Ho finito di leggere Il collezionista di tempo di Marino Magliani una decina di giorni fa, e l’ho lasciato decantare un poco prima di parlarne, come si fa col vino buono prima di berlo. Si tratta infatti di un libro complesso, un amalgama sapiente di sapori e aromi diversi che il lettore può divertirsi a rintracciare, riconoscere, degustare.
Il libro è suddiviso in quattro parti. Le prime tre raccontano la storia di Gregorio, fotografato in tre momenti distinti della sua vita: ancora bambino, quando frequenta la scuola media in un collegio di frati; a vent’anni, subito dopo il congedo dal servizio militare; a poco più di quaranta, emigrato in Olanda e in procinto di diventare scrittore. Una sorta di biografia discontinua, a strappi. L’ultima parte del libro è un racconto scritto dallo stesso Gregorio, intitolato L’archittettura del molo di Porto Maurizio, che narra gli ultimi giorni di un cane di nome Cobre portato a perdere dal suo padrone sulle colline del ponente ligure.
La vicenda di Cobre in realtà si dispiega lungo tutto il libro, sfiorando ripetutamente quella del protagonista. Si potrebbe anzi dire che l’intera vita di Gregorio è una lunga preparazione alla scrittura di quel racconto. Gregorio incontra Cobre all’inizio del libro, in una vigna sulle colline vicino a casa, mentre aspetta l’arrivo del frate che lo porterà in collegio. Poi alcune voci gli racconteranno la storia di questo cane perduto, durante l’intero arco della sua vita.
Contenere Il collezionista di tempo entro gli argini di un discorso finito e sintetico è molto difficile. E se questo vale per la fabula, tutt’altro che piana e prevedibile, a maggior ragione vale per gli aspetti tematici, che sono molti e solidamente intrecciati gli uni agli altri, quindi non facili da trattare separatamente. Tra i molti fili mi tocca quindi sceglierne uno e seguirlo fin dove possibile, avvertendo però l’incolpevole lettore della mia lettura che questa operazione è ad elevato rischio di riduzione e semplificazione.
Le voci che parlano a Gregorio si presentano – tutte tranne una – come altrettanti Gregorio che hanno vissuto le stesse esperienze del protagonista negli stessi luoghi, ma in epoche diverse. Raccontandogli eventi non ancora successi, le voci di fatto inchiodano Gregorio a un destino prescritto che lui non potrà modificare.
Cobre, il cane del racconto finale, non può andare oltre il limite stabilito dalla lunghezza della catena. Quando viene abbandonato dal padrone, assieme al limite scompare la felicità e inizia per lui l’angoscia di un’esistenza tanto libera quanto tragica.
L’unico non-Gregorio fra le voci è un uomo non ancora nato di nome Lukas, che contatta Gregorio da un futuro segnato da gravi catastrofi ambientali e oppresso da una dittatura capace di eliminare gli oppositori alterando il loro passato, in modo da non farli nascere. Gregorio è chiamato a impedire questa violazione. a ristabilire un ordine prefissato.
Da questi e altri episodi scaturisce una rappresentazione del mondo segnata dalla necessità e dalla coazione a ripetere. Un mondo in mano a forze naturali, o forse numinose, che gli uomini non sono in grado di controllare o di piegare ai propri disegni. Nel futuro da cui Lukas entra in contatto con Gregorio, un’immensa voragine ha ingoiato il paese della sua infanzia riducendo a rovine le case, le vigne, i terrazzamenti: le opere degli uomini sono di breve durata e la natura prima o poi le cancella.
In questo mondo che ricorda da vicino quello dei miti antichi, del Fato e della sua ineluttabilità, vivere diventa una parola grossa e gli uomini sembrano avere due sole opzioni: resistere e testimoniare. Resistere alla violenza e alla stupidità di altri uomini, come fa il compagno di collegio Falconi Leo; resistere alle lusinghe del potere e della fama, come fa Gregorio quando rifiuta proposte di lavoro allettanti per ascoltare un’invocazione di aiuto; resistere alla tentazione di prendere scorciatoie. E infine testimoniare, raccontare, lasciare una traccia agli uomini che verranno dopo.
L’atto di raccontare, di testimoniare, accompagna Gregorio per tutta la vita. Dapprima le voci lo educano al racconto, trasmettendogli una storia, quella di Cobre, destinata altrimenti a essere ingoiata dalla voragine del tempo. Gregorio apprende lentamente l’arte, e alla fine fissa la storia del cane in un racconto scritto, destinato ad attraversare il tempo fino a raggiungere Lukas, l’uomo del futuro. Mi sembra, questo, un atto di grande fiducia nel potere testimoniale della scrittura, e della narrativa in particolare. Una scrittura che non grida, non denuncia, non invade il lettore con assalti retorici, non ha intenzione di convincere, ma piuttosto di vincere l’eterna battaglia dell’umanità contro i secoli.
Avanti dunque: resistere, resistere, resistere – diceva il bravo giudice Borrelli in tempi di luminose battaglie contro la corruzione. Testimoniare, testimoniare, testimoniare, aggiunge il bravo Marino Magliani in tempi assai più cupi. Il collezionista di tempo, dopo tutto, lascia una porta aperta alla speranza. Non la speranza farlocca e consolatoria di una felicità immediatamente consumabile qui e ora, ma una speranza molto più verosimile e spaventevole, e quindi assai meno cara alla propaganda: per seminare un granello di felicità nel mondo è necessario passare il testimone.