Archive for the ‘severino cimitero’ Category

Gelo d’assenza, inverno triste e morto

Wednesday, July 4th, 2007

Ancora Shakespeare vs. severino cimitero (che ancora non si manifesta, l’infingardo!)

LIV
Quanto più bella appare una bellezza
quando s’adorna di una vita piena:
bella è la rosa, e più bella s’apprezza
per quel dolce profumo onde s’invena.

Rosa canina ha fiamma di ugual fuoco
quant’è nel fior di vaso, più odoroso:
pari le spine, pari il lieto gioco
d’alito estivo al bocciolo ritroso.

Rosa di campo è bella, né pregiata:
vien disamata in boccio, umile in fiore,
sfiorisce a sé. Ma rosa coltivata
morte ha soave e più soave odore.

Così di te, giovane e bella amica,
sfiorito il boccio, la poesia ridica.

LVI
Amore, fatti forte. Mordi, amore.
Mordi la carne come morde fame,
fatti nutrire, cedi al tuo languore
poi torna ad affilare le tue lame.

Divora, amore, sazia quel tuo sguardo,
sàziati adesso, inèbriati, e domani
ancora tendi l’arco, incocca il dardo,
fa che i tuoi strali gungano lontani.

L’assenza ci sommerge nei suoi flutti
e le tue sponde dalle mie separa.
Quando i marosi si faranno asciutti
ritornerò alla riva a me più cara.

Gelo d’assenza, inverno triste e morto
verrà l’estate, e porterà conforto.

Contro quel giorno che t’avrò straniera

Monday, July 2nd, 2007

Come per le puntate precedenti, i sonetti sono di Shakespeare, la traduzione è dell’inafferabile severino cimitero.

XLIX
Contro quel giorno, ove quel giorno giunga
che ti vedrò adirata alzarmi il ciglio
e amor recare la sua somma lunga,
mosso a bilancio da miglior consiglio;

contro quel giorno che t’avrò straniera,
passante senza il bene d’un saluto,
ché amore non ricordi più com’era,
severa d’un pensiero grave e muto;

contro quel giorno è questa apologia,
scritta in coscienza dalla mia pochezza:
che la mia mano mi condanni, e sia
tutrice del diritto che mi spezza.

Legge ti toglie a me con dure armi,
che non diedi moventi per amarmi.

L
Quant’è gravoso accingersi a viaggiare,
quando la triste meta dell’andata
non offre altro conforto che contare
le miglia dall’amata.

Il mio cavallo, dal dolore vinto
che mi fa greve, va con la sua ambascia
come sarebbe il misero, d’istinto,
che non corre chi lascia.

Morso di sprone non gli rende lena
benché confitto pur con rabbia al fianco;
più che ferisca lui, a me dà pena
il suo lamento stanco.

Mi mette in cuore quel lamento tetro
che innanzi la tristezza, e gioia indietro.

La mente varca a volo terra e mare

Thursday, June 14th, 2007

Ancora Shakespeare nelle mirabili traduzioni di severino cimitero, aka carlo andrea, ricevute per interposta maria strofa. (E mentre io pubblico le cosone del severino, il blog La poesia e lo spirito pubblica una cosina mia).

XLIV
Fosse pensiero questa carne greve,
della distanza non mi struggerei:
qualunque spazio correrebbe lieve
fino alla lontananza ove tu sei.

E che m’importa se dovessi stare
per strade e genti che ti son straniere:
la mente varca a volo terra e mare,
e concepir la meta è possedere.

Penso funesto, ché non son pensiero
non valico le miglia che ti vanno:
corpo concreto e duro, opera al nero,
gemo ed agogno il giorno ch’è tiranno.

Atomi lenti, io mi vi rassegno
con lacrime pesanti, triste pegno.

XLV
Due voci: arialeggera e fiammapura
sono con te, dovunque io mi sia.
Una è il pensiero, altra è di te la cura,
presenze assenti mosse in leggiadria.

Voci veloci mie, recate intanto
la legazione dell’amor gentile
ché altre due voci intonano un discanto
di morte e di mestissima atrabile.

Poi viene ricomposta l’armonia
dalle due messaggere che hai vedute:
eccole rincuorate sulla via,
mi dicono: “è felice, sta in salute”.

Ascolto e godo. Ma non prendon fiato,
che le rimando indietro preoccupato.

L’amante non ha tregua dall’amore

Tuesday, June 12th, 2007

Ancora un paio di gioiellini dell’ineffabile severino cimitero, o carlo andrea che dir si voglia. Gli originali scespiriani, come sempre, qui.

XXVII
Vorrei dormire, il giorno mi ha spossato.
Riposano le membra ma il pensiero
dimentica le vie che ho camminato,
inizia il proprio viaggio, più leggero.

La mente inquieta lascia il suo giaciglio
peregrinante amore a te la reca:
si leva insonne, non vuol chiuder ciglio,
si leva nella tenebra più cieca.

E suscita dal niente una chimera,
un’ombra cara, ed ecco il tuo sembiante
far bella questa vecchia notte nera,
donarle un fuoco vivo di diamante.

Fatica il dì, la notte il cuore:
l’amante non ha tregua dall’amore.

XL
Prendi il mio amore, amore, abbilo intero
che sarà tuo che già non possedevi?
Non sarà amore, amor, tutto sincero,
perché l’amore mio tutto l’avevi.

Se per amore, amor, mi fai violenza,
allora l’amor mio ti sia strumento:
ma quell’inganno non avrà clemenza
di chi si sforza a prenderne alimento.

Ladra gentile, io t’ho perdonato
d’avermi tolto quel denaro vile:
amor sa ch’è destino più spietato
subir torto amoroso che onta ostile.

Grazia lasciva, specchio di bellezza,
trafiggimi così: ma senza asprezza.

Bevi alla stessa coppa vita, e morte

Monday, June 4th, 2007

William ShakespeareTempo fa nel newsgroup it.cultura.libri allignava uno spirito raro, in tutti i sensi. Postava con diversi pseudonimi, come carlo andrea o severino cimitero, e ogni sua frase era un concentrato di splendida ironia e di alta cultura. Oggi maria strofa mi ha mandato due suoi sonetti.

Cioè, diciamola tutta: i sonetti sono di Shakespeare e il carlandrea si è limitato a tradurli, però dire si è limitato, visto il risultato, mi sembra limitativo. Ovunque tu sia, o severino (spero proprio non al cimitero), ti possa raggiungere il mio augurio di buona vita.

I
Belle creature danno al mondo i figli
sì che quel fiore di bellezza duri:
quando saran gualciti i loro gigli,
ne fioriranno ancora eredi puri.

Tu no, non curi al tuo sguardo di brace
nutri la fiamma di propria sostanza
oscuri ogni chiarezza, togli pace,
fai carestia là dov’era abbondanza.

La tua bellezza fulgida, l’orgoglio
che primavera annuncia e porta gaio,
fiorisce e muore in un solo germoglio
paga il suo dolce pegno a te, usuraio.

Sii generosa al mondo, o ridi forte:
bevi alla stessa coppa vita, e morte.

II
Quaranta inverni al tuo bell’incarnato
in guerra di trincea daran l’assedio
sarà il tuo manto, fiero ed invidiato,
lacera veste, senza più rimedio.

Ti chiederanno dov’è lo splendore,
dove il tesoro dei giorni migliori:
togli lo sguardo, spento d’ogni ardore,
non far che la vergogna ti divori.

Sii prodiga di te, rendi la pura
bellezza del sembiante ad un erede:
sarà il tuo pegno, pagherà l’usura,
questa salvezza un figlio ti concede.

Rinasci in lui, sconfiggi il tuo declino:
scalda il tuo sangue al sangue di un bambino.