Che cos’è la letteratura?

biblioteca[Avviso al lettore frettoloso: questo post è lunghissimo perché, come diceva Pascal, non ho avuto il tempo di farlo più corto. Avrei potuto pubblicarlo a puntate, ma, a parte il fatto che un pippone a puntate resta pur sempre un pippone, pubblicarlo a puntate mi faceva fatica.]

Saranno cent’anni che gli intellettuali insistono a chiedersi “Che cos’è la letteratura?”, ma la risposta non arriva mai, e quando una risposta non arriva mai si danno solo due possibilità: o la domanda è molto difficile o è completamente scema. Aut aut, non si scappa.

Personalmente propendo per la seconda ipotesi, ma ammetto che la prima è più attraente, perché infonde in chi pone la domanda l’illusione di occuparsi di un argomento serissimo, non privo di una certa qual profondità filosofica e di una discreta rilevanza umanistica. Che cos’è la letteratura? — ci si chiede assumendo una posa adeguatamente cogitabonda — e subito ci si sente immersi nel mare delle questioni determinanti per la distinzione fra uomini e bestie e per la conservazione della specie.

Il Canone
Qualche risposta in giro si trova, a dire il vero, ma nessuna ha l’aria di essere definitiva. Una piuttosto classica è quella che fa coincidere la letteratura con l’insieme delle opere canonizzate nei secoli da circoli ristretti di lettori particolarmente colti e ferrati — gente che traduce Senofonte all’impronta e che sa distinguere al volo uno gliommero da una frottola o un’anastrofe da un iperbato, mica fave. Purtroppo costoro prediligono di solito opere di autori defunti da almeno un secolo e, prima di inserirle nel Canone, si impelagano in discussioni accesissime che possono durare decenni: al lettore che si affida a loro per sapere se il libro che sta leggendo è letteratura solitamente non basta la regolare vita terrena per ottenere risposta. Il Canone, poi, ha due difetti che lo rendono alquanto inaffidabile come risposta alla fatidica domanda: variabilità e strettezza. Non sto a sviluppare il concetto, tanto ci siamo capiti.

Aria di famiglia
Per rimediare all’angustia del Canone esiste una risposta che si potrebbe definire canone lasco o canone derivativo. Si tratta della famosa teoria dell’aria di famiglia: la letteratura è l’insieme dei testi che mostrano somiglianze più o meno marcate con opere che appartengono al Canone. Se leggendo, che so, il Don Chisciotte, un lettore secentesco notò una parentela con l’Orlando Furioso, e se l’Orlando Furioso all’epoca era canonico, quel lettore poteva concludere che il Don Chisciotte era letteratura proprio per via di quell’affinità.

Rispetto al Canone il metodo dell’aria di famiglia è più flessibile, più immediato e meno ristretto, e ha inoltre il vantaggio, diciamo democratico, di dare anche al lettore comune — cioè quello che ignora la differenza fra gliommero e frottola e che, per via di quel grammo di protervia che sempre si accompagna all’ignoranza, la ritiene irrilevante — la possibilità di stabilire per proprio conto che cos’è la letteratura.

A contrappeso di questi vantaggi si pone un aumento incontrollabile della variabilità, perché questo metodo è fortemente influenzato dal gusto di ciascun lettore, una faccenda sulla quale, come si sa, ogni obiezione è illecita. Ogni lettore troverà in un libro le somiglianze che il proprio gusto e le proprie letture canoniche pregresse gli suggeriscono, con esiti spesso discutibili: se il lettore secentesco di prima avesse letto e apprezzato, poniamo, l’Amadigi di Gaula, e avesse trovato il Don Chisciotte molto dissimile dal modello canonico, avrebbe potuto concludere che il Don Chisciotte andava bene per accendere il camino o per incartare il pesce, altro che letteratura.

Due risposte recenti
A dispetto di questi problemi, sembra che il rilassamento del concetto di canone stia guadagnando terreno presso chi si occupa di roba scritta a livello professionale. A titolo dimostrativo riporto due opinioni autorevoli. La prima, pur priva di supporto bibliografico, è reperibile in rete (per esempio qui):

La letteratura è qualcosa di scritto. [Giulio Mozzi]

La seconda si trova a pagina 26 del libro Il limbo delle fantasticazioni, Quodlibet 2010:

Se potessi legiferare, decreterei che la questione dell’arte sia d’ora in poi trascurata, e che la cosiddetta letteratura coi suoi generi (poesia, romanzo, eccetera), le sue figure (l’autore, l’opera, l’Opera Omnia), con la sua organizzazione di giudici, la sua rete di promozione, le sue teorie (e la domanda tipica: che cos’è la letteratura?), decreterei che la letteratura sia un caso particolare, piccolo (anche se supponente e aggressivo), del più vasto, vastissimo e libero limbo delle fantasticazioni. Dico limbo perché, come si sa, nel limbo sostavano i non battezzati; e dico fantasticazioni per sottrarre le scritture all’apparato ministeriale della letteratura. [Ermanno Cavazzoni]

Dalla letteratura alla scrittura
In entrambe le opinioni sopra citate si può notare uno slittamento del punto di vista dalla letteratura alla scrittura. Affermando che la letteratura è qualcosa di scritto, il Mozzi sfiora la tautologia e dichiara implicitamente che ciò che interessa al lettore (e selezionatore di testi da destinare alla pubblicazione, nel suo caso) non è tanto la rispondenza di un testo a un’idea data di letteratura, ma solo il fatto che quel testo è stato scritto. La letteratura, in altre parole, resta al livello di pura potenzialità e non influisce minimamente sul giudizio del lettore o sui suoi criteri di scelta: altri giudicheranno; io, nel frattempo, leggo comunque.

Anche la posizione del Cavazzoni, per quanto più articolata, mette l’accento sulla scrittura e relega la letteratura a caso particolare di un più vasto insieme di testi scritti, attribuendole perfino un ruolo burocratico assai poco lusinghiero: qui la letteratura è qualcosa a mezza strada fra un eccesso tassonomico e un vero e proprio fardello, qualcosa di cui ci si può comunque liberare senza troppe precauzioni, quando si tratta di scegliere cosa leggere.

Seguendo una o l’altra delle succitate autorità, insomma, il lettore che incautamente si trovasse a chiedersi “il libro che sto leggendo è letteratura?”, potrebbe rispondersi senza alcun timore “ecchissenefrega”. E il fatto che il lettore si faccia la domanda e si dia la risposta è un esito di quel movimento di allargamento e rilassamento del canone che abbiamo visto fin qui.

In conclusione
In conclusione, se mai un discorso qualsiasi può avere una conclusione, la domanda “Che cos’è la letteratura?” sta diventando sempre meno rilevante. A metà del secolo scorso Jean-Paul Sartre poteva intitolarci un serissimo tomo di seicento pagine facendo la sua porca figura da intellettuale raffinato. Oggi un docente di Estetica e Retorica (mica cotiche) come Ermanno Cavazzoni può liquidarla con divertito fastidio (e addirittura fra parentesi) e un esponente di rilievo dell’editoria nazionale come Giulio Mozzi può formulare una risposta educatamente elusiva.

Cosa è successo in questi ultimi sessant’anni, per rendere possibile cotanta caduta? Per rispondere ci vorrebbe un pippone a parte. Magari un’altra volta.

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8 Responses to “Che cos’è la letteratura?”

  1. […] Il seguito di questo articolo: Che cos'è la letteratura? « letturalenta […]

  2. gabrilu says:

    Apprendere che la letteratura è qualcosa di scritto mi racconsola (con accento sulla seconda “o”).
    Son consolazioni.

  3. letturalenta says:

    be’, anche raccònsola non era mica male.

  4. giuliomozzi says:

    Fu Pasolini a definire la sua opera estrema, “Petrolio”, come “qualcosa di scritto”. Ho presa da lì la mia definizione.

    Non mi pare, comunque, che sia una definizione elusiva. Se domando cos’è un cane, ci sono due possibilità:
    – o domando attorno all’essenza del cane;
    – o domando come si riconosce un cane, ossia come si distingue un cane da una qualunque altra cosa.
    Io metto da parte la questione dell’essenza, e dico: se c’è qualcosa di scritto, c’è letteratura. Così come, se c’è qualcosa che si mangia, c’è gastronomia.
    Il fatto che un certo oggetto appartenga alla classe degli “oggetti di letteratura” non comporta che sia bello o brutto, interessante o non interessante, eccetera. Così come il fatto che un certo altro oggetto appartenga alla classe delle “persone umane” non comporta che sia buono o cattivo.
    Quando diciamo che un certo “qualcosa di scritto” non è letteratura, intendendo dire che ci sembra brutto, stiamo facendo confusione. Come quando diciamo che una certa persona umana è disumana, intendendo dire che non corrisponde per nulla al nostro ideale di umanità.

    Poi, all’interno della classe degli “oggetti di letteratura”, si potranno distinguere svariate altre sottoclassi. Ma nessuna distinzione certa potrà essere fatta sulla base di un giudizio di valore; mentre con maggiore successo, anche se non sempre con successo completo, si potranno fare distinzioni sulla base di elementi materiali e facilmente accertabili da tutti.
    Ad esempio, il sesto corollario alla legge di Boskov (“Poesia è quando riga va a capo”) permette di stabilire con una sola occhiata se un certo testo sia prosa o poesia (benché ci siano le eccezioni, ossia certa prosa che si spaccia per poesia; e benché ci siano altre bizzarrie del linguaggio, per cui diciamo che in un certo testo in prosa c’è poesia, intendendo dire che lo troviamo bello, o che un altro testo è poesia, intendendo dire che è fatuo…).
    Il quindicesimo corollario alla legge di Boskov (“Romanzo è quando c’è scritto sopra”) permette di dirimere anche l’altra eterna domanda, cioè se il romanzo sia morto o no. Andate in libreria, guardate, troverete un scco di libri nuovi con su scritto “romanzo”: e tiràtene le conclusioni.
    Volevo fare un commento più lungo del lunghissimo (ma non tanto lunghissimo, suvvia) post; e ci son forse riuscito.

  5. letturalenta says:

    In un mondo di tweet e sms, qualsiasi testo più lungo di tre righe è lunghissimo.

    Quando chiedi come si distingue un cane da tutto ciò che non è cane, fai in realtà una domanda sull’essenza del cane, ovvero su ciò che il cane è. Il problema con la letteratura, credo, è che definire i confini non è un’operazione semplice. Se possiamo accordarci facilmente sul fatto che che un topo, un tavolo, un trattato di epistemologia o un arcobaleno non sono un cane, con la letteratura c’è qualche problema in più. Per esempio, siamo sicuri che un racconto tramandato oralmente non sia letteratura? Siamo sicuri che gli slogan pubblicitari che allignano nel nostro immaginario non siano letteratura? eccetera.

    Quel che sarebbe ragionevole secondo me (e anche secondo te, se dici che quando definiamo “non letteratura” quel che ci pare brutto facciamo confusione) è non legare la definizione a questioni di gusto, un “errore” che oggi come oggi mi sembra alquanto diffuso.

    Forse bisognerebbe partire da qualche postulato buttato lì senza troppe esitazioni, qualcosa del tipo “è evidente che un romanzo di Guido da Verona e uno di Italo Svevo sono due cose diverse”, e da lì lanciarsi a dedurre more geometrico l’essenza della letteratura. Ma anche no, ci mancherebbe, perché in fondo, come dicevo all’inizio del pippone, il sospetto che la domanda “che cos’è la letteratura?” sia completamente scema va sempre tenuto ben presente.

  6. giuliomozzi says:

    Luca, scrivi: “Quando chiedi come si distingue un cane da tutto ciò che non è cane, fai in realtà una domanda sull’essenza del cane, ovvero su ciò che il cane è”.

    Luca, questa è una sciocchezza. Si Plato hoc audiret, in sepulcro rotaretur. Ma mica solo lui.

    Non è per niente evidente che un romanzo di Guido da Verona e uno di Italo Svevo siano due cose diverse: è piuttosto evidente, invece, che sono entrambi la stessa cosa (un romanzo, per l’appunto).

    Anche le definizioni materiali sono imperfette. Ma sono meno imperfette di quelle fondate su un giudizio di valore. E, soprattutto, non si prestano a quel giochino retorico, per cui in un momento la parola “letteratura” indica effettivamente l’appartenenza a una classe verificabile con un esame obiettivo, e in un altro momento “letteratura” indica, all’interno di quella classe, i soli oggetti sui quali si esprime un giudizio positivo, e in un altro momento ancora si sostiene che l’intera classe è costituita dai soli oggetti sui quali si esprime un giudizio positivo. Ovvero: confusione permanente. E, per di più: razzismo.

    Il razzismo consiste nell’introdurre un giudizio di valore in una classificazione che di per sé non lo ammette. Il razzista non negherà mai, al giorno d’oggi, che “gli uomini sono tutti uguali”: ma ti spiegherà che non tutti i “cosi con due gambe” sono uomini; oppure che certi uomini sono più uomini di altri (le donne, ad esempio, non lo sono); eccetera.

    A me spiace che nell’atto di decidere che cosa è letteratura si adoperi lo stesso schema che il razzismo usa. E in più lo trovo poco pratico.

  7. letturalenta says:

    Boh, poi magari mi spieghi perché ho detto una sciocchezza. Mi accontento anche di una breve bibliografia sull’argomento, così magari ne approfitto per imparare qualcosa.

    Su una cosa mi sembra che concordiamo: definire la letteratura in base a un giudizio di valore (è letteratura solo quello che mi piace) non va bene.

    Non sono molto d’accordo, invece, sulla questione del razzismo: gli uomini non sono tutti uguali ed è una gran fortuna che non lo siano. Lo stesso si può (oserei dire si deve) dire dei libri. Per essere razzisti non basta elencare differenze e stabilire gerarchie di valore, bisogna farlo con cattive intenzioni e su basi infondate.

  8. Roberto says:

    Più di tre anni dopo… Anche voi siete letteratura: superate il fosso del tempo (del lettore, quantomeno). E innanzitutto, complimenti. C’è ancora intelligenza in giro e voglia di capire…

    Direi, letteratura è sì qualcosa di scritto, ma non tutto quello che è scritto è letteratura (la storia è letteratura? e la fisica? No!). Letteratura è uno scritto nella forma di una ‘invenzione’, o comunque in quella espressa dalla libertà creativa che uno spirito (lo scrittore) crea applicandosi ad un oggetto (reale o immaginario). Ed in questo si vede come il ‘fine’ (per di più pratico) nella letteratura non c’è. C’è invece l’arte (ed il talento); anche se a scrivere si è spinti da un motivo pratico (come lo sfamarsi nel caso di Dumas); così come nel caso della scrittura per ispirazione, scrittore è colui che in ogni caso sa dare giustificazione di ciò che ha scritto (Dante). E da qui mi pare che la questione si sposti su: chi è lo scrittore? Io sento di rispondere, in maniera estremamente sintetica (quindi saltando tante precisazioni, non restrizioni): è innanzitutto uno che ha del talento…

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