Archive for the ‘lettura’ Category

Breve meditazione sulla solitudine di una rosa

Thursday, November 4th, 2010

A volte capiterà anche a te, lettore periferico e saltuario, di chiederti se la lettura serve a qualcosa o se non sia piuttosto una forma mascherata di vagabondaggio, un desiderio inconfessabile di nulla, di vuoto, di assenza, assenza di fatica e di dolore, in primo luogo.

A me talvolta succede. Non tanto spesso, per carità, altrimenti va a finire che comincio a raffigurare me stesso in una di quelle orrende pose da aspirante intellettuale, come uno che si fa fotografare con la mano chiusa a sostenere il fardello di una pesantissima intelligenza, lo sguardo intensamente perduto in meditazioni così profonde da condurre il soggetto all’annegamento mentale.

Però a volte succede, specialmente dopo aver speso una manciata di mezzore a leggere un romanzuccio tristanzuolo e pretenzioso, sebbene da molti laudato un po’ a paperella, l’uno via l’altro, quasi per contagio epidemico di idee ricevute.

Quando arriva la fatidica domanda — serve a qualcosa leggere? — il rischio maggiore che si corre è tentare di darsi una risposta. Le risposte a domande del genere sono una forma di consolazione simile a quella di cui chiunque si sarà gratificato almeno una volta nella vita, trovandosi in un precipizio di estremo bisogno o pericolo, quando la mente comincia a ripetere ossessiva «no, non succederà nulla di male; ora l’abisso si ritira e io rimetto i piedi a terra; verrà l’angelo a farmi da paracadute; dopo lo schianto mi rialzerò come se niente fosse stato».

Poi, nel bel mezzo di questo stato allusivamente depressivo che solo la rilettura integrale di Guerra e pace potrebbe risolvere, capita che il feed di un blog ti restituisca questa frase:

morte e vita sono una rosa sola

Un frammento poetico incastonato in una prosa diaristica, un verso isolato e segnato dall’ipotesi, non so quanto fondata, di dovere l’esistenza a un refuso, a quel rosa che il senso comune esigerebbe essere cosa.

La lettura serve a qualcosa? Serve, serve, a patto di non vanificare la riposta positiva con una teoria di inutili perché e percome.

L’etteratura è morta

Tuesday, April 13th, 2010

tratto da www.edarts.net/access/100cal.jpgL’etteratura è morta, dicono. C’è chi dice che è morta da almeno trent’anni, altri da trentacinque. I più pessimisti datano la morte dell’etteratura ai primi anni del ventesimo secolo. Pare infatti che a differenza di uomini, animali, piante e altri agglomerati di sostanze organiche senzienti e non, non esista ancora un metodo condiviso per stabilire l’esistenza in vita dell’etteratura, con il risultato che ognuno si può prendere la libertà di farla morire un po’ quando gli pare.

Tant’è che — sembra assurdo, lo so, ma è così — c’è perfino gente che sostiene che l’etteratura in realtà è viva e non se la passa neanche tanto male.

Le cause di queste difficoltà di accertamento e datazione del decesso non sono completamente note, né facilmente deducibili dal fenomeno in sé, e tuttavia non è irragionevole ipotizzare che fra esse ci sia la mancanza di un accordo fra gli operatori del settore circa l’assetto ontologico dell’etteratura. Fra le molte scuole di pensiero citeremo qui solo le principali.

La scuola empirica insegna che l’etteratura è l’insieme di ciò che è contenuto negl’ibri. Alle numerose richieste di un parere scientifico su cosa siano gl’ibri, i massimi esponenti della scuola empirica han sempre fatto orecchie da mercante.

La scuola soggettivista fa coincidere l’etteratura con l’atto dell’èggere. Secondo questa scuola l’ettore è il vero artefice del fenomeno etterario. Ai frequentatori più assidui dell’annosa questione non sfugge il subdolo sottinteso etimologico di questa posizione.

La scuola accademica afferma che l’etteratura è il museo delle opere storicamente accolte nel canone etterario da un’élite di ettori specialisti. Se richiesti di specificare i requisiti necessari per entrare a far parte di quella élite, i membri della scuola accademica generalmente fischiettano.

La scuola ideologica, infine, sostiene che l’etteratura è la rappresentazione simbolica dei miti e delle fobie di un popolo. Va da sé che se chiedete a un ideologico di definire popolo, egli vi rimanderà alla sociologia, all’antropologia, alla glottologia o a qualsivoglia altra materia in cui si sarà preventivamente dichiarato incompetente.

Essendo impossibile dare una risposta condivisa alla domanda cos’è l’etteratura?, gli esperti solitamente si accordano su proposizioni apodittiche del tipo l’etteratura c’è, spostando di fatto il discorso da un contesto razionale a uno fideistico e rimandando sine die una definizione articolata dell’ente. L’esistenza dell’etteratura, insomma, sembra essere una questione di fede, non di ragione e, date queste premesse, stabilire se l’etteratura è viva o morta è di fatto una disputa teologica.

Nessuna sorpresa, quindi, se l’ettore laico e diabolicamente materialista, quando qualche esponente di una o più delle succitate scuole gli viene a raccontare che l’etteratura è morta, risponda con l’inciviltà che lo contraddistingue e un bel chissenefrega non vogliamo mettercelo? e continui di poi a èggere, beffardo e imperterrito, incurante della costernazione del necroforo di turno.

Lector unius libri

Friday, September 7th, 2007

Honoré Daumier, Don Chisciotte e Sancio Panza (1868), tratto da http://it.wikipedia.org/wiki/Don_Chisciotte_della_ManciaQuando il lettore va in vacanza, la prima domanda che si pone è: e mo cosa leggo in vacanza? Se il lettore fosse esente da qualsivoglia traccia di demenza, si risponderebbe prontamente: qualche quotidiano, un rotocalco o due, la settimana enigmistica. Cose così. Invece no: egli vuol leggere libri. Essendo lettore, però, ha letto anche un elzeviro di Italo Calvino intitolato I buoni propositi, uscito il 12 agosto 1952 su «L’Unità», dieci anni prima che il lettore nascesse, potenza della provvidenza letteraria.

Memore dei moniti calviniani, il lettore ha portato in vacanza un libro solo, del quale poi, forse, sa il cielo, eventualmente, chissà, dirà una cosa o due. Nel frattempo s’accontenti (si fa per dire) il lettore del lettore di leggere Calvino.

I buoni propositi
di Italo Calvino

Il Buon Lettore aspetta le vacanze con impazienza. Ha rimandato alle settimane che passerà in una solitaria località marina o montana un certo numero di letture che gli stanno a cuore e già pregusta la gioia delle sieste all’ombra, il fruscio delle pagine, l’abbandono al fascino di altri mondi trasmesso dalle fitte righe dei capitoli. Nell’approssimarsi delle ferie, il Buon Lettore gira i negozi dei librai, sfoglia, annusa, ci ripensa, ritorna il giorno dopo a comprare; a casa toglie dallo scaffale volumi ancora intonsi e li allinea tra i fermalibro della sua scrivania.
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Luoghi e (non) letture

Friday, September 29th, 2006

GrenarOggi su Vibrisse c’è il mio contributo alla rubrica Come si leggono i libri, curata da Bartolomeo di Monaco. I lettori più pertinaci di letturalenta possono anche fermarsi al primo capitoletto, dato che il secondo l’hanno già letto qui.

Colgo l’occasione per segnalare Grenar, il sito curato da Gianfranco Recchia dove il contributo di cui sopra è comparso per la prima volta. Grenar è uno dei luoghi dell’apposita sezione di collegamenti di questo blog, sezione che raggruppa siti che mi è capitato di visitare e sui quali ogni tanto ritorno. Funzionano un po’ come la memoria di cose che tecnicamente sono passate, ma che in realtà riaffiorano spesso sulla soglia del presente. In alcuni di questi luoghi ho anche lasciato una labile traccia, e Grenar è uno di questi.

Sì va be’ – si chiederà impaziente il lettore in affanno perché sta per perdere il tram – ma cos’è Grenar? Cito dal suo manifesto:

Come funzionano le narrazioni? Qui si indaga sul viaggio del racconto, sul perché sta in acqua e sul perché fa naufragio. Si può narrare con diversi mezzi espressivi: parole, immagini, movimento, suoni, rumori, silenzi, pieni, vuoti. (…) Non è una rivista, non è un blog, per cui viene aggiornato quando c’è materiale interessante. Vuole essere un sito funzionale, ciò che contiene deve servire a chi cerca proprio quelle informazioni. Per questo ha ambizioni di micro-enciclopedia. L’attracco più probabile per il navigatore curioso è una ricerca sul web.

Secondo me vale la pena farci un salto ogni tanto, anche senza cercare niente di particolare, giusto per il piacere di leggere cose come questa o come quest’altra.

Che fare?

Thursday, September 14th, 2006

Stavo or ora ripensando a un celebre aforisma di Giorgio Manganelli che mi frulla in testa da anni: Ogni libro contiene tutti i libri.

Così celebre che non ricordo dove l’ha scritto. Forse in Pinocchio, un libro parallelo, posto che l’abbia scritto da qualche parte.

Dall’enunciato tapiresco discendono due interessanti strategie operative:
1. Leggere un solo libro e poi sostenere senza tema di smentite di averli letti tutti.
2. Leggere tutti i libri per poter dire senz’ombra di dubbio di averne letto almeno uno.

Monolèggere o plurilèggere? questa è la domanda. La risposta, inutile dirlo, non ce l’ho.

La locanda

Monday, August 7th, 2006

Henri Regnault, Interno di Taverna, tratto da www.museodevigo.orgMi trovo in una locanda buia e fumosa. Che sia una locanda, a dire il vero, è solo una mia supposizione. Cosa sia veramente questo luogo, se di luogo si tratta, non saprei dirlo con esattezza. Più che fumosa, poi, dovrei dirla nebbiosa o indistinta o vaga: attorno a me vedo soltanto i contorni sfumati di oggetti presumibili, ma di esistenza assai incerta. Vedo tracce labili di tavoli potenziali; odo frammenti di suoni che alludono a voci; fiuto uste deboli e confuse di qualcosa che assomiglia al vino, o forse all’idea del vino, o a un suo lontano ricordo. Quanto all’oscurità, sarebbe più corretto definirla penombra, o meglio ancora citazione di una penombra traslucida, lattiginosa, opalescente.
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Chiosa alle letture di Rousseau

Friday, June 23rd, 2006

Jean-Jacques Rousseau ritratto da Quentin Latour, tratto da www2.ac-lyon.frLo confesso, sto leggendo Le Confessioni di Rousseau. Mi capita spesso di dedicare alla lettura di qualche classico le pause vacanziere che il vivere concitato e velocista dei nostri tempi così di rado concede. È questo un modo per mettere in pratica quella mia onesta e proba tendenza alla lentezza, alla pigrizia, all’ozio e alla perdita di tempo che troppo spesso rimane allo stadio di mera intenzione. Sì, perché i classici differiscono dall’orrenda letteratura cosiddetta di consumo soprattutto dal punto di vista tachigrafico: prova un po’, o fugace lettore, a leggere Moby Dick a sessanta pagine all’ora: ti ritroverai in testa una tal melma di scene di caccia al capodoglio, brani di cetologia, sermoni e dialoghi marinareschi da uscirne completamente rintronato.

Ebbene, avevo appena intrapreso la placida lettura delle Confessioni roussoviane, quand’ecco che tra i margini della pagina prese forma un pensiero che pareva scritto apposta per me, il lettore:
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Il lettore smemorato

Thursday, June 1st, 2006

Anna Marongiu, Don Ferrante (1926) tratto da www.marongiu.orgC’era una volta un lettore smemorato che lesse un libro e lo dimenticò. Allora ne lesse subito un altro e dimenticò anche quello. Se un valente professore di letteratura l’avesse interrogato su quei libri, il lettore smemorato avrebbe fatto scena muta e il professore gli avrebbe detto: «Mi spiace, caro discente, la sua preparazione è insufficiente. Ritenti al prossimo appello, se se la sente».

Pensava spesso a una frase di Musil, il lettore smemorato: «è del tempo di Socrate dirsi ignoranti, del nostro tempo essere ignoranti», e gli dispiaceva sapere che Musil aveva detto quella cosa a proposito del non sapere; e ancor di più gli dispiaceva sapere che Musil diceva quella cosa avendo in mente il celebre aforisma di Socrate «so di non sapere». Sapere tutte quelle cose lo gettava nello sconforto. «È segno che non ho dimenticato abbastanza» pensava, e si consolava al pensiero di aver dimenticato almeno il libro in cui aveva letto quella frase di Musil.
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Il test di Umberto Eco

Wednesday, April 26th, 2006

Cappuccetto Rosso e il lupo, tratto da www.gazzaladra.itDice Umberto Eco:

Rispetto al mondo dei libri, proposizioni come Sherlock Holmes era scapolo, Cappuccetto Rosso viene divorata dal lupo ma poi è liberata dal cacciatore, Anna Karenina si uccide, rimarranno vere in eterno e non potranno mai essere confutate da nessuno. [U.Eco, Su alcune funzioni della letteratura, in Sulla letteratura, Bompiani 2002, pag. 12]

E poco dopo aggiunge:

Il mondo della letteratura è un universo nel quale è possibile fare dei test per stabilire se un lettore ha il senso della realtà o è preda delle sue allucinazioni. [Ibidem pag. 14]

Con questa seconda affermazione Eco crea un legame forte fra il mondo della letteratura e il mondo dei vivi, assegnando al primo il potere di decretare l’integrità psichica nel secondo: chi dovesse esprimere dubbi sullo stato civile di Sherlock Holmes può essere senz’altro segnalato ai servizi sociali. Ecco, io credo che Umberto Eco abbia ragione (fossi scemo, a dar torto a Umberto Eco!) e credo anche che ripetendo quei test su ciascun membro della fratellanza lettoria universale l’esito sarebbe invariabilmente il secondo: ogni lettore è preda delle sue allucinazioni.
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Il testamento del lettore

Thursday, April 6th, 2006

Testamento. Tratto da www.sahara.itSono un lettore e in questo momento mi trovo presso il notaio che mi aiuterà a redigere il mio testamento. Il notaio mi sta spiegando che l’incipit rituale di queste pratiche mortuarie è una frase del tipo «Io sottoscritto Tal dei Tali (seguono dati anagrafici), nel pieno possesso delle mie facoltà mentali…».

Cominciamo male, vorrei dire al notaio, ma in realtà non apro bocca. Vorrei dirgli che questo incipit un poco mi spaura, perché temo che adottandolo così com’è io corra più d’un rischio di dire il falso. Innanzitutto c’è la questione dei dati anagrafici, che il notaio sembra dare per scontata, ma che per me è alquanto problematica: dove sono nato come lettore, e quando? Dovrei dichiarare il giorno il mese e l’anno in cui aprii il mio primo libro e il luogo in cui mi trovavo, ma proprio non riesco a ricordarlo. D’altronde, siamo seri, chi mai a questo mondo ha ricordi precisi e chiari sul momento della sua nascita? E poi non sono sicuro che sia corretto far corrispondere il parto lettoriale con la lettura del primo libro: prima dei libri ci sarà pur stato un abbecedario e cartelli stradali e insegne di negozi decifrate a fatica.
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Letture ambigue

Wednesday, March 29th, 2006

PaperoconiglioIl pregiudizio che il testo nasca da un atto di scrittura è duro a morire, forse perché la concezione autoriale della letteratura è uno strumento di marketing molto potente: i testi non vendono, gli autori sì. Basti pensare che un libro intitolato Napoli siamo noi scritto da un signore di Cuneo può vendere migliaia di copie, se quel signore si chiama Giorgio Bocca. L’avesse scritto il brigadiere Cafiero Pasquale, che sta a Poggio Reale dal cinquantatrè, non se lo fumerebbe nessuno.

Dicono i dotti: ogni testo presuppone un lettore. Mica vero. È vero piuttosto il contrario: ogni lettore presuppone un testo. Ogni lettore ha in mente un testo che non è mai stato scritto, e se lo va a cercare in quelli che qualcuno s’è preso la briga di scrivere. Se ci fai caso, lettore, tu non stai leggendo queste ciarle mie perché loro hanno in mente te, ma perché tu hai in mente qualcosa che si accorda in modo ragionevole con le mie ciarle, le quali possono continuare a loro piacimento, ma se di quel che dicono non te ne fregasse niente avresti già cambiato canale.
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Dialogo di un libro col suo lettore

Thursday, March 16th, 2006

Trialogo, tratto da www.infed.org– Salve lettore.
– Tu parli?
– Certo che parlo, perché ti stupisci? Mi stupisco fors’io del tuo parlare?
– Che un essere umano parli, invero, non fa meraviglia. Se si escludono i muti, gli afasici e i dementi, gli uomini si differenziano dagli altri animali per la capacità di parlare.
– Ti sembro forse un animale?
– No, in verità.
– E di che ti stupisci, allora? Se la capacità di riprodurre l’effabile con suoni articolati distingue l’uomo dagli altri animali, ciò non esclude che altri enti, non uomini e non animali, godano di analoga proprietà, ne convieni?
– Ne convengo.
– E dunque non dovrebbe farti meraviglia che un libro – che con tutta evidenza non è uomo e non è animale – parli.
– Dunque tu parli…
– Devo dire che non ti trovo particolarmente versato nell’arte di conversare, lettore: che io parli è un fatto, e non mi sembra argomento di particolare interesse.
– Noto una punta di sarcasmo nelle tue parole.
– Non mi dire…
– Cerca di capire, invece di prenderti gioco di me: ho avuto molti libri per le mani in vita mia, e mai hanno proferito parola o intavolato discussioni. Non posso dire che tacciano, questo no, ma non emettono suoni. I loro discorsi sono silenziosi e arrivano alla mente passando per gli occhi, non per le orecchie.
– Eppure io parlo.
– Questo è vero.
– Già…
– …
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La lettura come menzogna

Tuesday, February 14th, 2006

Manuel Frattini in Pinocchio, tratto da www.ilrossetti.comEssendo la verità inconoscibile per via di ragione, è facile intuire quanto sia difficile dimostrare l’inclinazione alla menzogna di chicchessia. Anche lasciando in pace il solito cretese che afferma che tutti i cretesi mentono, concludere al di là di ogni ragionevole dubbio che una frase, un’azione, un’intenzione, un pensiero o financo un desiderio siano fallaci e menzogneri è impresa inaccessibile alla mente umana. Ma l’uomo, per sua fortuna, non è solo ragione.

Prendiamo il lettore. Non è da oggi, lettore, che vado mostrando le dubbie qualità morali di questo individuo asociale, dissoluto e ìnfero. Già nel suo sguardo obliquo, nei suoi gesti eccessivamente cauti, nella sua voce sottile e sibilante, nel suo passo costantemente incline alla circolarità, è possibile percepire una natura sospettosa, misantropa, amante dell’oscurità e del nascondimento. Tutto il contrario dell’uomo onesto, sincero e produttivo. Il laborioso operaio, il paziente maestro, l’intraprendente industriale, l’imparziale giornalista, il giudice giusto e il politico illuminato: tutti costoro agiscono alla luce del sole, mostrando apertamente le loro opere e sottoponendole con lealtà al giudizio del popolo e della storia.
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Quando i lettori fanno ‘oh’

Saturday, January 21st, 2006

Gioachino Chiesa, Davanti al Terzo Millennio, tratto da /www.uffizi.itLo stupore è quell’atteggiamento verso le cose che l’uomo maturo, istruito e produttivo si ritrova suo malgrado a condividere con i bambini. Situato a metà strada fra l’onesta ingenuità dell’infante e l’irrevocabile tensione alla demenza del geronte, lo stupore è la capacità di considerare nuove tutte le cose, da una gita domenicale sulla luna alla fermata del tram.

Nella vicenda esistenziale del lettore, come è noto, non ha luogo un rapporto diretto con le cose. Il lettore infatti non vive: egli legge. I viventi acquistano conoscenza e saggezza mediante l’esperienza delle cose del mondo: essi nascono, lavorano, viaggiano, pensano, amano, soffrono, muoiono. Qualsivoglia conoscenza del lettore – ammesso che il lettore possa conoscere alcunché – passa invece attraverso il filtro della parola scritta. La nascita del lettore è un incipit; il suo lavoro è un racconto verista; i suoi viaggi sono grand tour settecenteschi; egli pensa i pensieri dei filosofi, ama d’amor romantico o libertino o cortese, soffre le pene degli eroi epici, e la sua morte è prevedibilmente un explicit.

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Il lettore è de coccio

Monday, January 16th, 2006

Il Prater di Vienna, tratto da www.andreas-praefcke.de

Ho molte cose da raccontare che non si possono scrivere bene. (…) Nelle tue lettere c’è spesso qualcosa che io avevo già pensato esattamente allo stesso modo e che tuttavia fino a quel momento non ero ancora riuscito a definire con precisione. [H.Hofmannsthal, Le parole non sono di questo mondo, Quodlibet 2004, pag. 22]

Così scriveva il guardiamarina Edgar Karg von Bebenburg a Hugo von Hofmannsthal il 13 marzo 1893, ventenne il mittente, diciannovenne il destinatario. Per tutta la durata della corrispondenza, Edgar Karg mostra una grande fiducia nelle parole e nei libri: convinto che la cultura e l’erudizione potessero rivelare il senso profondo della vita – quel senso che a lui sfuggiva – chiedeva soccorso all’amico, pregandolo di inviargli libri, di spiegargli i motivi del senso di infelicità e di incompiutezza che provava, di dargli le parole giuste per capire meglio la propria vita e il mondo.

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