discorsi narrativi, ma credo anche che lungo il faticoso cammino della discenza sia necessario restare disponibili a riconoscere e ad accogliere la fecondità dell’errore. Senza il felice errore del bramito, quel documentario sarebbe scivolato nell’oblio assieme ad altre decine di suoi simili tecnicamente perfetti. Non ricordo nulla di preciso sul ciclo riproduttivo delle sterne antartiche, né sui costumi sessuali dei bonobo, né sulle tecniche di caccia della tigre bengalese, ma ancora oggi, a distanza di trent’anni, posso sognare una foresta brumosa in cui risuona una voce animalesca a mezza via fra Barry White e le sirene degli allarmi antiaerei e riconoscerla certamente per quello che è: l’inconfondibile bramito del cervo rosso in amore.

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