Posts Tagged ‘critica’

Mele

Wednesday, June 30th, 2010

Renetta, tratto da winecountry.it/assets/besideWine/frutta/renetta.jpgSul quotidiano «Trentino» del 7 giugno scorso un articolo riportava una dichiarazione piuttosto forte di Roberto Saviano a proposito di mele e criminalità organizzata:

«Esponenti della ’Ndrangheta con la complicità di mediatori trentini si sono dati da fare per gestire la distribuzione delle vostre mele». Davanti a quasi mille persone che gremivano l’auditorium Santa Chiara lo scrittore anticamorra ha dato un esempio della pervasività delle mafie. Citando atti di un’inchiesta calabrese ha rivelato che il prodotto più tipico del Trentino stava per finire sotto il controllo del crimine organizzato.

Ieri, sullo stesso quotidiano, un altro articolo ha rivelato che Roberto Saviano, interrogato telefonicamente dai carabinieri a proposito di quella dichiarazione, se l’è rimangiata:

L’autore di «Gomorra» ha spiegato che le sue dichiarazioni «volevano avere un effetto choc di sensibilizzazione e allarme rispetto al significato prettamente documentale e giornalistico offerto l’indomani dalla stampa locale che, fra l’altro, titolava “I mafiosi sono qui tra le mele del Trentino”». Lo scrittore, insomma, non aveva elementi concreti per dire che l’invasione malavitosa era già in atto.

Lo stesso articolo ci informa che già l’8 giugno «la Procura di Reggio Calabria aveva negato che fosse in corso alcuna indagine o inchiesta», contrariamente a quanto affermato da Saviano.

Domande:
1. È lecito pensare e scrivere che in questa occasione Saviano ha preso una cantonata? (risposta mia: sì).
2. È lecito pensare e scrivere che Saviano non ha fatto una verifica accurata delle fonti quando ha citato un’inchiesta giudiziaria poi rivelatasi inesistente? (risposta mia: sì).
3. È lecito — dopo aver risposto sì alle prime due domande — concludere che con le sue dichiarazioni Roberto Saviano aveva intenzione di assalire gli onesti distributori di mele trentine “ricorrendo ai più bassi trucchi del mestiere — omissioni, falsificazioni, uso scorretto delle fonti, vere e proprie menzogne”? (risposta mia: no).

Il virgolettato dell’ultima domanda è tratto da questo articolo comparso su Carmilla il 22 giugno scorso, una dura e argomentata critica al libro Eroi di Carta di Alessandro Dal Lago, purtroppo rovinata da quella stoccata finale ad hominem e da una conclusione che puzza lontano un miglio di character assassination:

Ecco chi è l’uomo che sparò all’autore di Gomorra: un ego ipertrofico, esorbitante. Ci si potrebbe chiedere, alla maniera del vecchio Kant, cosa c’è nell’animo di un tale esorbitante individuo. O almeno, qual è l’odore che esorbita da un simile animo quando ironizza sul «Siamo tutti Saviano».

Il malcostume di sfruttare la critica a un testo per insultare l’autore è più diffuso di quanto si sia generalmente disposti ad ammettere.

Compito per le vacanze (da me a me medesimo assegnato, beninteso): rileggere molto, molto attentamente Contro Sainte-Beuve di Proust.

Tira di più il porno o Gesù?

Tuesday, April 27th, 2010

tratto da tratto da it.wikipedia.org/wiki/File:Umberto_Eco_01.jpgLeggo su Giornalettismo che Umberto Eco in un’intervista al quotidiano spagnolo «El Pais» si scandalizza perché in Internet il porno tira più di Gesù e di Padre Pio. Testuali parole:

El último artículo que he escrito dice: “Busquemos en Internet a Padre Pío”; reflejaba los 1.400.000 sitios en que aparecía este nombre. Busquemos a Jesús: 3.500.000. Busquemos porno: 130.000.000. Porno gana por 100 veces a Jesucristo.

Traduzione a capocchia:

L’ultimo articolo che ho scritto dice; “Cerchiamo in Internet Padre Pio”; [la ricerca] mostrava 1.400.000 siti in cui compariva questo nome. Cerchiamo Gesù: 3.500.000. Cerchiamo porno: 130.000.000. Porno vince su Gesù per cento a uno.

Il tutto all’interno di un discorso piatterello e cerchiobottista sui multiformi aspetti della grande rete, che secondo Eco — cito a caso — “in molti casi ha cambiato la nostra vita, la nostra capacità di documentarci, comunicare, ecc. E in alcuni casi si presta a diffondere notizie false” e altre amenità consimili.

Ora, io non pretendo che, ogni volta che l’Immenso parla, dalla sua bocca colino fiumi d’oro o svolazzino fumi d’incenso, e però, suvvia, che ne escano brandelli di chiacchera da bar mi sembra francamente eccessivo.

La prima e più ovvia osservazione che si può muovere a Eco è che per fare ricerche sensate in Internet occorre tener conto di come funziona lo strumento, per evitare di confrontare mele con pere. Nel caso di specie, se Eco avesse cercato Jesus anziché Gesù, con Google avrebbe trovato 194 milioni di siti, contro i 197 milioni che avrebbe scovato cercando porn anziché porno. L’ovvia differenza è che, mentre i termini porn (tendente all’uso universale) e porno (quasi idem) si trovano molto spesso affiancati negli appositi siti — e quindi cercando l’uno è molto probabile trovare anche l’altro — questo non succede per i termini Gesù e Jesus, essendo il primo esclusivamente italiano, l’altro quanto meno inglese e spagnolo, le due lingue europee più diffuse al mondo (mondo al quale, sia detto sommessamente e tra parentesi, appartiene anche Internet).

Conclusione: in Internet (più precisamente in Google) il porno batte Gesù per 197 a 194, un risultato ben lontano dal 100 a 1 millantato da Eco.

Seconda osservazione, di poco meno ovvia della prima: siamo sicuri che l’abbondanza di pornografia in rete è male, mentre quella di Gesù è bene? Lascio al lettore (e ovviamente a Eco) l’onere di rifletterci un po’ su.

Terza e ultima osservazione. Dice Eco: “non si sa mai se quello che si legge in Internet è vero o falso. Questo non succede con i giornali o con i libri. (…) Con Internet non si sa mai chi parla”.

Questo è un caso lampante di sindrome della fonte, che consiste nell’investire la fonte di un’affermazione del potere di predeterminarne la veridicità, con buona pace del senso critico. Una delle verità più incrollabili da tempi non sospetti è che tutte le fonti di notizie e di saperi sono parimenti inaffidabili fino a quando l’intelletto umano non si prende la briga di criticarle, ovvero di sottoporle ad attenta e spietata analisi. Lo si sa almeno dai tempi in cui Lorenzo Valla dimostrò che la Donazione di Costantino — fonte autorevolissima — era una bufala totale.

In assenza di senso critico non c’è fonte che tenga, quindi chiudo raccomandando a tutti i lettori di Umberto Eco — possano i numi conservarlo integro e glorioso nei secoli — di navigare in lungo e in largo su Internet, siti porno compresi, purché lo facciano sempre con gli occhi bene aperti e le orecchie ben protette dai canti delle sirene e dai sermoni dei sapienti.

Una scrittura bella

Friday, December 11th, 2009

Talvolta capita, leggendo in giro, che il lettore scovi ponderose riflessioni e accesi dibattiti sui doveri dello scrittore: e chi dice che lo scrittore ci deve avere l’impegno civile; e chi dice che la scrittura deve cambiare il mondo; e chi dice che lo scrittore deve scrivere chiaro; e chi dice che deve scrivere scuro; e chi dice. Gli autori di queste ponderose riflessioni son il più delle volte persone che pubblicano libri: romanzi, poemi, saggi di critica letteraria.

Altre volte capita, leggendo in giro, che il medesimo lettore si imbatta in una scrittura bella, semplicemente bella, con uno stile miracolosamente commisurato al contenuto, un bel ritmo, una singolare capacità comunicativa. Una scrittura che dice, senza che nessuno le dica cosa dovrebbe dire. Una scrittura che è, senza preoccuparsi di come dovrebbe essere. Potrei sbagliare, ma scommetto che l’autrice di questo gioiellino non ha mai pubblicato un romanzo, un poema, un saggio di critica letteraria.

Quello volte lì, quando trova una scrittura bella, il lettore intuisce che chi scrive ha un dovere solo: scrivere bene.

Lettori lenti antibufala

Wednesday, January 18th, 2006

Bufala, tratto da www.semtech.itDieci giorni fa lo scrittore Giacomo Sartori chiedeva svariate cose ai critici dei critici. Prima fra tutte questa:

Segnalare e/o far circolare testi critici interessanti/innovativi, pubblicati su quotidiani, su riviste di varia natura, o all’interno di opere saggistiche, o anche inediti; ma anche di mettere in relazione testi critici di varia natura, di confrontarli, di ragionarci sopra, criticarli.

Ligio al dovere, segnalo.

Segnalo un articolo critico interessante in cui Luigi Weber dimostra con ampie argomentazioni e puntuali riferimenti testuali che Con le peggiori intenzioni di Alessandro Piperno, Mondadori, è una scopiazzatura di quart’ordine dei romanzi di Philip Roth.

E poi segnalo un altro articolo critico interessante in cui Piero Sorrentino dimostra, con acribia non inferiore a quella di Weber, che l’ultimo libro di Giorgio Bocca – Napoli siamo noi, Feltrinelli – ha svariate caratteristiche degne d’attenzione:

1. Costa una cifra, ovvero 14 euro per meno di 108 pagine stampate.
2. È pieno zeppo di refusi, svarioni e bufale.
3. È un coacervo di luoghi comuni su Napoli scritti da uno che Napoli non l’ha vista manco in cartolina.

Con sentenza inappellabile e irrevocabile, nomino Luigi Weber e Piero Sorrentino lettori lenti antibufala honoris causa, e li ringrazio pubblicamente per avermi fatto risparmiare fior di quattrini.

Prendere i critici a calci in culo

Saturday, January 7th, 2006

Calcio, tratto da www.smegalot.comIn un’intervista recente Philip Roth ha lanciato contro la critica letteraria una delle sue tipiche invettive al vetriolo. L’intervistatore dice "forse non dovremmo parlare affatto di letteratura", e Roth prende la palla al balzo:

Ha, ha. Questo è parlare! Starei a meraviglia se ci fosse una moratoria di cento anni sulle chiacchiere letterarie, se si chiudessero tutti i dipartimenti di letteratura e le riviste di libri, e si bandissero i critici. I lettori sarebbero soli coi libri, e chi osasse dire alcunché sui libri sarebbe arrestato o fucilato sul posto. Sì, fucilato. Una moratoria di cento anni sull’insopportabile chiacchiera letteraria. La gente dovrebbe essere lasciata sola a combattere con in libri e riscoprire cosa sono e cosa non sono. Tutto il resto sono chiacchiere. Chiacchiere senza senso. Quando si fanno generalizzazioni si entra in un mondo completamente diverso da quello della letteratura, e non ci sono ponti fra i due.

Sembra quasi che il racconto che mi ha dettato il post Critici simoniaci falsari abbia fatto due chiacchiere anche con Philip Roth. E forse anche con George Steiner, che in Vere presenze – saggio pubblicato nel 1989 – scriveva:

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Critici simoniaci falsari

Thursday, January 5th, 2006

Salvador Dalì, I simoniaci, tratto da www.italica.rai.itL’altro giorno questo signore qui spiegava cosa chiede lui alla critica. Tempo fa ebbi l’ardire di porre una domanda simile a un racconto (sì, capisco che può sembrare inverosimile, eppure io parlo ai racconti e loro mi rispondono. Generalmente ci diamo del tu). Cos’è per te la critica? chiesi a quel racconto. Quel che segue è la sua risposta.

Il commento, ah!, il commento! Parole su parole; frasi talentuose e dotte che si sovrappongono alle nostre per disvelarne i significati più reconditi. Quale racconto potrebbe resistere al secolare lavoro di sempre nuove schiere di alacri interpreti? Esiste davvero Pinocchio? esiste Don Chisciotte? No, no, non loro! non il racconto, ahimè, arriva a conquistare le vostre coscienze, ma il commento.

Il commento! Voi recensori e interpreti, insensati ospiti di parole di seconda mano, di quello vi gloriate; quello citate nei vostri afasici salotti letterari; quello mandate a memoria per figurare fra i cultori delle belle lettere. Vili birbanti! Mercanti di falsa moneta! Simoniaci! Voi fate commercio di ciò che fu dato gratuitamente all’umanità; voi esigete dalle intelligenze un tributo iniquo, perché non all’intelligenza sono destinati i racconti, ma alle profondità irragionevoli degli esseri umani. Non a ciò che riflette come levigato e gelido specchio noi ci rivolgiamo, ma a ciò che vibra e risuona come la ruvida segreta cavità di un istrumento a corde.

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Le diatribe letterarie (3 – Fine)

Wednesday, November 16th, 2005

War with pen by Robert Neubecker, www.neubecker.comChe stavo dicendo? Ah già, diatribe quantitative versus diatribe qualitative. Ora, è evidente che tutto questo mio sollazzevole girovagare attorno al tema (sollazzevole per me, beninteso) non è del tutto centrato sul problema e trascura molti dettagli, restituendo una visione alquanto parziale della questione. Parziale sia in quanto incompleta sia in quanto faziosa, ovvero soggettiva. Va detto peraltro che non mi preme affatto essere oggettivo e imparziale (ammesso che sia mai possibile esserlo).

Tramontata l’epoca delle diatribe letterarie, dunque, oggi viviamo in quella delle diatribe commerciali. Vendere o non vendere, questo è l’unico dilemma rimasto in circolazione. Chi vende sopravvive e alla lunga prospera. Chi non vende muore. Il numero di copie vendute stabilisce il canone contemporaneo, troncando sul nascere fastidiose dispute sul valore letterario di quel che si pubblica: se vende, vale. Punto. La Rowling è il più grande scrittore vivente, altro che Faletti, che racimola al massimo un paio di milionate di copie. Camilleri, misurato sull’opera completa, è il più grande scrittore italiano di tutti i tempi; seguono distanziati Baricco e De Carlo; la Tamaro è un po’ in ribasso.

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Le diatribe letterarie (digressione quasi seria)

Tuesday, November 15th, 2005

Con un tempismo davvero sorprendente, ieri Giulio Mozzi ha pubblicato su Vibrisse un articolo che sembra scritto apposta per esemplificare queste mie umili divagazioni diatribiche. L’articolo si apre su questa domanda: «Esiste un modo per capire quanto influisce sulla vendita di un libro il fatto che si attivi un passaparola in rete?» e prosegue a porre domande su come la rete può influenzare le vendite librarie, per poi concludere così: «Io sento la mancanza, in molti discorsi che ho letti e sentiti a questo proposito, di approcci sistematici agli aspetti quantitativi della faccenda. Mi si dirà che non ci sono solo gli aspetti quantitativi; ed è vero; ma gli aspetti quantitativi ci sono.»

Premetto che mi sembra giusto che Giulio Mozzi, che sui libri e sull’editoria ci lavora e ci campa la giornata, parli di libri e di editoria in termini quantitativi. Ciò detto, mi ha sorpreso che Giulio Mozzi sentisse la mancanza di ciò di cui io percepisco la troppità: le diatribe quantitative. Ho provato a porre il problema nei commenti all’articolo (i miei sono quelli firmati Luca Tassinari), ma non credo di aver fatto breccia nel cuore di Mozzi, che lì era tutto rivolto (e, ripeto, con ottime ragioni) all’economia. A un certo punto, rispondendo a me, Giulio Mozzi ha detto:

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Le diatribe letterarie 2

Sunday, November 13th, 2005

War with pen by Robert Neubecker, www.neubecker.comLà, dove arditi guerrieri si davano battaglia su questioni di stile, oggi si fronteggiano macchine da guerra potenti e disumanizzate e le discussioni vertono principalmente sui numeri. Gli aspetti industriali del libro hanno completamente soppiantato quelli critici. Le moderne diatribe letterarie sono pilotate dalle macchine dell’editoria, della distribuzione, del giornalismo di propaganda culturale, delle catene di librerie, alle quali naturalmente non frega un accidente il come della letteratura, ma solo il quanto.

L’altro giorno seguivo una simpatica discussione su un blog. Si era partiti da un’iniziativa a sostegno della piccola editoria, lanciata con enorme entusiasmo e un pizzico di ingenuità da Alberto Giorgi. Ben presto la discussione si è attestata su domande del tipo: chi vende di più? chi vende di meno? spostano più copie le recensioni in rete o quelle sui quotidiani?

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Le diatribe letterarie 1

Friday, November 11th, 2005

War with pen by Robert Neubecker, www.neubecker.comLe patrie lettere sono sempre state un gigantesco campo di battaglia percorso da avversi schieramenti. In campo letterario la passione per le diatribe e le polemiche è una costante apparentemente inesauribile. Tuttavia – come già dissi altrove, anche se non ricordo dove – le diatribe contemporanee si distinguono dalle antiche specialmente in due aspetti:

1. La durata, assai inferiore nelle moderne che nelle antiche.
2. L’argomento. E qui il discorso si fa lungo (eh eh eh!)

Orbene, analizziamo tritamente questo secondo punto. In antico si diatribeggiava attorno ad aspetti per così dire qualitativi della letteratura. Ci si chiedeva se le regole aristoteliche sull’unità d’azione tempo e luogo potessero essere violate; se la lingua volgare potesse sostituire la curiale; se l’autore dovesse intervenire o meno a spiegare o a commentare l’azione; cose così.

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Padri e figli

Sunday, October 16th, 2005

IlBoomDiRoscellinoUna delle questioni all’ordine del giorno della movimentata scena letteraria contemporanea è quella dei padri: esistono ancora o sono stati finalmente uccisi tutti? I poeti e i prosatori moderni riconoscono qualche loro maggiore o si considerano tutti figli di nessuno? Concetti come tradizione letteraria o canone hanno ancora qualche significato? E via questionando.

Il padre è figura notoriamente ambigua: amorevole, ma severo; giusto, ma quasi inaccessibile; autorevole, ma incline all’autoritarismo. Modello da imitare per prendere coscienza di sé, ma anche da abbattere per affermarsi pienamente. Quel che è certo è che il padre esiste solo quando un figlio lo riconosce come tale. E solitamente accade che il momento del riconoscimento coincide con quello del distacco e del simbolico parricidio: riconoscere il padre serve unicamente a disfarsene, salvo poi tesserne le lodi in un dignitoso epitaffio.

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