Quando si dice letteratura 2

Ho copiato testi di circa 5.000 caratteri in un editor di testi, per contare le parole. I testi sono di vario genere: articoli di giornale, post di blog, parti di libri disponibili in rete, ecc. In un testo di 5.000 battute (spazi compresi) ho trovato in media 750 parole. Poi ho letto alcuni di questi testi ad alta voce, cronometro alla mano. Per leggere un testo di 5.000 caratteri impiego in media 5 minuti. Questo significa che, leggendo un testo ad alta voce, posso pronunciare circa 150 parole al minuto, ovvero 9.000 parole all’ora.

Va da sé che leggere un testo ad alta voce non equivale esattamente a parlare: la lettura è un processo lineare e continuo, mentre una conversazione è un processo complesso, ricco di sovrapposizioni, interferenze esterne, interruzioni, ecc. E poi le parole dette non hanno necessariamente la stessa durata delle parole lette: in una conversazione un “insomma”, può diventare “insooommaaaaaa”, e così via.

Diciamo comunque che, empiricamente, un italiano, parlando a voce alta, può pronunciare circa 9.000 parole all’ora. Ipotizziamo, sempre empiricamente, che ogni italiano parli con altre persone in media un’ora al giorno, tenendo conto che di notte non si fa conversazione, che i neonati non parlano, che una persona che vive da sola parla meno di una che convive con altri, che chi ha molte interazioni sociali scambia più parole di chi ne ha poche, eccetera.

Con queste ipotesi di partenza possiamo dire che sessanta milioni di italiani producono conversazioni per circa 540 miliardi di parole al giorno, equivalenti a 3.600 miliardi di caratteri a stampa. Considerando che una cartella editoriale contiene 1.800 caratteri, per trascrivere i discorsi italiani di una giornata servirebbero 2 miliardi di cartelle editoriali. Ipotizzando infine che la cartella editoriale corrisponda esattamente alla pagina di un libro stampato, e che un libro abbia in media 400 pagine, una giornata di discorsi italiani equivarrebbe a 5 milioni, e un anno a poco più di 1,8 miliardi di libri.

Secondo il rapporto AIE 2017, in Italia nel 2016 sono stati pubblicati circa 66.000 nuovi titoli.

Ne consegue che la letteratura, qualunque cosa sia, è una frazione insignificante di ciò che viene prodotto quotidianamente nella stessa lingua conversando. Applicando la definizione più estesa possibile fra quelle elencate nel post precedente, cioè che la letteratura è qualcosa di scritto, i libri stampati in un anno, se non ho sbagliato i conti, contengono lo 0,0037% delle parole che gli italiani si scambiano a voce nello stesso periodo di tempo. Per dirla in un altro modo, per ogni milione di parole pronunciate, ne vengono stampate trentasette. Per dirla in un altro modo ancora, leggere un libro, sui sessantaseimila prodotti ogni anno, significa leggere 0,56 miliardesimi di quello che gli italiani si dicono parlando tra di loro. Leggendo 100 libri all’anno si accede a un numero di parole pari a 56 miliardesimi di “quello che si dice in giro”.

La parola detta domina sulla parola scritta. Ne consegue, credo, che l’uso verbale del linguaggio lo determina, lo trasforma, lo fa evolvere molto più dell’uso scritto. Se la parola ha qualche potere, questo potere viene esercitato parlando più che scrivendo. Un’ora di chiacchiere da movida ha più potere di migliaia di libri. La marginalità della letteratura, qualunque cosa sia, la sua acclarata incapacità di “cambiare il mondo” è nei fatti prima che nelle interpretazioni, nella teoria e nelle lamentazioni dei nostalgici del bel tempo andato, quando la letteratura sì che contava.

La letteratura è quasi invisibile, insignificante, rara, leggera. È bene trattarla con leggerezza.

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