Archive for the ‘Uncategorized’ Category

Raccontami la tua quarantena

Sunday, April 12th, 2020

Hello World, come si diceva una volta. Questo è un post aperto.

Chi ha voglia di raccontare la sua quarantena da coronavirus, e non ha voglia di farlo in luoghi affollati come i socialcosi, può farlo scrivendo un commento in questo luogo appartato e silenzioso.

Se possibile, lasciate perdere invettive contro politici, governanti e simili, ma raccontate quello che fate o non fate, che vi piace o non vi piace, che soffrite o non soffrite, che desiderate o non desiderate (eccetera, eccetera) in questa situazione di reclusione involontaria.

E se conoscete qualcuno che ha voglia di dire qualcosa in confidenza, invitatelo a farlo qui.

Grazie.

P.S.: un amico mi ha detto che non ha voglia di parlare di sé in luogo pubblico, per quanto deserto. Gli ho risposto che può tranquillamente inventare oppure scrivere in forma anonima usando un indirizzo email non valido (es: invalid@invalid.inv)

Invecchiare

Friday, February 1st, 2019

Oggi, grazie a una repentina illuminazione, ho scoperto che io, gli altri non lo so, ma io è da quando sono nato che sto invecchiando.

Una riflessione

Tuesday, January 15th, 2019

Qualche tempo fa, leggendo un articolo su un sito, mi era venuta in mente una raccomandazione dello scrittore russo Danil Charms, citata spesso dallo scrittore italiano Paolo Nori, che dice così:

Quando compri un uccello, guarda se ci sono i denti o se non ci sono. Se ci sono i denti, non è un uccello.

E visto che mi era venuta in mente volevo scriverla nei commenti, e ho provato a scriverla. Prova una volta, prova due, niente: il commento non veniva pubblicato. Per meglio dire: sembrava che uscisse, ma poi spariva: tornando sulla pagina dei commenti non c’era più. Allora, dato che le cose che non funzionano mi fanno scattare la sindrome di Bob Aggiustatutto, ho cercato di capire perché quel commento non usciva, e ho provato a scrivere un altro commento: “chi ha il pane non ha i denti e chi ha i denti non ha il pane”, ho scritto, e il commento è uscito senza problemi. Uno mi ha anche risposto “Sì, ma che c’entra?”, e aveva ragione, ma non divaghiamo.

Se i denti van bene, ho pensato, il problema sarà l’uccello, e allora ho riscritto la raccomandazione dello scrittore russo Danil Charms in questo modo:

Quando compri un u c c e l l o, guarda se ci sono i denti o se non ci sono. Se ci sono i denti, non è un u c c e l l o

Il commento è stato pubblicato e non è più sparito. Poi ho fatto un’altra prova, scrivendo due commenti separati. Il primo diceva “Quando compri un uccello, guarda se ci sono i denti o se non ci sono” e il secondo diceva “Se ci sono i denti, non è un uccello”. Nessun problema: entrambi i commenti sono stati pubblicati e non sono più spariti. A dire il vero un problema c’è stato, cioè che quello che prima mi aveva risposto “Sì, ma che c’entra?”, mi ha risposto “Sì, ma non c’è bisogno di scriverlo venti volte”, e aveva ragione, ma non divaghiamo.

Al termine delle indagini, come suol dirsi, quel che ho capito è che il commento intero non era stato pubblicato perché conteneva due volte la parola uccello. Qualcuno, in qualche punto della grande rete, aveva stabilito che una frase che contiene due volte la parola uccello non doveva essere pubblicata, va’ a sapere perché. O meglio, il perché si intuisce. Il censore dev’essere qualcuno che conosce l’italiano, se sa che la parola uccello ha un doppio senso osceno, ma dev’essere anche qualcuno che non sa distinguere se una parola è usata in senso proprio o figurato. Insomma un algoritmo non proprio sofisticatissimo, a voler essere gentili, oppure un essere umano non proprio sveglissimo.

L’episodio potrebbe suggerire profonde riflessioni sulla censura in rete, la bigotteria intrinseca della società contemporanea o la decadenza del mondo occidentale: magari un’altra volta. Però una riflessione mi è venuta in mente: se questo è l’andazzo, sai che casino per gli ornitologi.

Rien

Sunday, January 13th, 2019

Secondo lo scrittore austriaco Stefan Zweig, il 14 luglio 1789 il re francese Luigi XVI scriveva nel suo diario una sola parola: rien, che in francese vuol dire niente. Considerando che quello era il giorno della presa della Bastiglia, mi sembra di poter dire che il re francese Luigi XVI forse quel giorno lì non era tutto a casa, come si dice dalle mie parti.

Quando ho letto questa notizia, che Stefan Zweig ha scritto 143 anni dopo i fatti, ho pensato che fra 143 anni un biografo (non necessariamente austriaco) potrebbe leggere cosa ha scritto il presidente francese Emmanuel Macron nel suo diario in tutti i sabati degli anni 2018 e 2019 in cui in Francia c’è stata una manifestazione dei gilet gialli, ammesso che Emmanuel Macron tenga un diario.

Poi ho pensato che fra 143 anni, capiti quel che deve capitare in Francia e non in Francia, io sarò comunque morto, e allora è meglio se vado avanti a leggere la biografia di Maria Antonietta che Stefan Zweig ha pubblicato nel 1932, che tra l’altro è un gran bel libro, secondo me.

Xenofobia

Saturday, January 12th, 2019

Oggi mi hanno detto che in greco xenos è una parola ambigua, perché vuol dire sia straniero che ospite, e anche ospite, a pensarci bene, è una parola ambigua in italiano, perché indica una persona che ospita, ma anche una persona che è ospitata. Che in greco phobos, fobia, vuol dire paura, lo sapevo già, come lo sanno tutti.

Alla luce di tutto questo, come si dice, oggi ho scoperto di essere xenofobo, perché quando sono ospite in casa d’altri ho sempre paura di disturbare e ho l’impressione che la persona che mi ospita non sia contenta di ospitarmi, e così dopo un po’ mi vien voglia di andare via.

Accanto a questa mia xenofobia passiva, diciamo, cioè che riguarda il mio essere ospitato, ce n’è anche una attiva e così, quando c’è un ospite a casa mia, ho sempre l’impressione che si senta come mi sento io quando sono ospitato, e allora cerco di fargli capire che sono contento di ospitarlo, altrimenti, penso, dopo un po’ gli verrà voglia di andare via, e mi dispiacerebbe.

L’unica cosa che non so è se a chi mi ospita dispiace che a me dopo un po’ venga voglia di andare via. La prossima volta glielo chiedo.

Dibattito

Sunday, October 14th, 2018

[Entrano il rappresentante del Partito dei Poveri (PdP) e il rappresentante del Partito dei Ricchi (PdR). Si siedono al tavolo al centro della scena, uno a destra, l’altro a sinistra. Sul lato lungo del tavolo, in mezzo ai due e rivolto al pubblico, il moderatore tace, girando la testa a destra e a sinistra a seconda di chi parla, come si fa guardando una partita di tennis. Inizia il dibattito].

PdP: Noi del Partito dei Poveri toglieremo qualcosa ai ricchi per darlo ai poveri. Solo così i poveri potranno essere meno poveri.

PdR: Noi del Partito dei Ricchi aumenteremo la ricchezza prodotta dal sistema. Solo così i poveri potranno essere più ricchi.

PdP: Voi del Partito dei Ricchi volete aumentare la ricchezza prodotta dal sistema per tenervela in tasca, come avete sempre fatto.

PdR: Voi del Partito dei Poveri volete solo mettere le mani in tasca ai ricchi, come avete sempre fatto. Ladri!

PdP: Ladri voi del Partito dei Ricchi, che togliete il pane ai poveri per arricchirvi. Pescecani!

PdR: Noi del Partito dei Ricchi vogliamo che tutti siano più ricchi. Idioti!

PdP: Noi del Partito dei Poveri vogliamo che tutti siano meno poveri. Dementi!

PdR: Più ricchi!

PdP: Meno poveri!

PdR: Più poveri ricchi!

PdP: Più ricchi poveri!

Moderatore: Stop!

PdR: […]

PdP: […]

Moderatore: Pubblicità!

Fine.

Atto unico

Tuesday, September 4th, 2018

Entra in scena uno con la faccia da slovacco e grida: Prima gli slovacchi! Poi entra uno con la faccia da circasso, si mette di fianco allo slovacco e grida: Prima i circassi! Poi entra uno con la faccia da francese, si mette di fianco al circasso e grida: Prima i francesi! Poi entra uno con la faccia da filippino, si mette di fianco al francese e grida: Prima i filippini! Poi entra uno con la faccia da peruviano, si mette di fianco al filippino e grida: Prima i peruviani!

Si dispongono in cerchio, e ciascuno appoggia le mani sulle spalle di chi ha davanti. Il peruviano gira la testa indietro e grida allo slovacco: Visto che sono prima di te? Lo slovacco gira la testa indietro e grida al circasso: Visto che sono prima di te? Il circasso gira la testa indietro e grida al francese: Visto che sono prima di te? Il francese gira la testa indietro e grida al filippino: Visto che sono prima di te? Il filippino gira la testa indietro e grida al peruviano: Visto che sono prima di te?

Il peruviano fa una faccia da peruviano perplesso e dice con tono marcatamente filosofico: Ma se tu che hai parlato per ultimo sei prima di me che ho parlato per primo, allora chi è il primo?

Si girano tutti verso il pubblico e dicono con voce tranquilla e gaia: Andiamo ben a farci una grigliata in spiaggia.

Escono in ordine sparso.

Fine.

Svezia

Sunday, September 2nd, 2018

SveziaIn Svezia ci sono stato quasi per sbaglio una volta sola in cinquantasei anni, eppure ce l’ho sempre in testa, la Svezia, e tutte le volte che ci penso, penso che è quasi incredibile il numero di volte che per una ragione o per l’altra ho incrociato la Svezia in vita mia. A parte la regina Cristina, il premio Nobel, gli Abba e i mostri sacri della letteratura e del cinema, che quelli li conoscono tutti, c’è tutto un repertorio di ritagli personali che mi legano alla Svezia. L’unica volta che sono stato in Svezia ho preso un autobus da Copenaghen, che è in Danimarca, e sono andato a Malmö, che è in Svezia, passando sul famoso ponte Oresund, che se non sbaglio in danese si chiama Øresund e in svedese Öresund, e se ci ho preso è anche l’unica parola che so scrivere in danese e in svedese. Ma non divaghiamo.

A Malmö ci sono stato solo qualche ora, un dicembre di dodici anni fa, eppure mi ricordo un sacco di particolari, che per me che ho la memoria di un pesce rosso è già una cosa straordinaria, e questo avvalora l’ipotesi che fra me e la Svezia dev’esserci un legame strano, qualcosa di indecifrabile che fissa la Svezia nella mia testa molto meglio di quanto succeda per la Danimarca o, che so io, per la Repubblica Ceca o per il Portogallo.

A Malmö mi ricordo un grattacielo un po’ contorto progettato dal famoso architetto Calatrava, diceva la guida turistica che avevo comprato a Copenaghen, e mentre ero lì che guardavo quel grattacielo da lontano è passato un signore su una bici da corsa, che si è fermato quando gli ho chiesto delle indicazioni. Gentilissimo. Ma a parte la gentilezza mi ricordo che aveva le orecchie quasi viola, perché quel giorno a Malmö c’era un vento gelato che portava via, e nonostante il vento e il gelo lui non aveva rinunciato alla sua corsetta in bici, coi pantaloncini corti da ciclista e senza guanti. Roba da congelarsi le dita, per tacere delle orecchie.

Mi ricordo anche che c’era una concentrazione molto alta di negozi e atelier di arredamento, e forse anche una scuola di design, che però era chiusa. A pranzo sono stato in un ristorante dove ho mangiato dell’ottima carne alla griglia e mi ricordo perfino il bagno, che aveva la porta scorrevole e la luce automatica, che sono dettagli che non ricordo neanche nei posti dove vado abitualmente, per dire come mi si fissano in testa le cose della Svezia.

Poi mi ricordo che uno dei miei bambini aveva esaurito lo spazio sulla scheda di memoria della macchina fotografica, ed era un po’ triste perché non voleva cancellare le foto che aveva già fatto per farne delle altre. Allora abbiamo girato un po’, e alla fine abbiamo trovato un negozio che le vendeva. Un negozio minuscolo, un solo locale di non più di quattro metri per quattro, seminterrato e senza finestre, che tra scaffali e bancone era così pieno che ci potevano entrare al massimo due o tre persone per volta. E aveva anche un cartellino sulla porta con su scritto “Cash only”. Andiamo bene, ho pensato, perché in tasca avevo solo euro e corone danesi. Il commesso, gentilissimo anche lui come il ciclista assiderato, non parlava tanto bene l’inglese, ma ci siamo capiti benissimo lo stesso. Gli ho detto subito che non avevo corone svedesi, gli ho fatto vedere gli euro e le corone danesi, e lui ha detto “Ok”. Ha preso la macchina fotografica, ha provato la scheda nuova per controllare che funzionasse, ha calcolato il cambio fra corone danesi e svedesi, l’ho pagato e sono uscito con mio figlio tutto contento che aveva già ricominciato a scattare fotografie.

Qualche anno dopo, in Sicilia, ho incontrato un signore di Göteborg che era in vacanza con la moglie, e quel giorno era andato come me alle gole di Tiberio, che è un posto bellissimo, un fiume incanalato fra due pareti di roccia alte cinquanta metri dove si può anche fare il bagno nuotando in mezzo alle anguille. Quando gli ho raccontato del mio unico passaggio in Svezia, a Malmö, lui ha detto “Why Malmö?”, con un tono di voce e una faccia allegra che lasciavano capire benissimo il sottinteso, cioè che in Svezia secondo lui ci sono posti molto più belli di Malmö da vedere. Quando poi gli ho detto che sono andato a Malmö solo perché ero in Danimarca e ci potevo arrivare facilmente grazie al famoso ponte Oresund, con lo stesso tono di voce e la stessa faccia allegra ha detto “Why Denmark?”, con il chiaro sottinteso che secondo lui è molto meglio la Svezia della Danimarca per andarci in vacanza, e devo dire che quel suo umorismo con qualche venatura di irriverenza mi ha sorpreso, per via di un pregiudizio che avevo sui popoli nordici che, chissà perché, dovevano essere tutta gente molto seria, vagamente asociale e anche un po’ noiosa, per via di quegli inverni lunghi, freddi e con le giornate cortissime che li costringono a stare in casa. Son poi passati degli altri anni prima che mi capitasse di leggere in un libro che una cosa più belle della Svezia sono le giornate estive lunghissime, che stimolano la gente a restare fuori casa fino a tardi, e solo allora ho collegato le due cose, cioè che alle giornate cortissime d’inverno si alternano quelle lunghissime d’estate, e ho capito che il mio pregiudizio sul carattere dei popoli nordici era una cretinata.

E niente, proprio oggi ho letto che il 9 settembre in Svezia si vota, e anche lì sembra che ci siano dei problemi che assomigliano ai nostri, tra partiti tradizionali che perdono consenso, disordini, impoverimento e tensioni sociali, e mi è venuto da pensare che spero che quel ciclista con le orecchie viola, il negoziante cash only di Malmö e la coppia di Göteborg stiano tutti bene e che se hanno qualche problema possano superarlo presto, loro e tutti gli svedesi.

Famiglia e disabilità

Friday, June 22nd, 2018

Con il nuovo governo è arrivato il Ministero per la Famiglia e le Disabilità, che è l’inveramento governativo di un vecchio articolo di Giorgio Manganelli, uno che con la famiglia aveva un rapporto tutt’altro che idilliaco. La “famiglia che, per vivere, ti fornisce di laurea e di una certa quantità di demenza”, come scriveva in un altro articolo, era per lui una fucina di terrori e di delitti, quindi una fonte preziosa per la letteratura, che di delitti e di terrori si alimenta.

Sia chiaro, non ce l’ho col neo ministro Fontana: non mi sembra un bandito né un genio, quindi non credo che potrà fare molti danni. Mi interessa soltanto l’accostamento linguistico e culturale tra famiglia e disabilità che il nuovo ministero sancisce, un accostamento non privo di realismo: che tutte le famiglie siano un po’ disabili, ognuna a suo modo e misura, lo si sapeva da un pezzo.

Un paio di generazioni fa, Orwell, a proposito del matrimonio, scrisse: «Quando si trova un coniuge ammazzato, la prima persona inquisita è l’altro coniuge: questo la dice lunga su quel che la gente pensa del matrimonio».

I tempi corrono, ed oggi la situazione è più complessa. Tra gli inquisiti non c’è più solo l’altro coniuge, ma i figli. È bene accertare se fra costoro qualcuno sappia usare armi da fuoco, mazze ferrate, o abbia una modesta competenza in fatto di veleni. Se muore un bambinello in circostanze sospette, sarà bene vedere se reca tracce di ecchimosi, se era denutrito o genericamente detestato. Non invento nulla, e poi non ho neanche fantasia; l’handicappato ammazzato a bastonate in una famiglia numerosa non l’ho fabbricato io, e neppure i giornali. Coloro che hanno commesso il delitto non erano delinquenti; vivevano una misera vita, e sarebbero stati onesti, non avessero avuto famiglia.

[G.Manganelli, da un articolo su il «Corriere della Sera Illustrato», 2 agosto 1980, ora in Mammifero italiano, Adelphi 2007, pag. 47-48]

Remember, remember fifteenth of november

Thursday, November 16th, 2017

Il 15 novembre, negli ultimi cinquantacinque anni, mi sono capitate tre cose rilevanti: sono nato, è morto mio padre, mia madre ha subito un’operazione al cuore.

Le concomitanze di calendario sono cibo ghiotto per l’immaginazione, che è la madre delle pseudo scienze: l’astrologia è un sistema fondato interamente sull’ipotesi che nascere in un determinato periodo di tempo determini il carattere e la fortuna di un essere umano. L’immaginazione porta a credere che cose rilevanti accadute nello stesso giorno dello stesso mese siano qualcosa di più di una coincidenza: deve significare qualcosa. Quasi mai, però, l’immaginazione riesce a stabilire cosa diavolo dovrebbe significare, e questo è un po’ frustrante, perché poi la concomitanza resta lì, con tutto il potere simbolico delle analogie: il 15 novembre sei nato, così come tuo padre è morto, così come tua madre è stata operata al cuore, dice insidiosa la vocina interiore, calcando la mano sulle similitudini.

I due gesti che il mio psicoterapeuta ripeteva più spesso erano portare due dita alla fronte e la mano aperta sul petto. Le parole che accompagnavano i gesti garantivano che la testa, la mia, funzionava fin troppo bene, e che se proprio doveva esserci un problema non era lì, ma là, dove la mano aperta indicava il cuore, cioè la sede arcana dei sentimenti e delle emozioni.

Un razionalista con l’emotività di un paramecio non funziona benissimo, proprio come un sentimentale con la razionalità di un’ameba. Il grande segreto della vita sta tutto nel cercare (non nel trovare) l’equilibrio tra ragione e sentimento. Purtroppo non esiste psicoterapeuta al mondo che possa spiegare come svelare quel segreto, se non è un ciarlatano.

Io resto qui a domandarmi cosa c’entra con me il fatto che mio padre è morto il giorno in cui sono nato, che è lo stesso giorno in cui mia madre è stata operata al cuore. Resto qui a non capire se significa qualcosa, che non è una ragione sufficiente per smettere di chiedermelo. E come me, ho le prove, ci sono decine di persone che si chiedono cose simili senza trovare risposte, forse perché non è possibile rispondere a domande del genere.

Questo è un racconto. Ci sono cose intime che vale la pena raccontare. Le cose che vale la pena raccontare non sono quelle soddisfano il desiderio di essere amati, ma quelle che soddisfano il desiderio di amare. Non ci sono mai riuscito, ma continuo a provarci.

L’intelletto degli anglosassoni

Monday, February 6th, 2012

di Antonio Gurrado

Non l’ho letto e mi piace

Sunday, January 22nd, 2012

Gaia ServadioGaia Servadio ha scritto — secondo l’autorevole parere di Giulio Mozzi — “il romanzo più divertente di tutta la letteratura italiana del Novecento”. Il romanzo in questione, intitolato Tanto gentile e tanto onesta, fu pubblicato nel 1967 da Feltrinelli. Qui una recensione all’edizione americana uscita nel 1968 con il titolo Melinda.

Oggi, gironzolando per librerie, non solo ho beccato una quarta edizione di Tanto gentile e tanto onesta allo stratosferico prezzo di dieci euro, ma anche un altro libro a firma Servadio, Feltrinelli 1968, otto euro, che in realtà contiene due libri: Don Giovanni e L’azione consiste.

Entrambi i volumi fanno parte della collana “I Narratori”. Tanto gentile e tanto onesta ha la copertina rossa con il nome dell’autrice scritto in giallo. L’altro volume ha la copertina gialla con il nome dell’autrice scritto in rosso. In realtà ha due copertine, una per Don Giovanni e una per L’azione consiste. Per spiegare il modo in cui le due copertine (e, di conseguenza, le due parti del libro) sono giustapposte, capovolte, sottosopra, varrà, come suol dirsi, più l’immagine che la parola.

Gaia Servadio, Don Giovanni e L'azione consiste, Feltrinelli 1968

Tanto gentile e tanto onesta l’ho letto qualche tempo fa, per interposto Mozzi, e posso dire senza esitazione che mi piacque. Il duplice libro dalla copertina gialla ancora non l’ho letto, non del tutto, ma dico in anticipo che mi piace. Fin dalle prime battute, infatti, ci ho trovato il triplice segno che contraddistingue questa ahimè poco conosciuta principessa della letteratura italiana: allegria, eleganza e (auto)ironia. L’azione consiste inizia così:

“Voglio anche vedere che no.” Parlava in modo così strano. Bisogna che trovi un nome per quest’uomo. I nomi sono le cose più difficili dei romanzi. Se ci metto Marco o Carlo mi diventa subito raffo. Peggio Charles o Peter. Né nazionalità, né luogo, né tempo. Guardare nel dizionario mitologico e nel Who’s who. Per ora lo chiamo Q.
“Mi dice allora che fare?” disse la protagonista.
Lo stesso per lei. Un bel nome ci vuole. Deve essere un po’ sdato. Un nome già molto usato che con lei diventa tutto diverso.

Giusto per la cronaca, e senza voler anticipare nulla di questo invisibile capolavoro della letteratura italiana contemporanea, la protagonista si chiama Salomè.

Riporto infine le note biografiche dell’autrice che si trovano in prefazione alle due parti del volume giallo, lasciando al lettore il piacere e l’onere di decidere quale delle due sia più vicina al vero.

Da L’azione consiste:

Fin da giovanissima Gaia Servadio, nata a Roncolano nel 1894, si dedicò alla letteratura ed alla politica. Si parlò di lei per la prima volta quando, a Livorno, venne cacciata dal partito comunista. Più tardi, dopo essersi laureata in filologia nell’università dell’Ohio e in teologia copta in Minnesota, pubblicava in Italia gli ormai classici La Pacioccona, La Padovana e La Baldraccona. Vinceva nel ’33 il premio Campus Belli per la letteratura. Tornata in Italia collaborò a “I fasci lavoratori” per cinque anni. Nel ’42 vinceva il Premio Fiesso d’Artico per la saggistica. Dopo la guerra rifletteva sulle sue associazioni nell’ormai famosissimo libro Ho sbagliato e si iscriveva al partito comunista. Così, al pamphlet La razza ariana e la razza ebrea (pubblicato in tedesco e in italiano nel ’40) faceva seguire, idealmente, nel ’50, L’amore del prossimo. Nel ’53 le venivano attribuiti contemporaneamente lo Stresa e il Gardone. Poco prima di mancare, nel 1963, era stata eletta sindaco socialista di una cittadina degli Abruzzi. La sua posizione culturale e la sua schiettezza ed esuberanza politica hanno fatto di questa scrittrice uno dei più grandi personaggi italiani del secolo.

Da Don Giovanni:

Gaia Servadio è nata nel 1938. Dal 1956 risiede a Londra. Nel 1956 si trasferisce in questa città per specializzarsi in grafica e tipografia; studia alla Camberwell School, St. Martin’s, London University. Si laurea nel 1960 e, nello stesso anno, sposa William Mostyn-Owen, storico dell’arte e assistente di Bernard Berenson. Ha due bambini, Owen ed Allegra, vive tra Londra e la Scozia.
Ha collaborato a “Il Mondo”, “L’Espresso”, “Il Caffè”, “La Gazzetta di Parma”, “Il Corriere della Sera”, “The Daily Telegraph”, alla BBC Television, alla BBC italiana e alla RAI.
Il suo primo romanzo, Tanto gentile e tanto onesta, sta per essere pubblicato in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Francia e in Germania.
Attualmente collabora a “La Stampa”, “Stampa-Sera” e alla “Fiera letteraria”.

Carmina dant panem (pochino, ma lo danno)

Tuesday, December 6th, 2011

Copincollo dal sito dell’editore SenzaPatria.

SenzaPatria Editore ringrazia quanti hanno finora acquistato il libro di fiabe C’era (quasi) una volta.
Un primo bonifico di 400 euro e’ stato accreditato sul conto intestato alla onlus NutriAid per la tutela dei diritti dell’infanzia.
Chi volesse finanziare il progetto puo’ richiedere il libro a info@senzapatriaeditore.it

Feed

Saturday, March 12th, 2011

Oggi, fedele al mio bradipismo tecnologico, ho attivato i feed su feedburner. Chi segue o vorrebbe seguire il blog via feed può sottoscriverli qui: http://feeds.feedburner.com/letturalenta

Alluvione

Tuesday, November 9th, 2010

La cosa migliore che ho letto fin qui sull’alluvione nel vicentino è questa.

In rete circolano i peggiori (ri)sentimenti verso gli alluvionati veneti, riassumibili in un motto di questo tipo: “Avete votato quei razzisti xenofobi secessionisti della Lega Nord? Mo arrangiatevi”.

Non sono d’accordo.