Dice il professor Franco Cuccurullo, docente di Medicina interna e presidente del Consiglio superiore di sanità:
«Eluana non muore della patologia da cui è affetta, muore di fame e di sete. Anzi viene fatta morire, quindi si tratta di eutanasia».
E aggiunge:
«Siamo di fronte a grandi contraddizioni: povera figlia, non è una vita che si spegne, ma che viene spenta. Io non conosco le condizioni cliniche specifiche, e quindi non mi posso pronunciare oltre un certo limite».
Dice la sentenza 27145/2008 della corte di Cassazione:
«Il rifiuto delle terapie medico-chirurgiche, anche quando conduce alla morte, non può essere scambiato per un’ipotesi di eutanasia, ossia per un comportamento che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte, esprimendo piuttosto tale rifiuto un atteggiamento di scelta, da parte del malato, che la malattia segua il suo corso naturale». (pag. 6)
E aggiunge:
«Nel decreto del luglio 2008, avverso cui è ora ricorso, quei giudici — pur ritenendo estraneo al giudizio di rinvio l’accertamento della precondizione di irreversibilità dello stato vegetativo della Englaro (anche perché già effettuato nella precedente fase di appello e non impugnato, e comunque condiviso dallo stesso P.M. intervenuto in causa nel suo parere conclusivo) — hanno, ciò nonostante, reputato “doverosa, data la gravità, importanza e delicatezza della decisione da assumere”, una autonoma verifica, in quella sede di rinvio, delle condizioni cliniche di Eluana Englaro». (pag. 12)
Boh, sarò strano, ma tra un medico che sputa sentenze senza conoscere il quadro clinico e giudici che si esprimono solo dopo aver valutato attentamente il parere dei medici, tendo a fidarmi di più dei giudici.