Archive for November, 2010

Mangagenda

Saturday, November 27th, 2010

Giorgio Manganelli

Scheda della mostra
sedizioni, tel. 02 720 000 55, citofono10@me.com

E inoltre:

Presentazioni bolognesi dell’Album fotografico di Giorgio Manganelli, Quodlibet 2010:

Venerdì 3 dicembre, ore 18, Libreria delle Moline, Via delle Moline 3
Presenta Lietta Manganelli con Jean Talon e Filippo Milani

Venerdì 3 dicembre, ore 21, Spazio Bartleby, Via san Petronio Vecchio 30/a
Presenta Lietta Manganelli con Ermanno Cavazzoni e Filippo Milani

Gombloddone

Friday, November 26th, 2010

«Il ministro degli Affari esteri, Franco Frattini, ha riferito su vicende delicate che rappresentano il sintomo di strategie dirette a colpire l’immagine dell’Italia sulla scena internazionale. L’attacco a Finmeccanica, la diffusione ripetuta di immagini sui rifiuti di Napoli o sui crolli di Pompei, l’annunciata pubblicazione di rapporti riservati concernenti la politica degli Stati Uniti, con possibili ripercussioni negative anche per l’Italia, impongono fermezza e determinazione per difendere l’immagine nazionale e la tutela degli interessi economici e politici del Paese. Tale intento è stato unanimemente condiviso dal Consiglio, si legge nella nota di Palazzo Chigi diffusa al termine del Cdm».

Evvai col gombloddone!

(No, scherzi a parte, qualcuno mi dica che non è vero. Qualcuno mi dica adesso che non può esistere davvero un ministro degli esteri così. Qualcuno mi dica che almeno un altro ministro, un sottosegretario o un portaborse gli ha riso in faccia. Qualcuno mi garantisca che cotanto deserto intellettuale e politico può appartenere solo a un sogno o a una commedia).

Dispiacenze

Thursday, November 25th, 2010

Cose di cui si occupavano i parlamentari cinquant’anni fa. Sublime.

Il sottoscritto chiede d’interrogare il ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per conoscere se non intenda autorevolmente intervenire presso la R.A.I.-TV., perché utilizzi per la formulazione dei quesiti persone, che, conoscendo bene la storia, non determinino confusioni e dispiacenze veramente deplorevoli.

Nella trasmissione del 21 gennaio 1960 di “Campanile sera” il presentatore formulò ai rappresentanti del comune di Castelfranco Veneto in competizione con quelli di Manfredonia la seguente domanda: “Come si chiama il generale napoletano che sfidò a duello Lamartine?”.

La domanda era evidentemente errata, in quanto il generale Gabriele Pepe, che sfidò il Lamartine, non era napoletano, ma molisano, essendo nato a Civitacampomarano, ridente comune del Molise.

[Interrogazione presentata il 9 febbraio 1960 dal deputato liberale Francesco Colitto]

Vajassa

Wednesday, November 24th, 2010

vajassaCome tutti tranne Alessandro Sallusti sanno, vajassa in napoletano significa “Donna volgare, serva, servetta”. In un’intervista al TG2 Pino Daniele, uno che di Napoli se ne intende, ha detto che le vajasse sono popolane, donne di modi non precisamente raffinati, ma che non possono in alcun modo essere equiparate a prostitute (siano benedette dagli infiniti numi dell’umana storia) o donnacce.

Eppure Alessandro Sallusti si prende la briga di tradurre: «la Carfagna ha aggiunto, come postilla, che la sua collega deputata Alessandra Mussolini è una vajassa (donnaccia)». Perché? Non l’ha fatto il Mattino nell’intervista a Mara Carfagna, non l’ha fatto l’Ansa e nemmeno il Tgcom del gruppo Mediaset. Sallusti sì, pur sapendo, come dice poche righe dopo, che «prestigiosi linguisti stanno disquisendo sull’esatto significato della parola, che in alcune traduzioni potrebbe anche non avere un senso necessariamente o certamente offensivo».

Ma Sallusti, uomo pragmatico, uno che bada ai fatti, mica alle chiacchiere accademiche, se ne frega dei linguisti, Sallusti. Lui, nato a Como e direttore di un giornale milanese, preferisce tradurre il napoletano un po’ così, all’impronta, prode guerriero che affronta lingue sconosciute a mani nude senza nemmeno l’usbergo di un dizionario.

Perché? Perché Sallusti, scrivendo quell’articolo, aveva un urgente bisogno di invertire il ruolo dei due personaggi coinvolti nella vicenda. Stando alla cronaca, Mara Carfagna è stata offesa per prima da Alessandra Mussolini, la quale, con gesto di signorilità più prossima a quella dei bulletti di quartiere che a quella di una persona bene educata, ha fotografato la ministra con un telefonino nell’aula di Montecitorio, mentre conversava con il capogruppo dei finiani. Sallusti doveva urgentemente additare Mara Carfagna — rea di tentato allontanamento dal partito del Capo — come colei che dà della donnaccia a un’alleata. Gli alleati del Capo non possono avere torto, i suoi nemici non possono avere ragione. Per un bravo servitore del Capo, rendere antipatici al pubblico i suoi avversari del giorno val bene una traduzione a cazzo di cane.

Peraltro Sallusti è uno che di inversione di torti e ragioni se ne intende. In una recente intervista al Fatto ha dichiarato: «Scoprii solo da studente, su un libro scolastico della Laterza, che mio nonno, Biagio, tenente colonnello sulla piazza di Como, finito a Salò senza essere stato fascista, era stato fucilato dai partigiani. (…) Scoprivo che dopo quattro vigliacchi rifiuti dei suoi superiori di grado, perché la Repubblica di Salò era ormai alla fine e i partigiani alle porte, mio nonno aveva accettato di dirigere il tribunale che doveva giudicare Aldo Pucher, partigiano accusato per l’omicidio del federale Aldo Resega».

Meno male che in rete c’è la nipote di Giancarlo Puecher*, pronta a scorciare le già corte gambette delle panzane sallustiane. Già, perché Giancarlo Puecher** non fu condannato a morte quando «la Repubblica di Salò era ormai alla fine», ma il 23 dicembre 1943, cioè all’alba dei nefasti repubblichini. Giancarlo Puecher fu condannato a morte per rappresaglia, non per omicidio. Giancarlo Puecher fu condannato a morte da un tribunale speciale fascista, non da un generico tribunale, e solo un fascista poteva dirigere un tribunale speciale fascista, dunque il nonno di Alessandro Sallusti non poteva non essere fascista.

Tre balle in sei righe, e anche queste mirate al medesimo effetto: scambiare torti e ragioni, vittime e carnefici. Lascio al lettore il non arduo compito di stabilire chi è la vajassa in questo caso.

——
* Articolo che merita una lettura integrale.
** Alessandro Sallusti è anche dev’essere uno che si diverte a storpiare i nomi di chi non gli va a genio, un po’ come i bambini dell’asilo.

Dimissioni

Monday, November 22nd, 2010

Senza allontanarsi dal porto sicuro del sine die, Benedetto XVI ha considerato la possibilità delle dimissioni se una malattia non gli permettesse più di guidare la Chiesa.

Il Dalai Lama, invece, medita di ritirarsi a vita privata entro sei mesi. Siamo ancora nel campo delle ipotesi (meditare non è decidere), ma almeno c’è l’indicazione di una data, per quanto approssimativa.

Mara Carfagna ci ha messo giorno mese e anno: il 15 dicembre 2010 si dimetterà da parlamentare e ministro, e restituirà la tessera del partito.

Sbaglierò, ma secondo me il 16 dicembre saranno ancora tutt’e tre al loro posto.

Si è invece dimesso per davvero, e senza tanti preamboli, il ministro della giustizia Minoru Yanagida, giapponese, per aver fatto una battuta di spirito scorretta. Poi dicono che tutto il mondo è paese.

Una vertigine geometrica

Saturday, November 13th, 2010

Tullio Pericoli: Giorgio Manganelli, china su carta, 1986. Tratto da Woody, Freud e gli altri, Garzanti 1988

[Pericoli, Giorgio Manganelli, 1986, china su carta 35×28 cm, tratto da Tullio Pericoli, Woody, Freud e gli altri, Garzanti 1988]

Un libro non si legge; vi si precipita; esso sta, in ogni momento, attorno a noi. Quando siamo non già nel suo centro, ma in uno degli infiniti centri del libro, ci accorgiamo che il libro non solo è illimitato, ma è unico. Non esistono altri libri; tutti gli altri libri sono nascosti e rivelati in questo. In ogni libro stanno tutti gli altri libri; in ogni parola tutte le parole; in ogni libro, tutte le parole; in ogni parola, tutti i libri. Dunque questo «libro parallelo» non sta né accanto, né in margine, né in calce; sta «dentro», come tutti i libri, giacché non v’è libro che non sia «parallelo».
[Giorgio Manganelli, Pinocchio, un libro parallelo, Einaudi 1977, pag. 101]

[Qui termina la parte essenziale del post. Segue postilla]

Immagine vertiginosa, questa di Manganelli, ma è una vertigine non ignara di geometria, sebbene si tratti di una geometria imparentata con l’allucinazione. Immaginare una figura geometrica dotata di infiniti centri — e tale da contenere infinite figure parallele che a loro volta la contengono — è un’impresa da spaccarsi la testa. Eppure basta leggere due o tre libri per sentire verosimile questa rappresentazione della lettura, esperienza appunto vertiginosa, infinita caduta in un precipizio (un libro non si legge; vi si precipita), ma non priva di una sua geometrica esattezza.

Il precipizio è immobile. Il libro, infatti, sta, e come il libro stanno le parole, mentre il lettore è (quando siamo non già nel suo centro…). Il sistema universale che contiene tutti i suoi simili è immobile, ma predisposto per accogliere il moto del lettore in caduta. Si noti infine che il contenuto del libro comprende il lettore che vi precipita dentro. Durante la caduta il lettore occupa di volta in volta uno degli infiniti centri del libro — centri che supponiamo essere parole, spazi tra parola e parola e tra riga e riga, segni di interpunzione, pagine e margini — e da ognuna di queste posizioni provvisoriamente centrali il lettore ha accesso non solo al libro intero, ma a «tutti gli altri libri», cioè a quella parola che di questi tempi è pericolosissimo pronunciare: letteratura.

Abbiamo dunque un universo immobile e infinitocentrico, quindi infinitamente periferico, poiché ogni centro implica una periferia. Il libro, infatti, «sta, in ogni momento, attorno a noi». Il libro è costantemente periferia del lettore precipitante. La periferia è un luogo inafferrabile; «sta attorno», e una volta raggiunta non è più periferia, ma centro. Abitare in periferia è un paradosso, perché la periferia è irraggiungibile, quindi inabitabile. Il lettore non può abitare nel libro, ma solo essere costantemente e infinitamente al suo centro. E in questo essere si annida il mistero della lettura.

La visione di Manganelli è un rovesciamento totale del modo in cui la lettura viene comunemente intesa. Quante volte, lettore, ti sarà capitato di sentirti dire che un libro va capito, che un testo va compreso? Comprendere e capire sono verbi che suggeriscono un’azione di contenimento. Secondo questa lezione diffusa e, ahimè, completamente irragionevole, il lettore dovrebbe contenere il libro, esserne margine e periferia, fornirlo di confini. Ma il libro, avverte Manganelli, è «illimitato» e non tollera contenitore diverso da «tutti gli altri libri». Non si può capire un libro ma solo essere capiti dal libro. Non si può comprendere un testo, o una parola, ma solo esserne compresi. Non si può leggere, ma solo essere letti. In questo senso il mistero della lettura è tutto in quell’essere nel libro.

In realtà ci sarebbe un modo per capire i libri, per comprenderli: diventare libro, rinunciare alla cara figura antropomorfica che tanto amiamo contemplare allo specchio e trasmutarci in volumi rilegati o brossure o rotoli ricoperti di scrittura. Solo un ipotetico lettore-libro può contenere tutti i libri, capirli e comprenderli. Il lettore disposto ad affrontare questa metamorfosi è destinato a riempire di sé medesimo gli scaffali di molte librerie.

Comiche

Friday, November 12th, 2010

Marco Martellini, Homo ridens: tributo semiserio a Darwin, 2009, tratto da http://www.fanofunny.com/guests/ortica/index.html

Giorgio Almirante è uscito da tempo dal consesso dei vivi, lasciando da questa parte dell’universo, come spesso accade, il fardello di una vedova, tale Raffaella Stramandinoli, nota ai più come Donna Assunta Almirante, nei secoli devota non solo alla persona del marito ma anche alle sue idee politiche.

Dopo la morte del marito Donna Assunta Almirante fu dichiarata reliquia del MSI e collocata in un’apposita teca memoriale da cui viene tolta ogni tanto per ragioni che ignoro, ma che suppongo più prossime al folclore che all’analisi politica. Ieri, per esempio, è stata intervistata per Annozero.

Oltre alle solite sciocchezze nostalgiche che il telespettatore paziente e compassionevole perdona facilmente a una reliquia — tipo che non c’è più la destra di una volta e che il saluto romano era igienico — Donna Assunta Almirante ha dichiarato in tono indispettito che l’attuale legge elettorale non va bene perché non ci sono le preferenze, a suo avviso utilissime per consentire al cittadino di darsi dello scemo da solo per aver concesso la preferenza a un uomo* che non la meritava.

E ha concluso, Donna Assunta Almirante, passando con raro senso del climax dal dispetto all’indignazione: «Parlano di democrazia? Questa non è democrazia. Questa è dittatura!»

Ecco, vedere una reliquia del fascismo indignarsi contro la dittatura** è stata una scena stupenda, impagabile. Confesso di aver riso e di ridere tuttora, dapprima di un riso in ih non privo di sadismo, poi della grassa risata in ah che si addice alle comiche.

——
* Ha detto proprio uomo. Probabilmente Donna Assunta Almirante considera irreale l’ipotesi che a candidarsi sia una donna.
** Minuto 2:30 circa.

Alluvione

Tuesday, November 9th, 2010

La cosa migliore che ho letto fin qui sull’alluvione nel vicentino è questa.

In rete circolano i peggiori (ri)sentimenti verso gli alluvionati veneti, riassumibili in un motto di questo tipo: “Avete votato quei razzisti xenofobi secessionisti della Lega Nord? Mo arrangiatevi”.

Non sono d’accordo.

Giorgio Manganelli

Monday, November 8th, 2010

Tratto da http://ricciardalenzi.files.wordpress.com/2008/08/giorgio-manganelli.jpg

Il 28 maggio 1990, vent’anni e rotti fa, moriva, ohimè!, il massimo fool d’ogni tempo delle patrie lettere: Giorgio Manganelli. Il giorno della sua morte coincide con il compleanno del mio migliore amico dell’adolescenza. Il giorno della sua nascita, il 15 novembre, coincide con il giorno in cui io nacqui, esattamente quarant’anni dopo di lui. Combinando il giorno della sua e della mia nascita e l’anno della sua morte, il 1990, si ottiene la data di morte di mio padre, amaro regalo di compleanno. Poi dicono che le cose accadono per caso.

Oggi, cioè ieri (il tempo manganelliano, si sa, ignora la diacronia), il mio amico Armando Adolgiso ha dedicato al nostro un servizio doppio sul suo quotidiano Cosmotaxi, che comprende un rapido e sapido botta e risposta con Lietta Manganelli, figlia del Mangagnifico e infaticabile curatrice della sua opera. Fiondatevi al succitato link per saperne di più.

L’opera più che meritoria di Lietta Manganelli oggi rischia di soccombere per mancanza di fondi. Ne ho già parlato, quindi sono titolato a replicare il messaggio fino alla noia: lettori di Giorgio Manganelli, allentate OGGI i cordoni della borsa! Se non volete che l’opera di recupero e conservazione di scritti manganelliani debba cessare per mancanza di fondi, sganciate OGGI il vostro obolo su uno dei seguenti conti, entrambi intestati a Manganelli Amelia Antonia:

— Conto corrente bancario: Cassa di Risparmio di Firenze, filale 5024 Navacchio (Pisa), IBAN: IT77 Z061 6070 9510 0000 0004 248
— Carta Postepay: 4023 6004 5085 3959

E se non avete voi il pekulio necessario, parlatene in giro, in rete e fuori. Qualche oscuro angelico mecenate vi ascolterà.

Aforismi concatenati della domenica

Sunday, November 7th, 2010

L’imbecille dubita che l’interlocutore sia alla sua altezza. Il sapiente dubita di essere all’altezza dell’interlocutore.

L’imbecille, infatti, è pieno di sé, mentre il sapiente è pieno dell’altro e dell’altrove.

Per via di questo diverso rapporto con l’altro, l’imbecille è convinto* di essere sapiente, mentre il sapiente non esclude la possibilità** di essere imbecille.

Da questo paradosso deriva l’eterna maledizione del mondo, condannato da non so quale nume ironico a essere dominato dagli imbecilli.

Quanto a me, non escludo la possibilità di essere il re degli imbecilli.

——
* L’imbecille è sempre convinto di qualcosa.
** Il sapiente tende a pensare in termini probabilistici, quindi non sarà mai pienamente convinto di alcunché.

Terroristi, pedofili e mafiosi (nonché rettiliani)

Saturday, November 6th, 2010

Pare, si dice, si mormora che il decreto Pisanu — un tizio che vede anarchici insurrezionalisti appostati con una bomba innescata a ogni angolo di strada — sia prossimo alla decadenza. Il decreto Pisanu è quello che obbliga chi vuole connettersi a una rete wi-fi pubblica (sul concetto di pubblico in Italia ci sarebbe da scrivere un’epopea surrealista) a esibire documenti e marche da bollo come se stesse chiedendo la licenza di uccidere.

Quello che ci hanno sempre raccontato i nostri governanti — gente che ignora la differenza tra un governo democratico e una polizia segreta — è che il controllo sull’accesso alle reti pubbliche è parte integrante della gloriosa lotta dello stato alla malavita organizzata e al terrorismo internazionale. Mostruosa stupidaggine a cui risponde bene Giorgio Jannis sul suo blog:

E quindi, tagliamo la fuffa: io vorrei sapere quante indagini di polizia o di un magistrato su questioni di terrorismo sono state impostate in italia negli ultimi cinque anni, che abbiano riguardato o consultato i tabulati delle connessioni pubbliche. Voglio i fatti, i numeri, le quantità. Voglio sapere se questo pateracchio tutto italiano ha fatto del bene al paese, oppure voglio sapere se negli altri Paesi europei o negli Stati Uniti, dove non si dà il caso che il wifi sia disponibile solo dopo autenticazione, sono cretini a non averlo fatto.

Ce lo dica il ministro degli interni Maroni — quello convinto che la massima insidia alla sicurezza nazionale sono i rom — e ce lo dica anche il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, che su questo specifico argomento sembra appiattirsi sull’incompetenza governativa.

Bisogna rendersi conto — ha concluso Grasso — che dietro queste reti Wi-Fi e internet point ci si può nascondere benissimo nella massa degli utenti non più identificabili e si possono trovare anche terroristi, pedofili e mafiosi.

Sì, Grasso, ce le immaginiamo proprio le torme di terroristi, pedofili e mafiosi (nonché rettiliani) subdolamente nascoste dietro le reti wi-fi, e soprattutto siamo convintissimi, guardi, che oggi come oggi, grazie alla formidabile destrezza investigativa di Pisanu, questi banditi per connettersi alle reti pubbliche mostrano un documento di identità autentico e utilizzano carte di credito e sim card intestate a loro.

Il pekulio degli scrittori

Friday, November 5th, 2010

Giorgio Manganelli, Borborigmi di un'anima, Aragno 2010, a cura di Lietta ManganelliDel millenario problema di come sfamare i folli che decidono di campare scrivendo capolavori in poesia o in prosa si parla in questi giorni su Lipperatura.

La questione fu affrontata da Giorgio Manganelli cinquant’anni fa, quattro prima di pubblicare il suo primo libro. Luciano Anceschi gli aveva chiesto di curare una rassegna inglese su «il verri».

***

Roma, 13 gennaio 1960

Carissimo Anceschi,
[…] Non ti nasconderò qual è il problema pratico di fondo: io ho a mia disposizione assai poco tempo, poiché debbo acconciarmi a lavori non illustri, ma retribuiti, lavori cui non mi è possibile rinunciare per attendere ad altri più secondo il cuore mio, ma più ascetici e parchi. In proposito, con candore emiliano, vorrei chiederti: quanto pensi che possa offrire il Verri per questa collaborazione? E il problema dell’acquisto dei libri? Certi libri di cui vale la pena parlare sono assai costosi. Il problema è tutto qui: leggi bronzee dei salari, congiunture pratiche, sobrietà di ministeri collaborano a fare di me un bracciante delle lettere; né per ora vedo diverse prospettive. [Giorgio Manganelli, I borborigmi di un’anima, Aragno 2010, pag. 33]

***

(Il termine pekulio è usato da Manganelli in altra e più tarda lettera ad Anceschi. Il libro sopra linkato, a cura e con postfazione di Lietta Manganelli, è ovviamente da comprare e leggere, assieme al volume di lettere familiari Circolazione a più cuori. Non tra un po’: subito!)

Breve meditazione sulla solitudine di una rosa

Thursday, November 4th, 2010

A volte capiterà anche a te, lettore periferico e saltuario, di chiederti se la lettura serve a qualcosa o se non sia piuttosto una forma mascherata di vagabondaggio, un desiderio inconfessabile di nulla, di vuoto, di assenza, assenza di fatica e di dolore, in primo luogo.

A me talvolta succede. Non tanto spesso, per carità, altrimenti va a finire che comincio a raffigurare me stesso in una di quelle orrende pose da aspirante intellettuale, come uno che si fa fotografare con la mano chiusa a sostenere il fardello di una pesantissima intelligenza, lo sguardo intensamente perduto in meditazioni così profonde da condurre il soggetto all’annegamento mentale.

Però a volte succede, specialmente dopo aver speso una manciata di mezzore a leggere un romanzuccio tristanzuolo e pretenzioso, sebbene da molti laudato un po’ a paperella, l’uno via l’altro, quasi per contagio epidemico di idee ricevute.

Quando arriva la fatidica domanda — serve a qualcosa leggere? — il rischio maggiore che si corre è tentare di darsi una risposta. Le risposte a domande del genere sono una forma di consolazione simile a quella di cui chiunque si sarà gratificato almeno una volta nella vita, trovandosi in un precipizio di estremo bisogno o pericolo, quando la mente comincia a ripetere ossessiva «no, non succederà nulla di male; ora l’abisso si ritira e io rimetto i piedi a terra; verrà l’angelo a farmi da paracadute; dopo lo schianto mi rialzerò come se niente fosse stato».

Poi, nel bel mezzo di questo stato allusivamente depressivo che solo la rilettura integrale di Guerra e pace potrebbe risolvere, capita che il feed di un blog ti restituisca questa frase:

morte e vita sono una rosa sola

Un frammento poetico incastonato in una prosa diaristica, un verso isolato e segnato dall’ipotesi, non so quanto fondata, di dovere l’esistenza a un refuso, a quel rosa che il senso comune esigerebbe essere cosa.

La lettura serve a qualcosa? Serve, serve, a patto di non vanificare la riposta positiva con una teoria di inutili perché e percome.

Appello per la salvezza di Marco Palasciano e dei suoi convegni

Tuesday, November 2nd, 2010

[Ricevo e divulgo. lt]

Anime gentili,
sono preoccupato per le mie lezioni-spettacolo, tanto belle (diciamolo) e tanto a rischio d’andare sprecate; non vorrei dovermi ridurre a tenerle per solo uno o due spettatori; fatico moltissimo per prepararle, e lo faccio completamente gratis et amore deorum, oltreché humanorum.

Vi imploro perciò in ginocchio, con tutta la gonalgia, di aiutarmi a adunare degna folla, per le prossime puntate; di contattare quanti più possibile Vostri amici, amanti, parenti e conoscenti interessabili; di diffondere la notizia di La Grande Ruota delle Umane Cose (che ha luogo tutti i venerdì alle 20.30, salvo variazioni, a Palazzo Fazio, in Capua, ancora per tutto novembre e fino a Natale) con tutti i mezzi possibili: a voce in conciliaboli, riunioni di Vostri enti, e vari eventi, nonché per radio e televisione ove si possa; a lettere via stampa, sul web, e tramite sms se non Vi costano; sensibilizzando al far tale promozione buone persone che abbiano accesso ai media, o siano addentro a centri culturali, scuole, atenei e cerchie le più varie; e in ogni modo che vi paia degno.

Tutte le informazioni sugli argomenti in gioco, e qualche degna foto del già fatto, le trovate su http://palasciania.splinder.com o http://studi.splinder.com. Se altri dati vi servono, chiedete e Vi dirò.

Vi sarò grato, oltremisura; bacio intanto le Vostre mani sante. Vostro per sempre

Marco Palasciano