Posts Tagged ‘Giulio Mozzi’

Il suo amico

Wednesday, February 16th, 2011

Il suo amico sembra avere una curiosa disposizione a percepire le cose inesistenti, o assenti, con la stessa forza, se non con una forza più intensa, con la quale una persona qualunque percepisce le cose esistenti e presenti.

[G.Mozzi, Lettera accompagnatoria, in Questo è il giardino, Theoria 1993, Mondadori 1998, Sironi 2005].

Il primo racconto di Giulio Mozzi compie vent’anni, e come regalo ha scelto di regalarsi a noi lettori in comodo e gratuito formato elettronico.

Che cos’è la letteratura?

Wednesday, October 6th, 2010

biblioteca[Avviso al lettore frettoloso: questo post è lunghissimo perché, come diceva Pascal, non ho avuto il tempo di farlo più corto. Avrei potuto pubblicarlo a puntate, ma, a parte il fatto che un pippone a puntate resta pur sempre un pippone, pubblicarlo a puntate mi faceva fatica.]

Saranno cent’anni che gli intellettuali insistono a chiedersi “Che cos’è la letteratura?”, ma la risposta non arriva mai, e quando una risposta non arriva mai si danno solo due possibilità: o la domanda è molto difficile o è completamente scema. Aut aut, non si scappa.

Personalmente propendo per la seconda ipotesi, ma ammetto che la prima è più attraente, perché infonde in chi pone la domanda l’illusione di occuparsi di un argomento serissimo, non privo di una certa qual profondità filosofica e di una discreta rilevanza umanistica. Che cos’è la letteratura? — ci si chiede assumendo una posa adeguatamente cogitabonda — e subito ci si sente immersi nel mare delle questioni determinanti per la distinzione fra uomini e bestie e per la conservazione della specie.

Il Canone
Qualche risposta in giro si trova, a dire il vero, ma nessuna ha l’aria di essere definitiva. Una piuttosto classica è quella che fa coincidere la letteratura con l’insieme delle opere canonizzate nei secoli da circoli ristretti di lettori particolarmente colti e ferrati — gente che traduce Senofonte all’impronta e che sa distinguere al volo uno gliommero da una frottola o un’anastrofe da un iperbato, mica fave. Purtroppo costoro prediligono di solito opere di autori defunti da almeno un secolo e, prima di inserirle nel Canone, si impelagano in discussioni accesissime che possono durare decenni: al lettore che si affida a loro per sapere se il libro che sta leggendo è letteratura solitamente non basta la regolare vita terrena per ottenere risposta. Il Canone, poi, ha due difetti che lo rendono alquanto inaffidabile come risposta alla fatidica domanda: variabilità e strettezza. Non sto a sviluppare il concetto, tanto ci siamo capiti.

Aria di famiglia
Per rimediare all’angustia del Canone esiste una risposta che si potrebbe definire canone lasco o canone derivativo. Si tratta della famosa teoria dell’aria di famiglia: la letteratura è l’insieme dei testi che mostrano somiglianze più o meno marcate con opere che appartengono al Canone. Se leggendo, che so, il Don Chisciotte, un lettore secentesco notò una parentela con l’Orlando Furioso, e se l’Orlando Furioso all’epoca era canonico, quel lettore poteva concludere che il Don Chisciotte era letteratura proprio per via di quell’affinità.

Rispetto al Canone il metodo dell’aria di famiglia è più flessibile, più immediato e meno ristretto, e ha inoltre il vantaggio, diciamo democratico, di dare anche al lettore comune — cioè quello che ignora la differenza fra gliommero e frottola e che, per via di quel grammo di protervia che sempre si accompagna all’ignoranza, la ritiene irrilevante — la possibilità di stabilire per proprio conto che cos’è la letteratura.

A contrappeso di questi vantaggi si pone un aumento incontrollabile della variabilità, perché questo metodo è fortemente influenzato dal gusto di ciascun lettore, una faccenda sulla quale, come si sa, ogni obiezione è illecita. Ogni lettore troverà in un libro le somiglianze che il proprio gusto e le proprie letture canoniche pregresse gli suggeriscono, con esiti spesso discutibili: se il lettore secentesco di prima avesse letto e apprezzato, poniamo, l’Amadigi di Gaula, e avesse trovato il Don Chisciotte molto dissimile dal modello canonico, avrebbe potuto concludere che il Don Chisciotte andava bene per accendere il camino o per incartare il pesce, altro che letteratura.

Due risposte recenti
A dispetto di questi problemi, sembra che il rilassamento del concetto di canone stia guadagnando terreno presso chi si occupa di roba scritta a livello professionale. A titolo dimostrativo riporto due opinioni autorevoli. La prima, pur priva di supporto bibliografico, è reperibile in rete (per esempio qui):

La letteratura è qualcosa di scritto. [Giulio Mozzi]

La seconda si trova a pagina 26 del libro Il limbo delle fantasticazioni, Quodlibet 2010:

Se potessi legiferare, decreterei che la questione dell’arte sia d’ora in poi trascurata, e che la cosiddetta letteratura coi suoi generi (poesia, romanzo, eccetera), le sue figure (l’autore, l’opera, l’Opera Omnia), con la sua organizzazione di giudici, la sua rete di promozione, le sue teorie (e la domanda tipica: che cos’è la letteratura?), decreterei che la letteratura sia un caso particolare, piccolo (anche se supponente e aggressivo), del più vasto, vastissimo e libero limbo delle fantasticazioni. Dico limbo perché, come si sa, nel limbo sostavano i non battezzati; e dico fantasticazioni per sottrarre le scritture all’apparato ministeriale della letteratura. [Ermanno Cavazzoni]

Dalla letteratura alla scrittura
In entrambe le opinioni sopra citate si può notare uno slittamento del punto di vista dalla letteratura alla scrittura. Affermando che la letteratura è qualcosa di scritto, il Mozzi sfiora la tautologia e dichiara implicitamente che ciò che interessa al lettore (e selezionatore di testi da destinare alla pubblicazione, nel suo caso) non è tanto la rispondenza di un testo a un’idea data di letteratura, ma solo il fatto che quel testo è stato scritto. La letteratura, in altre parole, resta al livello di pura potenzialità e non influisce minimamente sul giudizio del lettore o sui suoi criteri di scelta: altri giudicheranno; io, nel frattempo, leggo comunque.

Anche la posizione del Cavazzoni, per quanto più articolata, mette l’accento sulla scrittura e relega la letteratura a caso particolare di un più vasto insieme di testi scritti, attribuendole perfino un ruolo burocratico assai poco lusinghiero: qui la letteratura è qualcosa a mezza strada fra un eccesso tassonomico e un vero e proprio fardello, qualcosa di cui ci si può comunque liberare senza troppe precauzioni, quando si tratta di scegliere cosa leggere.

Seguendo una o l’altra delle succitate autorità, insomma, il lettore che incautamente si trovasse a chiedersi “il libro che sto leggendo è letteratura?”, potrebbe rispondersi senza alcun timore “ecchissenefrega”. E il fatto che il lettore si faccia la domanda e si dia la risposta è un esito di quel movimento di allargamento e rilassamento del canone che abbiamo visto fin qui.

In conclusione
In conclusione, se mai un discorso qualsiasi può avere una conclusione, la domanda “Che cos’è la letteratura?” sta diventando sempre meno rilevante. A metà del secolo scorso Jean-Paul Sartre poteva intitolarci un serissimo tomo di seicento pagine facendo la sua porca figura da intellettuale raffinato. Oggi un docente di Estetica e Retorica (mica cotiche) come Ermanno Cavazzoni può liquidarla con divertito fastidio (e addirittura fra parentesi) e un esponente di rilievo dell’editoria nazionale come Giulio Mozzi può formulare una risposta educatamente elusiva.

Cosa è successo in questi ultimi sessant’anni, per rendere possibile cotanta caduta? Per rispondere ci vorrebbe un pippone a parte. Magari un’altra volta.

Unacopia

Tuesday, August 24th, 2010

Siccome nessuno ne sentiva il bisogno, ieri pomeriggio Giulio Mozzi ha fondato una nuova casa editrice. Si chiama Unacopia. Qui c’è il manifesto della casa e qui il progetto del primo libro.

Il bramito del cervo rosso in amore e le scuole di scrittura

Wednesday, July 28th, 2010

Cervo rosso, tratto da www.flickr.com/photos/jellybeanzgallery/3953194119/Qualche giorno fa, commentando un post su vibrisse, ho ricordato un episodio buffo che risale a una trentina di anni fa. Durante l’abituale sessione di fancazzismo pomeridiano (bei tempi), captai l’inizio di un documentario televisivo, uno di quei documentari che si fanno ancora oggi, più o meno con lo stesso format di allora, sulla vita degli animali selvaggi in ambienti selvaggi, una sorta di fiction naturalista più vicina ai romanzi di Jack London che ai trattati di etologia, ma presentata al pubblico come serissima divulgazione scientifica.

Il documentario si apriva con un suono che l’orecchio collocava esattamente a metà strada fra la voce di Barry White e le sirene degli allarmi antiaerei, e che il cervello riconduceva con fatica a un’origine animalesca solo grazie al suggerimento visivo offerto dall’inquadratura in campo lungo di una foresta nordica innevata e brumosa. Dopo alcune ripetizioni del verso, la voce fuori campo del commentatore diceva: “Avrete certamente riconosciuto il bramito del cervo rosso in amore”. La telecamera del ricordo si sposta su un me stesso torto dalle risate.
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Vibrisselibri e altri pendolarismi

Tuesday, July 25th, 2006

1. Vibrisselibri

Aggiornamento: Novità su Vibrisselibri comunicate da Giulio Mozzi qui.

L’idea originaria, la fonte prima, la scaturigine, perfino, del progetto vibrisse libri (o vibrisse, libri o vibrisselibri) sta qui. L’idea di Giulio Mozzi, in estrema sintesi, è dare visibilità in rete a testi che, pur essendo buoni testi, non sono riusciti a trovare un editore, nella speranza che questa visibilità li aiuti a trovarne uno.

Idea strana – dirà il rapido lettore transeunte – ma la cosa più strana, almeno per quanto mi riguarda, è che il prode letturalenta è entrato a far parte dell’impresa. Evento invero sorprendente, essendo egli una delle persone più pigre e refrattarie agli impegni che io abbia mai conosciuto.

Nel mese o poco più trascorso dal lancio dell’idea mozziana a oggi, l’idea si è concretizzata. Oggi vibrisselibri ha una redazione, un ufficio stampa e un comitato di lettura, quest’ultimo addirittura dotato di un decone, vertice di una gerarchia dal sapore vagamente esoterico. Il prode letturalenta si è intruppato nel comitato di lettura, che a tutt’oggi conta una trentina di lettori volontari.

Forte del suo incarico istituzionale, egli ha trascorso l’ultimo fine settimana a compulsare il primo dei testi candidati, un tomino di settecentocinquantamila battute spazi inclusi, sul quale per evidenti ragioni di riservatezza (e di sfinitudine) il prode si rifiuta di fornire ulteriori dettagli. Sia come sia, il meccanismo si è messo in moto e sta macinando. Se ne riparlerà di sicuro prossimamente. Stay tuned!

2. L’estate di letturalenta
Come tutti gli anni, per motivi di sicuro disinteresse generale, il titolare di questa ridotta lettoria trascorre il periodo che va all’incirca da metà luglio a metà agosto pendolarando audacemente fra Bologna e una sperduta località dell’appennino tosco-emiliano priva di telefono fisso e impermeabile ai cellulari. Condizione invidiabile, anche perché detta località giace a oltre mille metri di altitudine, giacitura questa che comporta una temperatura più bassa di dieci gradi rispetto a quella cittadina.

Uno degli effetti di questo pendolarismo è che il titolare in questione è sconnesso tutte le sere e durante il fine settimana. Questo lo dico affinché l’affezionato lettore non si sgomenti per l’eventuale minor frequenza d’aggiornamento di questo blog nelle prossime settimane.

Qualora nel sullodato lettore si fossero già manifestati i prodromi della crisi di astinenza, potrà trovare temporaneo conforto su Vibrisse, che oggi ospita un mio contributo elbano nella sezione Giro d’Italia con Vibrisse curata da Bartolomeo di Monaco.

L’ombra lunga di Ernest Pinard

Wednesday, March 1st, 2006

Jennifer Jones in Madame Bovary (1949), tratto da home.hiwaay.net/~oliver/Avvertenza: anticipo la mia piena solidarietà al volenteroso lettore che, dopo essersi sorbito per intero questo post, lo giudicherà completamente delirante. Tuttavia, a parziale discolpa dell’autore di codesto delirio, inviterei il medesimo lettore a tener conto del fatto che a volte la realtà supera la fantasia.

Il processo
Nel 1857 il Tribunale di prima istanza di Parigi si riunì per decidere su un’accusa di oscenità. La pubblica accusa era rappresentata dal procuratore imperiale Ernest Pinard. L’imputato principale era lo scrittore Giulio Mozzi, autore del racconto Amore incluso nella raccolta di racconti Il male naturale. Al termine di un acceso dibattimento accusa e difesa pronunciarono le loro arringhe e la corte emise il verdetto.
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Libri che si vendono

Thursday, December 8th, 2005

Immagine tratta da www.viking.be/Photos/Paris/Bouquiniste-Paris.jpgIeri sera, mentre girovagavo per blog, mi è capitato di sentire questo signore dire queste cose qui sul tema Quando un libro si venderà?, lanciato il giorno prima da quest’altro signore. Rilanciato, in verità, dato che ne aveva già parlato qui.

Letto tutto? Bene. Ora, non più tardi di un mese e mezzo fa, capitava che il qui presente (niente link) umile lentore depositasse su questo medesimo blog – oggi onorato dalla tua graditissima ancorché veloce visita – un articolatissimo e ponderoso saggio pomposamente intitolato nientepopodimenoché Analizzare i giudizi dei lettori per identificare il profilo standard del testo narrativo idoneo al mercato.

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Le diatribe letterarie (digressione quasi seria)

Tuesday, November 15th, 2005

Con un tempismo davvero sorprendente, ieri Giulio Mozzi ha pubblicato su Vibrisse un articolo che sembra scritto apposta per esemplificare queste mie umili divagazioni diatribiche. L’articolo si apre su questa domanda: «Esiste un modo per capire quanto influisce sulla vendita di un libro il fatto che si attivi un passaparola in rete?» e prosegue a porre domande su come la rete può influenzare le vendite librarie, per poi concludere così: «Io sento la mancanza, in molti discorsi che ho letti e sentiti a questo proposito, di approcci sistematici agli aspetti quantitativi della faccenda. Mi si dirà che non ci sono solo gli aspetti quantitativi; ed è vero; ma gli aspetti quantitativi ci sono.»

Premetto che mi sembra giusto che Giulio Mozzi, che sui libri e sull’editoria ci lavora e ci campa la giornata, parli di libri e di editoria in termini quantitativi. Ciò detto, mi ha sorpreso che Giulio Mozzi sentisse la mancanza di ciò di cui io percepisco la troppità: le diatribe quantitative. Ho provato a porre il problema nei commenti all’articolo (i miei sono quelli firmati Luca Tassinari), ma non credo di aver fatto breccia nel cuore di Mozzi, che lì era tutto rivolto (e, ripeto, con ottime ragioni) all’economia. A un certo punto, rispondendo a me, Giulio Mozzi ha detto:

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