Archive for the ‘lettura’ Category

Un dizionario impazzito

Thursday, December 22nd, 2005

Giorgio Manganelli, tratto da www.villagevoice.comDice daldivano nei commenti a un paio di post fa:

Il mio vocabolario ha un fascicolo in meno, passa da effeminatore a facoltà senza colpo ferire; quando cerco un vocabolo vado sempre lì, in quello iato. il mio vocabolario diversamente abile mi corrisponde in modo uguale e contrario, se io non leggo lo scibile lui non lo contempla, se lui non lo contempla io non lo leggo. però perdo le ore di fronte al connubio effeminatore e facoltà (perché il mio vocabolario è anche sagace e io lo so, anche se non lo leggo tutto).

A parte il fatto che l’ho letto e riletto rischiando di cascarci dentro, perché quell’immagine del dizionario col buco nero ha una gran forza di gravità, questo pensiero mi ha fatto venire in mente un’intervista a Manganelli (toh! chi si rivede) apparsa sul Corriere della Sera nel giugno del 1990, poco dopo la sua morte (ora in La penombra mentale, Editori Riuniti 2001). Dopo aver chiacchierato di letteratura, delle sue sedute presso lo psicanalista junghiano Ernst Bernhard, di superstizioni e di menzogne, di centro e di periferia, insomma di una fetta ampiamente maggioritaria dello scibile umano, l’intervistatrice Caterina Cardona tenta di riepilogare con un’ultima domanda:

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Il lettore è uno che non legge quasi nulla

Monday, December 19th, 2005

«Un lettore di professione è in primo luogo chi sa quali libri non leggere; è colui che sa dire, come scrisse una volta mirabilmente Scheiwiller, ‘non l’ho letto e non mi piace’. Il vero, estremo lettore di professione potrebbe essere un tale che non legge quasi nulla, al limite un semianalfabeta che compita a fatica i nomi delle strade, e solo con luce favorevole.» (G.Manganelli, Lunario dell’orfano sannita, Einaudi 1973, pag. 107)

Pur non essendo un lettore di professione, non posso non riconoscermi in questo ritratto manganelliano. La capacità di dire non l’ho letto e non mi piace fa parte del bagaglio esistenziale di qualunque lettore, non solo di quello del lettore professionista. Anzi, credo che il lettore dilettante, quello che paga per leggere, possa esprimere il celebre giudizio di Scheiwiller molto più liberamente del lettore di professione, che proprio in virtù del professionismo non è sempre libero da vincoli di deontologia, di etichetta, di pressioni ambientali.

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La letteratura è una cosa che si mangia

Thursday, December 15th, 2005

Letteratura e ciboDice Melpunk nei commenti al post Il lettore è scemo: la letteratura è una cosa che si mangia.

Come tutti ricorderanno (seeee!) Melpunk rispondeva alla precisa domanda Che cos’è la letteratura? giudicata da Genette domanda scema. Orbene, circa ottant’anni fa Miguel De Unamuno (ancora lui, ebbene sì) diede più o meno la stessa risposta:

[C’è un] passo dell’Apocalisse, del libro della Rivelazione, in cui lo Spirito ordina all’apostolo di mangiarsi un libro [Ap 10, 9]. Quando un libro è cosa viva bisogna mangiarselo, e chi se lo mangia, se a sua volta è vivente, se è davvero vivo, rivive di quel cibo. (M. De Unamuno, Come si fa un romanzo, Ibis 1994, pag. 48)

Sentenza che – con buona pace di Genette – rivela da un lato la corrispondenza d’intelletto fra Melpunk e Unamuno, e dall’altro il carattere niente po’ po’ di meno che apocalittico della risposta del primo.

Sappi dunque, o lettore che distrattamente saltelli da un blog all’altro, che nei post che tu scorri a mach 4 possono celarsi rivelazioni di verità antique et mirabili. Convèrtiti dunque, e rallenta.

Il lettore è scemo

Monday, December 12th, 2005

Dürer: frontespizio per La nave dei folli. Immagine tratta da www.users.cloud9.net/~bradmcc/Che cos’è la letteratura? Domanda scema, dice Genette:

Se temessi meno il ridicolo avrei potuto gratificare questo saggio di un titolo ch’è stato già grossolanamente usato: «Che cos’è la letteratura?» – Il testo illustre che ha posto tale domanda a sua titolazione in verità non vi ha risposto; il che tutto sommato è molto saggio: a domanda sciocca, nessuna risposta; ragione per cui la vera saggezza consisterebbe nel non porre neppure l’interrogativo. (Gérard Genette, Finzione e dizione, Pratiche editrice 1994, pag. 11).

E chi sono io per dar torto a Gérard Genette? Genette è un tale che una volta, nell’inverno del 1969, si trovò bloccato in casa da una tempesta di neve. Per ammazzare il tempo si mise a ragionare un po’ sul discorso narrativo e – com’è come non è, ragiona che ti ragiona – sfornò Figure III, uno dei testi fondamentali della narratologia contemporanea. Dar torto a Genette proprio non si può, quindi si accolga come postulato incontestabile che chiedersi cos’è la letteratura è esercizio vacuo, inutile e sintomatico di una non vaga inclinazione alla demenza.

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L’incanto di pagina 49

Friday, December 2nd, 2005

Immagine tratta da home.earthlink.net/~cashinbook/pages/page-49.jpgNon potrebbe la vita essere tutta un sogno? In termini più precisi: c’è un criterio sicuro per distinguere il sogno dalla realtà, il fantasma dall’oggetto reale? [A.Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, pag. 49]

Ordunque lei mi chiede, egregio professor Schopenhauer, se non sia possibile che la vita tutta sia sogno. Se cioè l’uomo sia in grado di distinguere ciò che egli rappresenta alla propria coscienza in istato di veglia da ciò che gli appare quasi fantasmaticamente durante il riposo notturno. La domanda non è banale e richiede una risposta articolata e fondata su documenti di sicuro prestigio e autorità.

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Un discorso che ti riguarda, lettore

Tuesday, November 29th, 2005

Immagine tratta da www.people.virginia.eduSì, certo, il lettore è bistrattato, umiliato, considerato carne da cannone, ma fra le migliaia e migliaia di pagine a cui dedica il suo tempo può capitargli di trovare qualche parola di conforto. Allora sorride, il lettore, e si rasserena un poco. L’incomprensione del mondo si fa meno oppressiva e il lettore scorge un barlume di senso nella sua dedizione spirituale e corporale ai libri, alle pagine, alle frasi, alle parole, ai segni di interpunzione e soprattutto ai margini e agli spazi bianchi.

Talvolta infatti, mentre riordina mentalmente le anonime sequenze di grafismi stampate sulla pagina, gli si presenta un pensiero, un’idea, un discorso che lo riguarda. Allora sa che quei segni neri che spezzano il bianco della pagina sono stati scritti per lui. Non per un generico lettore, sia chiaro, ma proprio per lui. Sono parole d’affetto, di solidarietà, di pietas, che egli accoglie con gratitudine come se fossero una dedica. A volte, poi, sono davvero una dedica:

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Pagare per esistere

Monday, November 28th, 2005

Pagare per leggereGli editori lamentano le poche copie vendute; i librai soffrono l’assottigliamento dei margini economici; gli autori rinnovano in mille modi l’antico aforisma: carmina non dant panem; i traduttori denunciano la scarsa visibilità del loro lavoro; i critici criticano la scarsa attenzione alla critica. Nella gran macchina della produzione letteraria tutti si considerano sottostimati, sottovalutati, sottopagati. No, dico, va bene che l’erba del vicino è sempre più verde, che l’uomo è pessimista per natura, che il mondo è crudele, ma allora io – il lettore – cosa dovrei dire?

Insomma, dico, dovrei sempre stare zitto e buono ad ascoltare le lamentele altrui? Eh no, cavolo, per una volta mi lamento io. Voglio gustare anch’io, e fino in fondo, l’universale panica esperienza del piagnisteo letterario.

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L’ombra lunga della lettura lenta

Wednesday, November 23rd, 2005

Storia della lettura lentaUno non può avere un’idea che sia una, che subito arriva un altro a copiargliela. È successo recentemente a un signore che si chiama Lance Fletcher, che nel 1994 ha lanciato in rete una vera e propria Accademia della lettura lenta. Detto molto in breve, si tratta di diverse mailing list dedicate a filosofi o a singole opere filosofiche, con l’obbiettivo di creare attorno a questi argomenti tipicamente accademici una conversazione in rete che esca dai confini dell’accademia in senso stretto.

Undici anni dopo arriva un blogger qualsiasi e gli frega l’idea di lettura lenta per intitolare il suo stupido blog. Se non è un’ingiustizia questa…

Lance Fletcher ha affiancato al lancio delle mailing list un vero e proprio manifesto della lettura lenta che illustra lo spirito che dovrebbe animarle. Leggendo il manifesto e sbirciando le mailing list attive ho capito subito che il suo progetto è infinitamente più serio e utile del mio modesto bloggo per gli appunti, ma ho anche scoperto che il suo e il mio richiamo all’idea di lettura lenta condividono una comune radice bibliografica: Aurora di Nietzsche, e precisamente la sua prefazione. Dice infatti Lance Fletcher:

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Un debito inestinguibile

Monday, November 21st, 2005

Miguel de Unamuno ritratto da José Gutiérrez SolanaMiguel de Unamuno è uno degli scrittori verso i quali sono in debito, un debito che naturalmente non potrò mai saldare. Mi succede a volte, peregrinando di libro in libro, di scovarne uno scritto apposta per me, e io so con ragionevole certezza che Miguel de Unamuno ha scritto il suo Commento alla vita di Don Chisciotte apposta per me. Considerando che Miguel de Unamuno l’ha scritto nel 1905, ben prima che io nascessi, ho sempre creduto che egli non sapesse di averlo scritto apposta per me, ma oggi non ne sono più così sicuro.

Oggi succede che – a causa della mia natura di lettore ondivago e tendenzialmente dispersivo – dalla pila dei libri da leggere è uscito questo: Miguel de Unamuno, Come si fa un romanzo, Ibis 1994, prima edizione italiana di un saggio pubblicato a Parigi nel 1925. Sono sicuro di averlo comprato solo per il nome dell’autore in copertina, forse spinto dal desiderio inconscio di ripagare almeno una piccola parte del debito. Sono quasi altrettanto certo di non aver mai pensato seriamente di leggerlo. Sia come sia, ho cominciato a leggerlo e, giunto a pagina cinquantuno, sono incappato in una frase che mi ha fatto sobbalzare. Questa:

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I cosi non sono le cose

Thursday, November 17th, 2005

Libera nos a malo«C’è molto rame in casa, secchi, testi, stampi, leccarde, paioli». Questa frase apparentemente innocua si trova a metà del tredicesimo capitolo di Libera nos a malo, il capolavoro di Luigi Meneghello. A prima vista non è che una dimessa elencazione di vetusti arnesi da cucina affratellati da una comune natura cuprica, eppure mi è rimasta in mente per ore. Anche adesso che ho doppiato la pagina che la ospita, essa si ripresenta a intervalli regolari e si sovrappone alle parole che vado leggendo, dolce come una litania melodiosa e arcana, ossessiva come il ritornello di una canzonetta: secchi, testi, stampi, leccarde, paioli. Che sarà mai? Donde verrà questa malìa che a queste parole m’incatena? Devo disvelare il segreto di codesto incantamento, spezzarlo per poter completare libero da sortilegi la degustazione delle pagine rimanenti.

Il libro, innanzitutto, overossia il contesto in cui quella frase opera. Libera nos a malo è un racconto dominato da un acuto senso di displacement, di extraterritorialità, di migranza, di alloglossia perfino. È un memoir scritto in italiano da un italiano imbevuto di lingua inglese che dentro di sé, negli strati più profondi e radicali dell’essere suo, parla il dialetto di Malo, provincia di Vicenza. La lingua e il paese nativo, non l’io narrante, sono i protagonisti indiscussi di un sofferto rimpatrio, un tentativo disperatissimo e matto di ricostruire pezzo per pezzo le cose dell’infanzia e dell’adolescenza attraverso il recupero delle parole usate per renderle presenti. Il dialetto di Malo è dunque il linguaggio naturale della vita vissuta, dell’esperienza, mentre l’italiano è quello artificiale della cultura, delle idee ricevute, dello studio.

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Libresche seduzioni

Thursday, November 10th, 2005

Tu mi chiedi, o lesto divoratore di pixel, quale sia la ragione che spinge il lettore a sprecare sui libri un tempo che egli potrebbe dedicare ad attività produttive e socialmente utili. Non ho una risposta pronta, ma in prima battuta mi sembra ragionevole supporre che la causa delle insane passioni lettorie risieda nell’oggetto materiale della lettura. Il libro è alquanto semplice, almeno a una prima occhiata: nient’altro che un parallelepipedo, forse il solido meno affascinante di tutti, usato per costruire oggetti esteticamente poco esigenti come scatole da scarpe, mobili dell’Ikea o stabilimenti industriali. Un parallelepipedo fortemente schiacciato, oltretutto, con due facce sproporzionatamente più ampie delle altre quattro: una frittella geometrica.

Come può dunque un articolo così comune, dozzinale, banale perfino, attirare l’attenzione del lettore, ammaliarlo, sedurlo, confonderlo fino a fargli sborsare quattrini per averlo? Cercherò di rispondere per via sperimentale: tolto dalla mia modesta biblioteca di lettore lento un volume a caso, fingerò di osservarlo per la prima volta, come se l’avessi appena avvistato in libreria, sperando che da un’osservazione minuziosa possano scaturire intuizioni proficue sui meccanismi che mi portarono ad acquistarlo a suo tempo.

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Accepire le ripetizioni come delle appassionate anafore

Friday, November 4th, 2005

Scritti corsariLa lettura lenta può vantare augusti antenati. Gli antichi rètori, per esempio, mandavano a memoria lunghe e complesse orazioni fin nei minimi particolari, inclusi i gesti del corpo e l’intonazione della voce, leggendo e rileggendo i testi fino a inciderli nella mente, predecessori inconsapevoli dei libri viventi che Ray Bradbury immaginò in Fahrenheit 451. Ma non occorre andare così lontano. Quella che qui ti offro, o internauta che ti muovi con passo da centometrista, è un’accorata esortazione alla lettura lenta di quel poeta che in questi giorni è in odore di laica santificazione.

«La ricostruzione di questo libro è affidata al lettore. È lui che deve rimettere insieme i frammenti di un’opera dispersa e incompleta. È lui che deve ricongiungere passi lontani che però si integrano. È lui che deve organizzare i momenti contraddittori ricercandone la sostanziale unitarietà. È lui che deve eliminare le eventuali incoerenze (ossia ricerche o ipotesi abbandonate). È lui che deve sostituire le ripetizioni con le eventuali varianti (o altrimenti accepire le ripetizioni come delle appassionate anafore).
Ci sono davanti a lui due "serie" di scritti, le cui date, incolonnate più o meno corrispondono: una "serie" di scritti primi, e una più umile "serie" di scritti integrativi, corroboranti, documentari. L’occhio deve evidentemente correre dall’una all’altra "serie". Mai mi è capitato nei miei libri, più che in questo di scritti giornalistici, di pretendere dal lettore un così necessario fervore filologico. Il fervore meno diffuso del momento.» (Pier Paolo Pasolini, nota introduttiva a Scritti corsari, 1975).

Il poeta usa qui un tono alquanto perentorio: per ben cinque volte ripete che il lettore deve compiere azioni necessarie, per poi giungere a pretendere da lui niente meno che fervore filologico. E quel fervore non implica forse il sesto dovere, quello che riassume tutta l’etica lettoria che il poeta pretende? E come chiamare questo dovere, se non il dovere di leggere con prudente lentezza?

Apologia del lettore debole

Friday, October 28th, 2005

bibliotecaLe statistiche ufficiali sul mercato librario italiano classificano come lettori forti coloro che leggono almeno 12 libri in un anno. Forse questa cifra farà sorridere i lettori a ripetizione – quelli capaci di ingurgitare 3-4 romanzi die pur di tenere il passo di uscita delle novità – eppure è così: un libro al mese basta e avanza per entrare nel gotha della società lettoria nazionale.

Non v’è chi non veda (suppongo) che, a causa dell’ineludibile propensione della mente umana alla logica binaria, la definizione di lettore forte genera automaticamente, per opposizione, quella di lettore debole. Dal punto di vista delle statistiche il lettore debole è colui che legge meno di dodici libri all’anno, ma qui, in questo luogo di liete divagazioni, possiamo permetterci di prescindere dalle crude cifre e modificare a piacimento le definizioni.

Dirò dunque lettore forte colui che può a buon diritto affermare d’aver letto tutti i libri importanti dell’epoca sua, e lettore debole colui che, per pigrizia o per impedimenti oggettivi, è ancora assai lontano dal traguardo della perfetta erudizione.

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Il lettore veloce

Wednesday, October 12th, 2005

Libro veloceChiuso a doppia mandata nella sua cameretta per tenersi deliberatamente lontano dalla scena del mondo, il lettore veloce impila svariati tomi sul comodino. Essi sono: l’ultimo romanzo di Wilbur Smith, una storia della letteratura inglese in tre volumi, una monumentale biografia di Tolstoj e la versione integrale dell’Hypnerotomachia Poliphili.

È sabato, e il lettore veloce sa che il tempo è merce preziosa e che, una volta perduto, può essere ritrovato solo a prezzo di durissimi sforzi. Il sabato fu fatto per l’uomo, pensa fra sé e sé, quindi è tempo da dedicare alla cura dello spirito.-

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Ritratto del lettore

Sunday, October 9th, 2005

ritratto_del_lettore2Il lettore è un individuo socialmente inutile. Egli infatti s’attarda in un genere di attività completamente improduttiva: la lettura. Ore e ore sprecate a far correre gli occhi su oggetti esteticamente riprovevoli: i libri, questi parallelepipedi di carta inchiostrata, ingombranti, ricettacoli di polvere, spesso maleodoranti.

Egli, il lettore, ruba il tempo alla famiglia, al lavoro, alle relazioni sociali. È il prototipo dell’individuo deleterio per il consesso civile: vagamente onanista; egoisticamente rinchiuso nel suo ideale studiolo, egli considera vile e intellettualmente non remunerativo ogni contatto fisico o sentimentale con altri membri dell’umano genere. Il lettore è colui che prende e legge, come sussurrava una voce infantile al cuore macerato del converso Agostino: tolle lege, tolle lege, cantilena ripetuta all’infinito, molto più simile a un’eterna dannazione che a una promessa di salvezza.

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