Posts Tagged ‘499 caratteri’

Ginestra

Tuesday, May 1st, 2012

In una casa sopra Monterenzio abitava Ginestra, così detto perché tra primavera ed estate coglieva ginestre fiorite ai bordi delle strade, e poi le piazzava fuori e dentro casa, a centinaia, usando come vasi i vuoti dell’acqua minerale che raccoglieva nel resto dell’anno. Come facesse a campare nessuno lo sapeva. La sera scendeva in paese e a ogni ragazza che incrociava spalancava le braccia e gridava: vieni qui e dammi un bacio. Tutte le ragazze ridevano. Qualcuna il bacio glielo dava davvero.

Invidiare i morti

Wednesday, April 11th, 2012

Al funerale Pietro raccontava di quando lui e il povero Paolo, ragazzini, scorrazzavano in campagna: saltavamo i fossi in lungo, diceva, trasmettendomi l’immagine di due gatti con gli stivali capaci di percorrere sette leghe per passo. Poi le tribolazioni, i figli, i pensieri che non finiscono mai. E più lui commemorava, più io mi convincevo che Pietro un po’ invidiasse Paolo, che pensieri non ne aveva più. E quest’idea, l’idea che si può anche arrivare a invidiare i morti, mi dava il capogiro.

Un taccuino

Tuesday, April 3rd, 2012

Tolta di mezzo un bel po’ di fuffa virtuale, ecco che torna la vita, quella solita, talvolta brutta, talvolta bella, noiosa mai. Riemerge per prosciugamento, come un paese dall’alluvione man mano che l’acqua e il fango si ritirano, al contrario, cominciando dai tetti delle case, poi giù fino alle strade e ai fossi, senza fretta. Qua e là fioriscono arabeschi di melma in via di essiccazione. C’è un ometto che si gode il sole su una panchina quasi asciutta. Ha un taccuino sulle ginocchia, scrive.

Volevo dirti, infine

Tuesday, May 3rd, 2011

Grazie per la pronta risposta alla nostalgia dell’Armando e mia. Ci contavo, ma devo dire che l’oremus fratres ha superato le mie aspettative: ho riso di gusto, di quel riso ridanciano che ha come sfondo un cordiale vaffanculo all’universo mondo (le rime interne sono un goffo tentativo di imitazione). Volevo dirti, infine, che, per quanto tu taccia (e sanno i numi quanto vorrei avere il coraggio di tacere anch’io), resta il mio desiderio di saperti sana e salva e, nei limiti dell’umano, felice.

Parlare di tagliatelle

Wednesday, April 20th, 2011

L’altro giorno mi ero appena seduto di fronte a un bel piatto di tagliatelle e ho pensato: parlare di libri è un po’ come parlare di tagliatelle. Non è meglio mangiarle? Cosa succede se uno, davanti a un bel piatto di tagliatelle, si mette a parlare di tagliatelle anziché mangiarle? Succede che a lui resta la fame, mentre le tagliatelle diventano un gomitolo seccaticcio e finiscono nella spazzatura. Ho concluso questo pensiero proprio sull’ultima forchettata di tagliatelle. Erano davvero buone.

L’uomo dei dipinti

Tuesday, April 5th, 2011

L’uomo dei dipinti camminava al centro della strada, sotto il braccio sinistro una cartella di cartone da cui spuntavano bordi di fogli colorati. Interrogava i passanti alzando la mano destra, l’indice sollevato: vuole vedere i dipinti? Quasi tutti lo scansavano, alcuni lo mandavano al diavolo, ma l’uomo con la giacca di pelle nera si fermò, ascoltò la domanda guardandolo negli occhi e, sorridendo, declinò l’invito. L’uomo dei dipinti lo guardò allontanarsi, immobile, l’indice ancora sollevato.

Una lingua sconosciuta

Tuesday, March 29th, 2011

Si chiamava Jochim, capelli scuri e lisci, occhi chiari e seri. Lui non capiva una parola di italiano, io non capivo una parola di tedesco, ma sulla spiaggia di Miramare giocavamo sempre insieme. Io avevo dieci anni, lui undici, e la sera, dopo la cena a orario comandato, giocavamo ancora nel cortile dell’albergo, costruendo un’allegra amicizia muta. Il giorno in cui partì ci guardammo a lungo, senza parlare e senza piangere, con il cuore che nel petto parlava una lingua sconosciuta, durissima.

Il Professore

Tuesday, March 22nd, 2011

Tutte le sere giocava a biliardo nel bar di Via Protti, vicino al Ponte Vecchio. Gli altri giocatori lo chiamavano Professore perché vestiva strano, camicia panciotto e cravatta. Durante le discussioni di politica, il Professore se ne stava in disparte a osservare i contendenti con sguardo grave, senza intervenire. Poi, quando la polemica si smorzava, tirava un gran sospiro e chiosava: se li prendi uno per volta gli uomini son brave persone. È quando si mettono assieme che diventano pericolosi.

Either one

Tuesday, March 15th, 2011

Una volta, in treno, c’erano un signore e una signora inglesi sulla cinquantina. Lei stava alla mia destra, lui di fronte a lei. Lui guardava fuori dal finestrino, taciturno, con aria stanca e depressa. A mezzogiorno la signora inglese cominciò a togliere cibo da una borsa, offrendo al signore mille alternative: sandwich con uovo e maionese o tramezzino al tonno? Mela o arancia? Acqua o tè? A ogni proposta lui rispondeva senza entusiasmo: either one. Poi tornava a guardare fuori dal finestrino.

La fiòpa

Tuesday, March 8th, 2011

Vicino all’argine del Reno c’erano i pioppi di Callegari, che abitava in una cascina poco distante. Callegari era uno che parlava poche volte e con poche parole. Una mattina, in un bar di Renazzo, c’era Callegari a un tavolino col suo caffè e il Resto del Carlino, come sempre. Stava leggendo un articolo intitolato “Il papa rivendica le radici cristiane dell’Europa”. A un certo punto, senza rivolgersi a nessuno in particolare, Callegari disse: la fiòpa l’ha i radìs, mo me an son menga ‘na fiòpa.

Angiolino

Tuesday, March 1st, 2011

In una roulotte vicino alla cabina elettrica dormiva Angiolino. Nessuno sapeva quanti anni aveva o di chi era figlio: forse era lì da sempre, forse era arrivato cent’anni prima su una nave di pirati, dicevano. Dalle cinque del mattino camminava su e giù per il lungomare sciorinando il suo monologo meteorologico continuo: domani libeccio, non uscire in mare; oppure: arriva scirocco, domani piove. Era matto, certo, ma non sbagliava mai. Al suo funerale, pagato dal comune, piangeva tutto il paese.

Signore

Tuesday, February 22nd, 2011

In treno, tra Roma e Bologna, furono mie compagne di viaggio una giovane filippina e sua figlia di quattro anni. Entrambe sfoggiavano splendidi sorrisi color nocciola. La bimba mi mostrava i disegni colorati che andava creando su un quadernetto, mentre la madre mi raccontava le imprese di una donna di nome Signora, dicendo ogni tanto alla bambina: non disturbare il signore. Poco prima del mio arrivo (loro proseguivano per Milano), la mamma mi domandò: signore, anche tu a casa tua hai pilippina?

L’inquieta zitella

Tuesday, February 15th, 2011

La maestra aveva quarant’anni e non era sposata. Le quarantenni non sposate erano chiamate zitelle dal popolino illetterato. La maestra zitella non si arrabbiava: ella si inquietava, perché, diceva, secondo la lingua italiana ad arrabbiarsi sono i cani, mentre gli esseri umani, che cani non sono, si inquietano. Quando si inquietava, la maestra urlava: io mi domando e dico! Nessuno di noi bambini ha mai saputo che cosa si domandasse l’inquieta zitella, né ella aggiunse mai un vero detto al dico.

Già si fa fatica a trovarne

Tuesday, February 8th, 2011

Il soprannome di Mario era Busone. Se qualcuno lo salutava con un ciao Mario, quasi si offendeva. Mario non aveva mai nascosto la propria omosessualità, anzi, ci teneva molto a far sapere in giro che gli piacevano i maschi, perché, diceva, già si fa fatica a trovarne, figùrati se pensano che mi piacciono le donne. Passata la sessantina, ricordando gli amori eroici della gioventù, concludeva: eh, alla mia età, con il cuore che comincia a perdere colpi, i bocchini è meglio farli che farseli fare.

Poche pippe

Tuesday, February 1st, 2011

Mengoli Antonio di mestiere faceva lo spazzino. Quando al bar arrivava uno nuovo, si presentava a voce alta: Mengoli Antonio, spazzino assunto con contratto a tempo indeterminato presso l’azienda municipalizzata della nettezza urbana, AMNU. Sempre così, anche quando l’AMNU divenne AMIU, poi ACOSER, SEABO e chissà cosa. Un giorno, era ormai prossimo alla pensione, aggiunse: adesso ci chiamano operatori ecologici, ma a me non mi fregano: finché lavoro con la ramazza io sono spazzino, poche pippe.