Stampa e querele

Fatti

Leggo sul blog del mio amico Bartolomeo Di Monaco che il giornale online «il legno storto» rischia di chiudere per via di tre distinte azioni legali avviate nei suoi confronti a partire da altrettanti articoli apparsi sulla testata:

1. Un articolo del 28 gennaio 2010 firmato dallo stesso Bartolomeo Di Monaco ha portato all’apertura di un fascicolo per presunte minacce contro Luigi Palamara, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati.
2. Un articolo del 21 giugno 2009 firmato da Vittorio Zingales ha provocato la citazione per danni da diffamazione da parte del magistrato Pier Camillo Davigo, con una richiesta di risarcimento di 100.000 euro.
3. Un articolo del 27 ottobre 2009 firmato da Sergio Bagnoli è alla base di una querela per diffamazione da parte del sindaco di Montalto di Castro Salvatore Carai.

Nel titolo del post Bart si chiede dove sia la sinistra che difende la libertà di stampa e nel testo specifica: “se si tenta di far chiudere un giornale di sinistra allora si parla di bavaglio, se invece si tenta di far chiudere un giornale che non è di sinistra, allora tutto è ok”. Bart invita poi i suoi lettori a diffondere una lettera che la redazione del Legno Storto ha pubblicato sulla questione.

Be’, ho pensato, io voto a sinistra da trent’anni e la libertà di stampa mi piace assai. Aggiungi che Bart lo conosco da quasi dieci anni, vuoi che non gli risponda? Certo che gli rispondo, e purtroppo non sarò breve.

Precisazioni

La prima precisazione è che «il legno storto» non è un blog amatoriale, bensì, leggo qui, una “Testata Giornalistica registrata presso il Tribunale di Milano, al n° 831 del 31 ottobre 2005”, quindi soggetta alla legislazione sulla pubblicazione di notizie e opinioni a mezzo stampa, esattamente come Repubblica o il Corriere della Sera.

In secondo luogo, non è vero che Luigi Palamara ha querelato «il legno storto». Subito dopo averlo detto, infatti, la lettera della redazione precisa: «Per l’esattezza la Procura di Roma ci ha comunicato (…) che ha aperto un fascicolo per le minacce che noi avremmo formulato con questo articolo, nei confronti del dr. Palamara». Da quel che capisco si tratta perciò di un’azione d’ufficio della Procura di Roma, non di querela.

Terza precisazione: mi è abbastanza chiaro che Davigo agisce in sede civile, con annessa richiesta di risarcimento, mentre non ho capito in che sede agisce Salvatore Carai. Nella lettera della redazione non si accenna a richieste di risarcimento, quindi non si può escludere che la querela di Carai sia in sede penale, particolare non irrilevante per esprimere un opinione in merito.

Mie opinioni sugli articoli

Sull’articolo di Bart non mi esprimo direttamente per palese conflitto di interessi, ma faccio mia la tesi di questo post del blog Champ’s Version, ovvero che nell’articolo non ci sono minacce contro Palamara e che probabilmente la causa è stata avviata per un banale fraintendimento.

Se dovessi trovare un aggettivo per qualificare il secondo articolo, quello firmato da Vittorio Zingales, sarei indeciso fra delirante e sbalestrato (aggiornamento dell’8 luglio: Giulio Mozzi in questo post su vibrisse lo definisce “piuttosto ributtante”). La tesi di fondo è che l’azione giudiziaria di Mani Pulite, fra il 1992 e il 1994, sia stata in realtà un tentativo di golpe orchestrato dagli immancabili poteri forti «italiani ed angloamericani». Pier Camillo Davigo è citato una volta sola in questo modo: «E’chiaro che un Borrelli, un Di Pietro, un Davigo, un D’Ambrosio, ecc, non possono avere nessuno spessore culturale per organizzare il golpe e nemmeno il regista Violante che ha il compito di girare le piazze italiane e le procure per indicare di volta in volta il nemico da abbattere». In breve, Davigo e altri sono indicati come esecutori materiali di un tentativo di golpe, senza uno straccio di riferimento fattuale o prova documentale. Questa mi sembra una calunnia bella e buona e la qualità complessiva dell’articolo è infima.

Dell’articolo di Sergio Bagnoli prendo in considerazione solo questo brano:

Salvatore Carai, sardo barbaricino di Orune, Sindaco di Montalto di Castro in forza al Partito Democratico, ala bersaniana, zio di uno dei violentatori che ha dichiarato: «Quei ragazzi ingiustamente accusati sono dei bravi ragazzi. Dalle nostre parti le uniche bestie sono gli immigrati romeni. Loro sì che lo stupro l’hanno nel sangue». Coerentemente al suo pensiero ha fatto impegnare dalla giunta municipale la ragguardevole somma di 40.000 Euro, 5.000 Euro per ognuno degli otto stupratori, a favore del loro reinserimento in società e per consentire alle loro famiglie di arruolare fior di avvocati che tirassero fuori i pargoli da questa triste vicenda.

Una veloce ricerca in rete consente di scoprire che:
1. le delibere di finanziamento agli imputati furono revocate dalla giunta comunale il 20 luglio 2007, cioè oltre due anni prima che Bagnoli scrivesse il suo articolo.
2. Bagnoli riporta come certa la parentela fra Carai e uno degli imputati, mentre un articolo coevo sul Secolo XIX parla di «indiscrezioni che non sono state smentite». Chi ha ragione?
3. La pessima frase sui romeni attribuita a Salvatore Carai era stata smentita da un comunicato dell’interessato, e a giudicare dal primo commento al suo stesso articolo ripreso da AgoraVox, Sergio Bagnoli era a conoscenza della smentita già il 28 ottobre 2009. Non è escluso che Bagnoli abbia riportato la smentita di Carai anche nei commenti al suo articolo su Legno Storto, ma per vedere quei commenti dovrei registrarmi sul sito e non ne ho voglia.

Ricapitolando, in poche righe l’articolo di Bagnoli riporta una mezza verità, probabilmente scambia indiscrezioni per verità accertate e virgoletta dichiarazioni smentite il giorno stesso dal diretto interessato. Quanto basta, a mio avviso, per considerarlo un articolo approssimativo e imprudente che presta facilmente il fianco a legittime incazzature da parte delle persone coinvolte. Aggiungo che se la redazione del Legno Storto fosse stata a conoscenza di queste inesattezze, avrebbe dovuto invitare l’autore dell’articolo a correggerlo o procedere di sua iniziativa a pubblicare una rettifica.

Mie opinioni sulle azioni legali

Il fascicolo aperto dalla Procura di Roma mi sembra un classico caso di azione penale obbligatoria in base a una notizia di reato, quindi c’è poco da commentare: ha agito come doveva agire. Punto.

La richiesta di risarcimento di Davigo in sede civile mi sembra inopportuna. Non infondata o sbagliata, tutt’altro, ma inopportuna. L’articolo, come ho detto, è effettivamente calunnioso, ma da parte di un personaggio che riveste una carica pubblica (Davigo è magistrato in Cassazione) avrei preferito un’azione in sede penale a tutela della collettività, anziché un’azione civile a tutela del solo Davigo.

Sulla querela di Carai non so che dire. Se è, come sembra, un’azione in sede penale, non saprei dargli torto. Se fosse una citazione per danni, varrebbe il discorso che ho fatto per Davigo.

E quindi?

Ciò detto, precisato e opinato, concludo dicendo che verso la redazione del Legno Storto posso provare al massimo un moto di umana compassione, perché gioire per le grane altrui non è nel mio carattere, e formulo senz’altro l’augurio che gli sviluppi della vicenda non portino alla chiusura della testata. E tuttavia non posso esprimere solidarietà, né nascondere che a mio avviso, parafrasando Mao (ché tanto a sinistra siamo tutti comunisti), l’informazione non è un pranzo di gala. Visto che di testata giornalistica si tratta, e non di luogo privato per esprimere private opinioni, accanto alla libertà di espressione e alla libertà di stampa è indispensabile collocare il dovere di pubblicare notizie verificate, di rettificare prontamente eventuali errori e di vagliare con attenzione la qualità degli articoli pubblicati. Tutte cose che a mio parere, in almeno due casi sui tre in questione, il Legno Storto non ha fatto.

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2 Responses to “Stampa e querele”

  1. Ringrazio anche te, Luca, per le tue riflessioni.
    Ho risposto a Giulio, su vibrisse e replico qui la risposta, per brevità.
    Ciao.

    ___________

    Giulio, torno ora da una breve vacanza, trascorsa, ahimè, con un po’ di febbre. Ti ringrazio delle riflessioni che hai dedicato al caso Legno Storto, che trae il titolo da una frase di Kant riportata sotto lo stesso titolo, allo steso modo che un giornale, magari di tendenze contrarie, può trarre il suo titolo da una frase di Celine.

    E ringrazio anche Luca Tassinari per le sue riflessioni fatte nel suo blog letturalenta.

    Il mio sdegno è motivato dal fatto che chi sembra di voler difendere la libertà di stampa, compie atti così perentori da minacciarla.

    Non so dove ho scritto che Pier Camillo Davigo avrebbe anche potuto chiedere un risarcimento simbolico, ben sapendo che un piccolo giornale non è in grado di pagargli euro 100 mila.

    Ma, per non farla lunga, è la conclusione che trai dalla tua riflessione che condivido: “Credo che se i tre querelanti rinunciassero alla querela, chiedendo piuttosto precise rettifiche sui fatti al querelato, farebbero bene.”

    Fosse accaduto a me, io avrei scritto, infatti, al giornale precisando i fatti e chiedendo le rettifiche, lasciando poi all’articolista di prenderne o meno atto.

    Questo, secondo me, vuole dire rispettare un giornale (di qualunque tendenza, e soprattutto se piccolo) e rispettare la libertà di stampa (che non significa, ovviamente, che si può scrivere ciò che si vuole, fregandose della dignità altrui.)

    Negli articoli non ho ravvisato accuse tali che non potessero essere chiarite in modo molto aperto e semplice.

    Nella querela di Davigo mi dà anche fastidio quell’indicazione della carica che ricopre. Per una querela basta presentarsi con nome e cognome.

    Per quanto riguarda il mio articolo, mi vien da ridere se Palamara vi abbia davvero rintraciato delle minacce. Mi farebbe piacere mi indicasse dove le ha trovate. Non ci sono. Se la Digos vuol venire a casa mia, venga pure, la porta è aperta. Non troverà manifestini, spranghe, bottiglie molotov, grimaldelli e quant’altro possa far parte del bagaglio di un attentatore. Può trovare solo libri, tanti.
    Io di minacce, ahimè, ne ricevo ogni tanto per i miei articoli, ma non mi permetto mai di farne a nessuno.

    Quello che è vero, invece, è che a me Palamara non piace affatto, e mi domando del perché l’intervista famosa che vede coinvolto Palamara con Cossiga sia sparita di circolazione. Eppure ha circolato per molto tempo diventando patrimonio culturale e politico. Appare la scritta che il video è stato ritirato dal proprietario del copyright, ossia, immagino, la Rai.
    Eppure si tratta di un fatto accaduto. Vero. Sparito, e chi voglia farvi riferimento, se ne vede impedito.

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