Archive for February, 2011

Segni forti di declino civile ed estetico

Monday, February 28th, 2011

Il titolo scelto da Giornalettismo per l’ultima fatica letteraria di Federico Moccia è acidissimo, ma non ingiusto: Povera Yara, dopo la morte le tocca anche Moccia.

Il fecondo re della prosa melenso-pop ha infatti deciso che il mondo non poteva fare a meno di uno svolazzo moccesco sulla tragedia di Brembate e, dopo lunga e sofferta riflessione ha partorito una lettera, che nel vano tentativo di commuovere tocca apici irraggiungibili di sentimentalismo posticcio e cattivo gusto, terminando con con un capolavoro di umorismo macabro involontario — “io e tutti gli altri che amano, piangiamo con te” — rivolto a una persona che disgraziatamente non potrà mai più piangere.

Se mai ci fosse bisogno di segni forti del declino civile ed estetico che affligge l’Italia, questo sgorbio di Moccia sarebbe perfetto. Vado a vomitare.

A proposito di scuola pubblica

Monday, February 28th, 2011

Oggi siamo governati da un presidente del consiglio pagliaccio che spara ad alzo zero sulla scuola pubblica e da una ministra della pubblica istruzione pagliaccia che non si sente in dovere di difenderla. Sessant’anni fa sulla scena politica non c’erano pagliacci, ma persone serie come Piero Calamandrei. (via pessima)

Piero Calamandreidiscorso pronunciato al III Congresso in difesa della Scuola nazionale a Roma l’11 febbraio 1950

Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve riuscire a far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito.

Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito. Ma c’è un’altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime… Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina. L’operazione si fa in tre modi: ve l’ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico”

Il governo del fare

Friday, February 25th, 2011

Se non ci fosse di mezzo una tragedia di dimensioni ancora ignote, ci sarebbe di che ridere a crepapelle di fronte allo spettacolo di insipienza e dilettantismo del governo italiano di fronte all’evoluzione della crisi libica.

Il ministro della difesa si dice pronto a mandare i militari in qualunque zona della Libia per recuperare italiani in difficoltà, ma solo se autorizzato dal ministro degli esteri, il quale nel frattempo resta in attesa di ricevere istruzioni dal presidente del consiglio, cioè da quello che all’inizio della crisi non telefonava a Gheddafi per non disturbarlo.

Il ministro degli interni — lo stesso che ha appaltato a Gheddafi la gestione dei flussi migratori dal nordafrica fregandosene allegramente delle convenzioni europee e internazionali — adesso piagnucola che l’Europa — cattivona! — non vuole aiutarlo, e a dargli manforte interviene il ministro della difesa, il quale — per ingannare il tempo mentre aspetta l’autorizzazione del ministro degli esteri, che intanto aspetta istruzioni dal presidente del consiglio — sbraita che presto arriveranno qui migliaia, ma che dico migliaia, milioni di profughi! Ci invaderanno! Usciranno dalle fottute pareti!

Nel frattempo il presidente del consiglio si è prudentemente fatto di nebbia. Facile prevedere che ricomparirà soltanto a crisi risolta, dichiarando giulivo che tutto si è sistemato solo grazie a lui.

Questi, si badi bene, sarebbero quelli del governo del fare. Sì, del fare pena in mondovisione.

Signore

Tuesday, February 22nd, 2011

In treno, tra Roma e Bologna, furono mie compagne di viaggio una giovane filippina e sua figlia di quattro anni. Entrambe sfoggiavano splendidi sorrisi color nocciola. La bimba mi mostrava i disegni colorati che andava creando su un quadernetto, mentre la madre mi raccontava le imprese di una donna di nome Signora, dicendo ogni tanto alla bambina: non disturbare il signore. Poco prima del mio arrivo (loro proseguivano per Milano), la mamma mi domandò: signore, anche tu a casa tua hai pilippina?

Cento disegni per Centuria

Saturday, February 19th, 2011

Per informazioni:
Istituzione Biblioteca Classense, Via Baccarini 3, 48121 Ravenna.
Tel 0544 482112 — segreteriaclas@classese.ra.it — www.classense.ra.it

Paolo della Bella in Wikipedia.

PRESENTAZIONE della mostra (Dal sito di Paolo della Bella)
di Carlo Tossi

«Ho l’impressione che i racconti di Centuria siano un po’ come i romanzi cui sia stata tolta tutta l’aria. Ecco: vuole una mia definizione del romanzo? Quaranta righe più due metri cubi d’aria. Io ho lasciato solo le quaranta righe: oltretutto occupano meno spazio, e lei sa bene che con i libri lo spazio è sempre un problema enorme».

Questa citazione di Giorgio Manganelli, Paolo della Bella ce l’ha scolpita in testa e l’accompagna da molto tempo in tutte le sue elucubrazioni artistiche; per lui, non a caso amante dei racconti più che dei romanzi, togliere l’aria non vuol dire necessariamente togliere il superfluo, convinto com’è che esista anche un superfluo necessario. Manganelli, sostiene della Bella con inconsueta risolutezza, ha tolto sì l’aria, ma solo quella cattiva: l’aria che asfissia… il lettore! Perché allora non “usarli” questi racconti fatti di sola aria balsamica, si è detto; e, proprio come Manganelli, si è imposto il formato (22×31,7). «Avevo per caso molti fogli da macchina leggermente più grandi del normale, – è sempre Manganelli che parla – e mi è venuta la tentazione di scrivere sequenze narrative che in ogni caso non superassero la misura di un foglio: è un po’ il mito del sonetto, cioè di una struttura rigida e vessatoria con la quale lo scrittore deve necessariamente misurarsi. Ma il fascino è tutto qui: in un tipo di scrittura che ti obbliga all’essenziale, che ti costringe a combattere contro l’espansione incontrollata. Insomma credo che se non avessi avuto quei fogli non sarei mai riuscito a scrivere questo libro».

Cento disegni per Centuria. Questa mostra non nasce per caso, anche se il caso gioca la sua parte, come direbbe Dubuffet; l’idea di farsi trascinare dai racconti di questo splendido libro, pieno di stimoli, di sollecitazioni e provocazioni, era troppo seducente e lusinghiera per un disegnatore, anch’esso anomalo, paradossale e, perché no, oserei dire manganelliano. Paolo della Bella non ha e non ha voluto illustrare i racconti, è un compito che non gli compete, lui non rappresenta, ma interpreta. D’altra parte non si trattava di fare un’operazione editoriale, che so un “libro parallelo” bensì una mostra, anche se una mostra di disegni tratti o ispirati da un libro di racconti assurdi, surreali, fantastici; scritti da «uno scrittore che non assomiglia a nessun altro, inconfondibile in ogni sua frase, un inventore inesauribile e irresistibile nel gioco del linguaggio e delle idee», come scrive Italo Calvino nell’introduzione all’edizione francese di Centuria datata 1985. Paolo della Bella che ha letto Manganelli, che lo ha “consultato”, perché credo che Manganelli sia un autore anche da consultare, ha per Centuria una venerazione particolare; questi cento piccoli romanzi fiume lo hanno ispirato, guidato e “ossessionato” con la loro verità menzognera, la loro stravagante bizzarria. Questi disegni, altrettanto menzogneri e apparentemente incoerenti, rappresentano, proprio come i racconti, la sintesi tra l’essenziale e la ricercatezza; tra la spontaneità e la costrizione. Tuttavia, anche per la natura stessa dei racconti, essi non hanno influito direttamente e/o necessariamente sui disegni, ma si sono insinuati nella coscienza critica, nella personalità, di questo curioso e stravagante artista. Egli ci racconta che dopo aver letto, anni fa, e riletto, di recente, proprio per predisporsi a questa impresa, Centuria, di averlo poi chiuso e, alla maniera di Paul Klee (scusatelo forse si è lasciato un po’ prendere la mano), ha «chiuso [anche] gli occhi per vedere»!

Il suo amico

Wednesday, February 16th, 2011

Il suo amico sembra avere una curiosa disposizione a percepire le cose inesistenti, o assenti, con la stessa forza, se non con una forza più intensa, con la quale una persona qualunque percepisce le cose esistenti e presenti.

[G.Mozzi, Lettera accompagnatoria, in Questo è il giardino, Theoria 1993, Mondadori 1998, Sironi 2005].

Il primo racconto di Giulio Mozzi compie vent’anni, e come regalo ha scelto di regalarsi a noi lettori in comodo e gratuito formato elettronico.

Nemesi

Tuesday, February 15th, 2011

Oggi il gip di Milano Cristina Di Censo ha rinviato a giudizio Berlusconi per concussione e prostituzione minorile. Il processo, vero e proprio terremoto istituzionale, inizierà il 6 aprile.

Sempre oggi, durante la discussione del decreto “milleproroghe”, il Senato ha approvato un emendamento che istituisce la Giornata della memoria per le vittime del terremoto de L’Aquila e di altre calamità. La giornata è stata fissata per il 6 aprile, anniversario del terremoto aquilano del 2009.

E allora? Niente, è solo che oggi la nemesi va di moda, e non volevo far mancare il mio prezioso contributo.

L’inquieta zitella

Tuesday, February 15th, 2011

La maestra aveva quarant’anni e non era sposata. Le quarantenni non sposate erano chiamate zitelle dal popolino illetterato. La maestra zitella non si arrabbiava: ella si inquietava, perché, diceva, secondo la lingua italiana ad arrabbiarsi sono i cani, mentre gli esseri umani, che cani non sono, si inquietano. Quando si inquietava, la maestra urlava: io mi domando e dico! Nessuno di noi bambini ha mai saputo che cosa si domandasse l’inquieta zitella, né ella aggiunse mai un vero detto al dico.

Già si fa fatica a trovarne

Tuesday, February 8th, 2011

Il soprannome di Mario era Busone. Se qualcuno lo salutava con un ciao Mario, quasi si offendeva. Mario non aveva mai nascosto la propria omosessualità, anzi, ci teneva molto a far sapere in giro che gli piacevano i maschi, perché, diceva, già si fa fatica a trovarne, figùrati se pensano che mi piacciono le donne. Passata la sessantina, ricordando gli amori eroici della gioventù, concludeva: eh, alla mia età, con il cuore che comincia a perdere colpi, i bocchini è meglio farli che farseli fare.

Poche pippe

Tuesday, February 1st, 2011

Mengoli Antonio di mestiere faceva lo spazzino. Quando al bar arrivava uno nuovo, si presentava a voce alta: Mengoli Antonio, spazzino assunto con contratto a tempo indeterminato presso l’azienda municipalizzata della nettezza urbana, AMNU. Sempre così, anche quando l’AMNU divenne AMIU, poi ACOSER, SEABO e chissà cosa. Un giorno, era ormai prossimo alla pensione, aggiunse: adesso ci chiamano operatori ecologici, ma a me non mi fregano: finché lavoro con la ramazza io sono spazzino, poche pippe.