Il gatto

gatto egizio, tratto da http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Cats_in_Ancient_EgyptUscire dal salotto, e poi dalla casa, mi procura come al solito una piccola vertigine, che accolgo anche questa volta quale indizio della mia esistenza, al pari delle numerose esperienze sensibili che mi connotano: brividi, sussulti, tremori, fitte dolorose, accessi di panico, angosce e terrori di varia natura costituiscono la marca invalicabile di me stesso. Al di qua ci sono io, al di là il resto del mondo, ovvero ciò che non sussulta e non rabbrividisce in me, ciò che con infinita saggezza è ignaro di me. Che io non sia del tutto ignaro di ciò che mi ignora è la prova di quanto poco io sia saggio.

Un gatto attraversa la strada, corre per pochi metri sul muretto che costeggia il marciapiede e poi scivola attraverso le sbarre di una cancellata. Ora è immobile in un cortile illuminato soltanto da un quarto di luna, le orecchie appiattite sulla testa, gli occhi spalancati su di me o sul punto da cui è entrato. Forse teme che da lì possa venire l’assalto di una creatura mostruosa, ringhiante, ostile, decisa a sorprenderlo per affondare zanne enormi nei suoi fianchi.

Se io esisto grazie alle mie fitte e ai miei tremiti, è evidente che ciò che non si conduole e non trema con me non esiste, oppure esiste in forme e modi così diversi e lontani dai miei da impedirmi di riconoscerne l’esistenza. Posso intuire che un ente a me simile esista, o quanto meno creda di esistere come lo credo io, grazie a spasimi tutti suoi, ma che esistano oggetti affatto privi di nervi, umori, visceri, questo mi sembra francamente risibile.

Il gatto sembra più tranquillo. Ha alzato la zampa posteriore destra tenendo la sinistra ben salda sul terreno, e con un elegante avvitamento ha portato la testa nei pressi dell’inguine, sul quale passa e ripassa la lingua con piglio da metronomo. Ma basta un mio passo appena per risprofondarlo nell’abisso della paura, la testa di nuovo sollevata, gli occhi enormi.

I battiti del cuore, i rigurgiti dello stomaco, i dolori al ventre, la saliva e altre deiezioni sono tutto ciò che conosco di me, gli unici segnali che ricevo capaci di istruirmi sulla mia realtà più profonda. Ecco ciò che sono dentro, ecco l’epifania evidente e incontrovertibile della mia essenza più intima: muscoli, ossa, sangue, budella, urina e merda.

Conosci te stesso! Ho letto questa frase in tanti libri, l’ho sentita così di frequente che oramai ho dimenticato chi la formulò per primo. Chi pronuncia oggi queste tre parolette, le accompagna talora con un’espressione compresa, quasi accigliata, un indice alzato davanti al petto, un tono di voce grave o tutte queste cose insieme, quasi come se egli medesimo ci credesse sul serio, al punto da elevare la frasetta a motto filosofico del suo breve soggiorno sulla superficie terrestre. Ma quale filosofia può essere così ingenua da considerare davvero possibile un qualsivoglia barlume di conoscenza?

Arriverà. Un giorno arriverà, ne sono certo, la bestia che mi insegue da sempre e che ogni notte impregna di terrore il mio sonno vigile e leggero. Arriverà, ringhiante e ostile, e affonderà le sue zanne enormi nei miei fianchi. Potrebbe sbucare anche adesso da quella cancellata, confidando nella penombra del cortile per sorprendermi e sbranarmi prima che i miei nervi scattino verso la salvezza. Mi farà a pezzi per appropriarsi della mia intima essenza: masticherà lentamente i muscoli, frantumerà le ossa per cavarne il midollo, il mio sangue le lorderà il muso, e nemmeno l’odore di urina e merda le rovinerà il pasto.

Il gatto appoggia le zampe posteriori a terra e rannicchiandosi trasmette loro tutto il suo vigore. Un balzo, una corsa brevissima e le sue unghie già mordono la corteccia del tiglio. Poi al piccolo trotto tra le fronde, un salto oltre la ringhiera del balconcino, la finestra socchiusa si spalanca.

Le tenebre, le dolci tenebre del salotto di casa. Qui, immerso nei contorni labili di oggetti giganteschi, posso immaginare che il mio piccolo corpo si dilati per occupare tutta la stanza, tutta la casa, l’universo intero. Non ho più nulla da temere, perché se io sono l’universo allora nulla è al di fuori di me e la bestia non può ferirmi, la bestia nemmeno esiste. Spegni la luna, Dio, e lasciami dormire.

20 Responses to “Il gatto”

  1. gabryella says:

    aaah, ecco..ti stai dedicando alla meditazione zen! e fai benissimo, ché lo zen è una meravigliosa perdita di tempo in cui s’impara a godere dell’assenza dei perché (e della percezione del tempo)

    – questo pezzo è talmente bello&convincente che merita un haiku

    lampo di luce
    illumina un nulla
    colmo di tutto

  2. maria strofa says:

    Ma ha ragione gabryella, la perdita dell’ADSL ti ha fatto avere il satori, l’illuminazione! Sei in consonanza con il tutto. vadoa disdire l’ADSL e mi faccio prestare il micio dei vicini.

    sì conosci te stesso: nuoce te ipsum (nuoce, ribadisco) – chi pensa direbbe chi sai conosce i propri pensieri e mai colui che pensa.

    ciao bel ritorno, vado a disdire l’adsl per vedere se mi riesce una roba simile.

  3. michele says:

    Gabryella, credo che per il Lentore, sia più opportuna questa di Shinkichi Takahasci (classe 1901): dal titolo -Assenza- (perdonate il non 5-7-5 ma è così tradotta)

    Assenza

    Dì solo “Egli non c’è”
    tornerà
    fra cinque bilioni d’anni!

    ( Per altro questa poesia è incisa su un masso che sovrasta il mare in un villaggio di pescatori dell’isola Shikoku.) Takahasci ha esordito con un romanzo dadaista nel 1924 intitolato -Dada-.

  4. Gaja says:

    Un pezzo magnifico, lasciatelo dire, Luca. Che crea un mondo invisibile, parallello, un mondo di sensazioni. È una penombra densa di pensieri, è come guardare davvero negli occhi infiniti di un gatto, o di qualcuno che comunque *sa*. Poi. che il protagonista sia un felino ai miei occhi non può essere che un’ulteriore nota di merito, come ben sai. Valeva la pena di aspettare qualche giorno per leggere questo nuovo post di inizo anno. Grazie. Per le emozioni che mi hai comunicato. Lo rileggerò per “entrarci” ancora di più e per assaporarlo fino in fondo. Un bacio.

  5. Barbara says:

    Una standing ovation per te, Luca..

  6. erostratos says:

    a delfi indulgevano alla criptolalia, amavano fare della suspense. in realtà il concetto era molto più prosaico: non fare domande del cazzo. ma soprattutto: ricordati che sei – e che resti – un pirla. :-)

    buon pezzo, o lentore. a un certo punto ho temuto una deriva henryjamesiana (non sia mai), ma per fortuna il benevolo fantasma di comisso ha raddrizzato la situazione. alé!
    buon pezzo = buon anno.

  7. letturalenta says:

    o be’, grazie dei fior, degli haiku e quant’altro. Non so se ‘sta roba sia zen, shintoista o delfica, tuttavia volevo dire che ciò che mi ha davvero colpito di questo gatto – che ho osservato e studiato personalmente qualche tempo fa – è quel suo modo familiare e disinvolto di rivolgersi a Dio.

    Sull’ADSL, poi, dovrei scrivere un’invettiva imbrianica, ma adesso non ho tempo.

  8. par de celle says:

    mi fa piacere vedere che va tutto bene.

  9. letturalenta says:

    Aiuto! è in corso un’invasione da it.fan.culo!
    Ciao Ipa (tutto bene con l’ADSL?), ciao Levisa’ (quanti giorni dal mancato rinnovo del contratto?), e buon anno anche a voi!

  10. io sono l’universo…. ma come…anche tu?????????????

  11. letturalenta says:

    Nel multiverso tutto è possibile :-)

  12. criscia says:

    che bello leggere questo pezzo “felino” Luca. Mi ha rigenerato lo spirito dopo la difficile giornata ;-) Grazie

  13. matisse says:

    Bello da far paura :|

  14. letturalenta says:

    Ciao la Criscia, ciao la Matisse! Dice il gatto di salutarvi e ringraziarvi per averlo letto, e si scusa con Matisse per averla spaventata :-)

  15. […] Come tutte le cose umane, anche questa serie di post ebbe un principio. Nel caso di specie, in principio fu il gatto, il racconto che ha inaugurato il 2007 di letturalenta. Dopo aver commentato il racconto, erostratos mi ha scritto l’email che apre queste variazioni. Perché variazioni? Perché partendo dal gatto siamo andati a toccare gli argomenti più svariati, certo, ma anche perché vario è stato il tono del discorso, in perpetua oscillazione fra confessione e cazzeggio. […]

  16. […] Concordo sulla scrittura come alienazione. Gli è che quando uno scrive si ritrova bene o male a guardarsi da fuori. E dato che talvolta non è un bello spettacolo, si capisce che possa mancargli la voglia di perseverare. Che poi non so se è quello che intendi dire tu, ma è quello che succede a me. Per esempio – non per parlare del mio brodo, ma per fare un esempio che conosci – non so se si capisce, ma nel raccontino che ha dato origine a questa conversazione il mio punto di vista è tutto in quel che dice il gatto, non certo in quello che va cianciando il passante. Ecco, per me scrivere è guardarmi con gli occhi (giustamente terrorizzati :-)) di un essere che non mi assomiglia per niente. […]

  17. CalMa says:

    Oh capperi, come avevo fatto a perdermi questa bellezza? Meno male che ha dato la stura ad un sequel coi controfiocchi

  18. letturalenta says:

    Ma grazie, CalMa, grazie (s’inchina ripetutamente :-)). Il sequel mi è piaciuto tanto da non poter resistere alla tentazione di postarlo. Sono contento che non piaccia solo a me!

  19. Ibrid@menti says:

    sì è così, come racconti tu. La chiusa la porto con me per stasera:
    “Spegni la luna, Dio, e lasciami dormire.”

    a presto:-)
    [mad]

Leave a Reply